DIODATI, Luigi
Nacque a Napoli il 10 marzo 1763 da Giovanni, grosso mercante di cereali di lontana origine lucchese, e da Camilla Ginnari. Alla morte del padre, 1770, fu affidato alle cure del fratello maggiore, Domenico, famoso erudito, autore, tra l'altro, di una Illustrazione delle monete che si nominano nelle costituzioni delle Due Sicilie, che gli valse la nomina a socio pensionario della Reale Accademia delle scienze e belle lettere.
Avviato alla carriera forense, pubblicò a Napoli nel 1788 la Vita dell'abate Ferdinando Galiani, ad appena un anno dalla morte di questo. Il volumetto, pieno di entusiastica ammirazione per l'economista napoletano, che aveva avuto, al pari del fratello Domenico, un ruolo notevole nella sua formazione culturale, è un'accurata ricostruzione biografica, gravata talvolta da un'eccessiva aneddotica.
Sulle orme del fratello, ma con un'attenzione maggiormente rivolta al presente, il D. si interessò di questioni monetarie e dette alle stampe a Napoli, nel 1790, il saggio Dello stato presente della moneta nel Regno di Napoli e della necessità di un alzamento, in cui, mettendo a frutto la lettura delle opere di C. A. Broggia, del Galiani e di G. R. Carli (con quest'ultimo risulta essere in corrispondenza), sosteneva la necessità di elevare il valore nominale delle monete d'oro e d'argento napoletane.
Nel 1787 l'economia napoletana dovette fare i conti con una grave penuria di monete d'oro e d'argento: di circa 32 milioni di ducati in monete d'oro coniato dal 1749, solo 2 milioni restavano in circolazione nel Regno alla fine degli anni Ottanta.
Contrariamente all'opinione di quanti (tra questi era G. M. Galanti) ritenevano tale fenomeno direttamente dipenderite dal deficit della bilancia commerciale, il D. dimostrò come ciò fosse piuttosto conseguenza delle "riforme monetarie" introdotte negli Stati esteri. Con l'aumento del prezzo dell'oro e dell'argento, le autorità monetarie dei principali paesi europei avevano praticato un "alzamento", riducendo il peso o aumentando il valore nominale delle. loro monete d'oro o d'argento. A Napoli, invece, erano ancora in uso le monete d'argento coniate nel 1691 e, dopo la svalutazione operata da Carlo III in Spagna nel 1779, le monete napoletane "son rimaste più preziose anche di quelle di Spagna e de' zecchini di Venezia che riputansi comunemente eccellentissimi per non contenere lega veruna" (p. 59). Ma, quel che è più, le monete d'oro e d'argento avevano a Napoli un prezzo ormai inferiore a quello degli stessi metalli "in massa". Per queste ragioni era ingente la esportazione da Napoli di monete d'oro e d'argento, divenute monete "forti" e cambiate all'estero con un aggio del 7%.
La penuria di moneta circolante provocava grossi danni al commercio e alle attività produttive del Regno, per cui era necessario, secondo il D., scoraggiare l'esportazione di monete, aumentandone il valore nominale, senza modificare il valore intrinseco.
L'opera consegui una ampia diffusione, tanto che lo stesso D. potette vantarsi di aver ispirato le misure adottate a Genova in quello stesso anno 1790 per la monetazione dell'oro. Ma la sua proposta non fu accolta dal governo napoletano, che ricorse all'espediente di aumentare la circolazione monetaria con l'emissione di carta moneta. Non mancarono, inoltre, rilievi critici alla sua opera: nei primi anni '90 venne scritta una memoria fortemente critica, indirizzata al re, e il D. si trovò costretto a ribadire in un volumetto uscito a Napoli nel '94 le sue argomentazioni (Risposta ad alcune critiche fatte all'opera intitolata: Dello stato presente della moneta nel Regno di Napoli).
Intanto, in questi stessi anni, egli ricopri alcuni incarichi amministrativi e giudiziari con la nomina prima a governatore generale della Doganella d'Abruzzo (un'amministrazione, analoga a quella della Dogana di Foggia, che gestiva i pascoli delle poste d'Atri e dei Regi Stucchi, tra Trigno e Tronto) e, nel 1798, ad avvocato fiscale nella Regia Udienza di Chieti, sorta di pubblico ministero nelle cause per "delitti pubblici" discusse presso i tribunali provinciali. In questi stessi anni fu impegnato in alcuni incarichi minori, come una missione all'Aquila per verificare le ripercussioni provocate dal divieto di circolazione in Abruzzo Ultra delle monete dello Stato pontificio.
