FERRARI, Luigi
Figlio del conte Sallustio che gli trasmise il titolo, e della contessa Teresa Rasponi, nacque il 3 apr. 1849 a Rimini. Dopo gli studi svolti al collegio "Tolomei" di Siena, presso i padri scolopi, si iscrisse, nel 1866, all'università di Pisa. Qui nel 1870 si laureò in giurisprudenza, presentando una tesi sui problemi del decentramento amministrativo. Subito dopo la laurea iniziò la carriera politica: sedette nel Consiglio comunale di Rimini e ripetutamente, dal 1874, nel Consiglio provinciale. Dopo la sconfitta della lista clerico-moderata, nelle elezioni del 1877 a Rimini, entrò nella prima giunta democratico-repubblicana, che rimase in carica per poco più di due anni. Si dedicò inoltre, tra il, 1875 ed il 1883, in qualità di presidente della locale Congregazione di Carità, all'organizzazione dell'assistenza pubblica.
Alle elezioni politiche del maggio 1880 il F. sostituì nel collegio di Rimini Agostino Bertani che, seppure indeciso fino all'ultimo se restare o rinunciare, lo raccomandò ai suoi elettori. Il F., eletto anche con i voti degli intemazionalisti e dei repubblicani, sedette in Parlamento negli scranni dell'Estrema Sinistra. Da molti ritenuto un repubblicano autentico, egli sottolineò, davanti, ai "funesti dissidii" della Sinistra, di stare al di sopra delle parti. Fin dall'inizio dei suoi lavori parlamentari, dimostrò un vivace interesse per il problema sociale; chiese infatti l'introduzione di un sistema tributario progressivo e parlò in favore di una moderna legislazione sociale che il Parlamento discuteva m quegli anni. Espresse però nello stesso momento le sue riserve verso leggi che rispondevano ai problemi delle società industriali progredite, mentre non erano adatte alle condizioni economico-sociali in cui versava l'Italia: concepiva quelle leggi come "un bel coronamento di un edificio", mentre l'indigenza nelle città e nelle campagne italiane come pure la mancanza di lavoro erano da affrontare con una riforma delle Opere pie.
L'ordinamento delle Opere pie nello Stato unitario si basava sulla legge del 1862 che lasciava ampia libertà nella gestione degli istituti, sottolineando il rispetto della volontà dei loro rispettivi fondatori. Come appare dalla relazione Caravaggio del 1875-1876, grandi erano le disfimioni, causate dalla legge stessa, che toglievano una crescente parte delle rendite alla beneficenza per indirizzarle al mantenimento del personale delle istituzioni. Dalla metà degli anni Settanta cresceva la convinzione che fosse necessaria una riforma completa dell'assetto delle Opere pie. Il F., appena eletto, ne ribadì la necessità nella seduta dell'8 giugno 1880, con l'obiettivo di arrivare ad un "più efficace sollievo alle classi più povere". Cinque anni più tardi, nella seduta del 13 maggio 1885, ritornava sull'argomento sottolineando l'accresciuta urgenza di provvedimenti.
Strettamente legato alla questione sociale era, secondo il F., il problema del suffragio universale, necessario per togliere forza e ragione al movimento rivoluzionario.
Il suffragio universale avrebbe portato in Parlamento, secondo il F., le classi subalterne, permettendo loro da una parte di esporre i propri problemi alle altre classi, di cui avrebbero potuto, d'altra parte, riconoscere gli sforzi filantropici. Il voto legato al censo non rispecchiava più, inoltre, le condizioni della società moderna in quanto la ricchezza non era più legata alla proprietà terriera. Le argomentazioni del F. si basavano su un'idea di Stato, già espressa in una seduta del 21 apr. 1883, che si colloca al di sopra delle parti, rafforzando, attraverso l'abolizione di ogni privilegio, l'assetto della società.
Vide inoltre connessa, con la questione sociale, la riforma dell'istruzione primaria. Nelle vicende più propriamente politiche si distinse per l'opposizione alla politica coloniale chiedendo nel 1887, e a causa del previsto estendersi dell'azione in Africa, che tale azione fosse posta sotto il controllo del Parlamento. In linea di principio non era comunque contrario ad una politica coloniale tanto che sempre nel 1887 si pronunciò in favore - anche per ragioni di prestigio - del mantenimento della stazione militare in Massaua. Riteneva poi che una politica coloniale potesse essere intrapresa solamente da una nazione forte e sana per non distogliere le risorse economiche, finanziarie e morali dalla costruzione dello Stato. Sempre a favore di un più ragionevole utilizzo delle risorse, ma soprattutto per una più profonda affinità con la Francia, si espresse ripetutamente contro la Triplice Alleanza, pur non negando la necessità di rapporti amichevoli con la Germania.
