Einaudi, Luigi
Economista e politico (Carrù 1874-Roma 1961). Laureatosi in legge all’univ. di Torino (1895), aveva già iniziato a collaborare nel 1893 alla Critica sociale di Turati e nel 1894 al Giornale degli economisti; fu collaboratore della Stampa e del Corriere della sera, condirettore e poi direttore della Riforma sociale (1908-35) e della Rivista di storia economica (1936-43). Nel 1902 fu chiamato a coprire la cattedra di Scienza delle finanze all’univ. di Torino. Aderì inizialmente alla politica di Giolitti per il suo carattere riformistico e liberale, ma poi divenne uno dei critici più severi dell’indirizzo giolittiano in campo politico ed economico; si pronunciò contro le tendenze trasformistiche e burocratiche e contro gli accordi con i sindacati socialisti sulla base di concessioni settoriali e particolaristiche. Nel 1911 iniziò la collaborazione alla Voce e nel 1912 a L’Unità di Salvemini. Fu favorevole alla guerra libica nel 1911 e nel 1915 si schierò a favore dell’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Nominato senatore del regno nel 1919, sostenne sia dalle colonne della stampa che dalla tribuna del senato battaglie memorabili, schierandosi contro il protezionismo agrario e industriale, per la perequazione tributaria tra le regioni e i gruppi sociali, per la moralizzazione della vita parlamentare, per l’indipendenza della magistratura, per un più equo trattamento, economico tributario e politico, di tutti i cittadini. Tra il 1920 e il 1926 diresse l’Istituto di economia Bocconi di Milano e nel 1922 cominciò a scrivere per l’Economist. Collaborò dal 1922 anche alla rivista di Gobetti La rivoluzione liberale e per iniziativa di quest’ultimo pubblicò la raccolta di saggi Le lotte del lavoro (1924), in cui, pur sostenendo le posizioni assunte in appoggio ai lavoratori, criticava le tendenze sia rivoluzionarie sia corporativistiche del socialismo riformista. Negli anni del dopoguerra disapprovò l’operato della Società delle nazioni, ritenendola inadeguata ad assicurare la pace; a essa contrappose l’idea di una federazione europea come strumento di pace e di cooperazione fra gli Stati. Fu un convinto assertore del ruolo dirigente della borghesia e si oppose fermamente al rivoluzionarismo della sinistra massimalista e comunista. In un primo tempo considerò il fascismo come un utile contraltare alle tendenze rivoluzionarie e ritenne possibile un suo coinvolgimento all’interno dello Stato liberale. Ma dopo la presa del potere da parte del fascismo, di fronte allo smantellamento delle istituzioni parlamentari e alla fascistizzazione dello Stato, tenne un atteggiamento di ferma opposizione. Nel 1931, polemizzando con Croce, negò che il liberalismo potesse avere un altro fondamento economico che quello liberistico. Nello stesso anno prestò il giuramento richiesto dal regime ai docenti universitari. Nel 1935 il fascismo gli impose la chiusura della Riforma sociale, quindi nel 1936 assunse la direzione della Rivista di storia economica pubblicata dal figlio Giulio. Dopo l’armistizio dell’8 sett. 1943, con un viaggio fortunoso, riparò in Svizzera, dove visse in comune con i rifugiati italiani e fu tra coloro che già allora si schierarono per un’Europa federata. Rientrato in Italia nel 1944, fece parte della Consulta nazionale, fu governatore della Banca d’Italia (1945-48) e venne eletto deputato alla Costituente come liberale monarchico. Per breve tempo presidente dell’Istituto della enciclopedia italiana (1946), divenne vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro del Bilancio (maggio 1947) nel quarto governo De Gasperi, svolgendo un ruolo di primo piano nella ricostruzione economica secondo linee di intervento tipicamente liberistiche. Senatore dall’apr. 1948, l’11 maggio fu eletto presidente della Repubblica, carica nella quale si distinse per l’estrema correttezza costituzionale. Nello stesso anno uscì La guerra e l’unità europea, raccolta dei suoi saggi federalistici scritti a partire dal 1918, che avevano esercitato una grande influenza su federalisti come A. Spinelli ed E. Rossi. Dopo il 1955 tornò alle attività parlamentare e pubblicistica. Negli uffici finanziari da lui coperti fu strenuo ed efficace difensore della stabilità della lira. In generale, sia nella sua teoria sia nella prassi politica, di fronte allo svilupparsi, sotto lo scudo della vecchia formula del laissez faire, di nuovi e più pericolosi privilegi e concentrazioni di potere, sostenne sempre più decisamente posizioni – secondo le sue stesse parole – «neoliberali»: denuncia cioè, proprio in nome delle premesse ritenute tuttora valide dell’economia classica, delle crescenti violazioni del meccanismo della concorrenza e richiesta degli interventi e dei vincoli giuridici necessari a ripristinare e difendere la libertà di mercato. Tra le opere principali: Studi sugli effetti delle imposte (1902); La finanza sabauda all’aprirsi del sec. XVIII (1908); Intorno al concetto di reddito imponibile (1912); Osservazioni critiche intorno all’ammortamento delle imposte (1919); La terra e l’imposta (1924); Contributo alla ricerca dell’ottima imposta (1929); Principi di scienza delle finanze (1932); La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana (1933); Il sistema tributario italiano (1935); Miti e paradossi della giustizia tributaria (1938); Saggi sul risparmio e l’imposta (1941); Lezioni di politica sociale (1949); Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche (1953); Il buongoverno (1954); Prediche inutili (1956-59; in vol. 1962); Lo scrittoio del presidente (1956); Cronache economiche e politiche di un trentennio: 1893-1925 (1959-65, raccolta di articoli).