Deciso oppositore della breve esperienza della Repubblica partenopea, si tenne ai margini della vita pubblica (Giuseppe Maria Galanti lo ricorda, nelle Memorie storiche del mio tempo, assiduo frequentatore della sua casa e suo attento informatore sulle vicende della "putrida repubblica"). Al ritorno dei Borboni fu nominato giudice togato della direzione di polizia di Napoli, una magistratura, riorganizzata nel 1798, che aveva il compito di assicurare la sicurezza pubblica e la prevenzione dei delitti "di polizia" a Napoli e nei casali.
I suoi interessi per i problemi monetari e per la numismatica, (scrisse, tra l'altro, una Memoria delle zecche usate nelle regioni che oggi compongono il Regno di Napoli, e delle diverse monete che quivi hanno avuto corso dai primi tempi della monarchia dei Normanni fin oggi, che non è stato finora possibile rinvenire) gli valsero nel 1804 la nomina a soprintendente alla Regia Zecca.
Assieme a innovazioni tecniche che servivano a migliorare i metodi di coniazione e a prevenire la tosatura delle monete (con l'impressione, tra l'altro, sul contorno della moneta d'argento da 12 carlini, di nuovo conio, della scritta "Providentia Optimi Principis"), si adoperò per aumentare la massa monetaria, potenziando le emissioni di monete d'argento della Zecca e consentendo la circolazione nel Regno di monete d'oro e d'argento straniere, di cui si fissava il valore legale con la tariffa del 19 dic. 1805.
Di nuovo ai margini della vita pubblica durante il decennio francese, si dedicò alla professione forense e alla raccolta dell'epistolario del fratello Domenico, morto nel 1801. Nel 1815 pubblicò a Napoli le Memorie della vita di Domenico Diodati. Al ritorno dei Borboni sul trono di Napoli, il D. fu nominato nel luglio del 1817 giudice e, in seguito, vicepresidente della Gran Corte civile di Napoli, il maggiore tribunale d'appello in materia civile nel Regno. Nel 1822 fu nominato membro di una commissione consultiva delle Finanze. Messo a riposo col grado di consigliere della Suprema Corte di giustizia nel 1825, si spense a Napoli il 4 febbr. 1832.
Fonti e Bibl.: Notizie biogr. sul D. sono in Giornale del Regno delle Due Sicilie, n. 79 (6 apr. 1832) e nell'introduzione all'edizione del 1849 del Dello stato presente della moneta.... Rapidi riferimenti al D. sono in D. De Nicola, Diario napoletano, Napoli 1906, II, p. 66; III, pp. 122 s.; e in G. M. Galanti, Mem. stor. del mio tempo, a cura di D. Demarco, Napoli 1970, pp. 28, 125, 128, 130. Una breve nota biografica è pure in F. Venturi, Illuministi ital., V, Riformatori napoletani, MilanoNapoli 1962, p. 1016. Riferimenti all'attività del padre Giovanni, in P. Macry, Mercato e società nel Regno di Napoli, Napoli 1974, p. 331. Per l'attribuzione delle Memorie della vita di Domenico Diodati, vedi G. Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonime, II, Milano 1852, p. 182. Inoltre, sulla sua attività di soprintendente alla Zecca di Napoli, vedi G. Sambon, La moneta repubbl. del 1799 e la riforma monetaria del 1804, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XXIII (1898), pp. 258-266; G. Bovi, Le variazioni di "fino" nelle monete borboniche napol., ibid., n. s., XXXVI (1956), pp. 273-287; M. Cagiati, Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele II, V, Napoli 1912, pp. 79 s. Infine sulla sua opera maggiore, vedi T. Fornari, Delle teorie economiche nelle province napoletane dal 1735 al 1830, ALlano 1888, pp. 349-356e, sulla stessa opera e sul dibattito sulla moneta a Napoli nel secondo Settecento, F. Assante, Giovan Battista Maria Jannucci. L'uomo e l'opera, Napoli 1981, pp. 171 ss. e 251 s.