ASSERETO, Luigi Domenico
Nacque il 9 apr. 1753 (secondo alcune fonti nel 1759) a Genova, da nobile famiglia originaria di Rapallo. Suo padre, Tomaso, si rese tristemente noto nelle giornate della rivoluzione antiaustriaca del 1746 per aver dilapidato i fondi destinati alla riconquista di Savona, ancora occupata dai Piemontesi. Spirito avventurose, da giovane viaggiò molto: in Olanda si arruolò nelle guardie reali, ma per la sua cattiva condotta ne fu scacciato. Recatosi a Londra pare non abbia avuto migliore fortuna, essendo stato coinvolto in un processo per furto. Entusiasmatosi, dopo la trasformazione democratica della Repubblica di Genova nel 1797, alle idee di libertà e di uguaglianza proclamate dai rivoluzionari francesi, si presentò al generale Moreau per farsi affidare il comando delle truppe liguri; militando nell'esercito francese si distinse nella battaglia di Spinetta tanto da meritare gli elogi del Moreau e la nomina a generale di brigata. Come tale passò alle dipendenze del generale Marbot, comandante delle truppe alla difesa di Savona. Ma presto fu scoperta una sua intesa segreta con gli Austriaci: ciò fu riferito il 28 febbr. 1800 al Massena, che ordinò l'arresto immediato dell'A. e il trasferimento al forte di Antibes. Durante il viaggio, presso Alassio, riuscì a fuggire e a recarsi a Novi presso gli Austriaci, ai quali promise l'aiuto di 10.000 volontari liguri. A tale scopo emanò un proclama che incitava la popolazione alla lotta contro i Francesi e si valse dell'opera di due ingaggiatori che operavano nella città di Genova: il prete Giovanni Nicori e il comandante Bantoro. La sua opera di reclutamento ebbe fortuna soprattutto nella Val Polcevera e in quella di Fontanabuona, nel retroterra chiavarese, dove l'A. si spostò ben presto con i suoi volontari poiché la popolazione era ivi in continua rivolta contro i Francesi. Alla metà di aprile gli Austriaci, valicata la Bocchetta, entrarono nella Val Polcevera e l'A. stabilì il suo comando in Rivarolo. Nell'assalto finale contro le difese della città egli si distinse particolarmente nella conquista del forte Diamante. Quando infine, il 5 giugno, Genova dovette aprire le porte agli imperiali l'A. entrò in città alla testa dei suoi volontari, i quali però erano armati contro le disposizioni contenute nell'art. 10 della capitolazione sottoscritta dal gen. Massena. Questa inosservanza causò disordini subito sedati.
Dopo il ritorno improvviso di Napoleone dall'Egitto e la vittoria francese di Marengo l'A., non potendo più confidare nell'aiuto delle truppe imperiali, fuggì da Genova recandosi prima a Livorno poi a Foligno e quindi a Roma. Qui, nell'agosto del 1800, cercò di accordarsi con il generale Naselli per una sollevazione dell'Italia centrale contro i Francesi. Riuscì a farsi ricevere dallo stesso pontefice Pio VII al quale espose il proprio piano, ma non avendo ottenuto l'adesione sperata si ritirò dall'attiva partecipazione agli avvenimenti militari per attendere un momento più propizio. Nel maggio 1809 l'A., con il maggiore Saint-Ambrois e il colonnello La Tour si recò a Cagliari per prendere accordi con Vittorio Emanuele I allo scopo di organizzare uno sbarco a Genova in appoggio alle manovre dell'esercito austriaco, che doveva spingersi fino all'Adige e al Po, e di quello anglosiculo, che si preparava a sbarcare a Napoli, a Roma ed in Toscana. Sin d'allora infatti l'Austria faceva appello alle forze nazionali per distruggere l'impero napoleonico, ma tale piano si poté mettere in esecuzione soltanto molto più tardi. Una volta relegato Napoleone all'Elba l'A. vantò presso il governo sardo i suoi meriti antifrancesi, pretendendo la somma di 48.000 franchi quale indennizzo delle spese sostenute per assoldare e mantenere i volontari che con lui avevano combattuto nel 1800. Ma il governo sardo non diede corso alla domanda dell'A., per quanto ripetuta in diverse epoche, anzi ne criticò il comportamento apparso a molti alquanto opportunista. Esito ugualmente negativo ebbero le sue richieste presso la corte di Vienna dove l'A. si recò durante i Cento giorni.
Nel 1818 il governo francese annullò la condanna a morte in contumacia, che era stata pronunziata contro di lui ad Antibes nel 1800, ed anzi gli concesse la cittadinanza francese. Nei documenti relativi a tale concessione egli viene sempre citato con il titolo di marchese. Da allora visse probabilmente in Francia ma pare che sia morto a Savona.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Repubblica ligure, Deliberazioni Direttorio Esecutivo, maggio-luglio 1799, reg. 224, C. 114 e 176; A. Petracchi, Istoria del blocco di Genova nell'anno 1800 dell'era francese VIII, scritta dal citt. Ang. Petracchi, Genova 1800, pp. 65-70; Mémoires de Massena rédigés d'après les documents qu'il a laissés... par le général Koch, Paris 1849, IV, pp. 63 ss.; G. Roberti, Due diari inediti dell'assedio di Genova nel 1800, in Atti della Società Ligure di storia patria, XXIII, 2 (1891), pp. 37 s., 47-51, 68, 104, 117 dell'estr.; V. Fiorini-F. Lemmi, L'età napoleonica, Milano s. d., pp. 462, 471, 803; E. Gachot, Le siège de Génes (1800), Paris 1908, pp. 119, 152; P. Nurra-A. Codignola, Catalogo della mostra genovese del Risorgimento, Genova 1927, p. 185; A. Segre, Il Primo anno del Ministero Vallesa (1814-15), in Biblioteca di storia italiana recente, X, Torino 1928, pp. 194 s.; U. Levrero, Un avventuriero genovese, in A. Compagna, Genova, V, luglio 1932, pp. 32-36; V. Vitale, Breviario della storia di Genova. Lineamenti storici ed orientamenti bibliografici, Genova 1955, II, p. 516.