Il F. aderì al patto di Roma, cioè al programma politico, sviluppato in gran parte da Felice Cavallotti e approvato dal congresso democratico svoltosi nel maggio del 1890, a cui avevano preso parte soprattutto le associazioni radicali, accanto ad alcune repubblicane, operaie e socialiste. Nello stesso arco di tempo però divenne più palese la sua linea politica moderata. Nelle elezioni amministrative del 10 nov. 1889 aveva aderito ad una lista formata prevalentemente da moderati che si contrapponeva ad un'altra concordata tra repubblicani, socialisti ed indipendenti. L'anno dopo, per le elezioni politiche del 23 nov. 1890, si ritirò solo all'ultimo momento da una lista guidata da Alessandro Fortis. Parimenti, l'avvento del primo governo Rudinì lo vide "anche troppo" disposto "a compromessi e opportunistici cedimenti" (Cavallotti). Questa linea, espressione di "impazienza" secondo il Cavallotti, portò, nella primavera del 1892, alla fondazione della corrente legalitaria.
Per diverse legislature il F. fu membro della commissione parlamentare per il Bilancio. Durante il governo Rudinì fece parte di una commissione reale d'inchiesta sulla colonia Eritrea, istituita dal presidente del Consiglio dei ministri; non volle rendere pubblico il suo dissenso dalla relazione finale, secondo il Del Boca "un capolavoro di reticenza, di ambiguità, di sfumature, di difese d'ufficio dei comandanti superiori e dell'onor militare". Con il primo ministero Giolitti, infine, caratterizzato da un programma di concrete riforme politiche, economiche e sociali ed incentrato tutto sulle forze della Sinistra, accettò, nel maggio del 1893, l'offerta di una carica governativa come sottosegretario al ministero degli Esteri. Dopo la caduta di Giolitti, nel dicembre del 1893, il F. tornò all'opposizione accentuando comunque il carattere moderato del suo indirizzo politico; tanto è vero che egli, insieme all'ex ministro agli Esteri, B. Brin, sconsigliava di rivolgersi, per la formazione di un nuovo governo, alle correnti costituzionali e repubblicane. Venne rieletto nelle elezioni politiche nel maggio del 1895.
Strettamente legato alle attività politiche era il suo impegno nel campo del giornalismo.
In particolare collaborò a Patria (quotidiano "Organo della democrazia parlamentare") che fu portavoce del gruppo "legalitario" e che nacque nel settembre del 1892. Fu inoltre, nel 1890, membro del consiglio direttivo del giornale romano La Capitale.
Accanto a questa attività politica s'impegnò nell'amministrazione provinciale romagnola; venne eletto, nell'agosto del 1894, vicepresidente del Consiglio provinciale, mentre Alessandro Fortis ne divenne presidente.
Il F. venne ucciso a Rimini il 10 giugno del 1895 durante un diverbio notturno con un gruppo di giovani. Senza dubbio si trattò di un incidente anche se, in un primo momento, la polizia si orientò verso un complotto politico di stampo socialista.
I discorsi tenuti alla Camera sono stati pubblicati a Roma nel 1896.
Fonti e Bibl.: Forli, Biblioteca comunale, Collezione Piancastelli, Carte Romagna, ad nomen;L. Brangi, Imoribondi di Montecitorio, Torino 1889; F. Martini, Simpatie (Studi e ricordi), Firenze 1900, pp. 398 s.; Le carte di A. Bertani, Milano 1962, pp. 810 s.; F. Cavallotti, Lettere 1860-1898, a cura di C. Vernizzi, Milano 1979, p. 293; A. Bignardi, Un illustre liberale riminese: L. F., Bologna 1957; L. Lotti, Irepubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, pp. 24, 84, 91, 94 ss.; G. Manacorda, Ilprimo ministero Giolitti, in Studi storici, II (1961), pp. 70-73; R. Colapietra, Ilradicalismo legalitario, in Rassegna di politica e di storia, VIII (1962), luglio, p. 31; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, ad Ind.;A. Galante Garrone, Iradicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, pp. 192, 260, 287, 294; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale, I, Dall'Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, p. 443; R. Balzani, La "Vandea rossa" nell'età della Sinistra: repubblicani e radicali in Romagna (1878-1881), in Sinistra costituzionale, correnti democratiche e società italiana dal 1870 al 1892. Atti del XXVII Convegno storico toscano (Livorno, 23-25 sett. 1984), Firenze 1988, pp. 243, 245; M. Ridolfi, Ilpartito della Repubblica. I repubblicani in Romagna e le origini del PRI nell'Italia liberale (1872-1895), Milano 1989, pp. 15, 65; T. Sarti, IlParlamento subalpino, Roma 1896- 1898, ad vocem.