Firpo, Luigi
Tra i maggiori storici novecenteschi del pensiero politico, F., nato a Torino nel 1915 e ivi morto nel 1989, fece di M. uno dei ‘suoi’ autori e non a caso proprio con un corso su di lui volle chiudere la propria carriera di docente universitario nel 1984-85. Se Tommaso Campanella fu indubbiamente l’autore prediletto dal F. filologo e storico delle idee, nel F. docente universitario di storia delle idee politiche, M. occupò un ruolo preminente (Baldini 2006, pp. 156-58).
Nei primi anni della sua attività di studioso, in effetti, F. pubblicò solo su Campanella e ben presto anche su Traiano Boccalini; ma forse proprio le critiche e le ‘attenzioni’ dedicate da entrambi al Fiorentino sembrano porsi alle origini dell’interesse di F. per M. e per le varie forme di machiavellismo e antimachiavellismo. Tuttavia, M. si impose all’attenzione di F. anche per altre strade, prima fra tutte quella della devozione e della contiguità scientifica con gli studi di Federico Chabod (→). Non è casuale il fatto che i primi contributi di F. su M. e su Chabod cadano entrambi nel 1960, quando pubblicò la prima versione della Bibliografia dello storico valdostano e inaugurò la serie delle Strenne Utet con il facsimile della prima impressione del Principe (quella di Antonio Blado del 1532), facendola precedere dall’introduzione di Chabod all’edizione del 1924; la stessa edizione che F. avrebbe riproposto pochi mesi più tardi (1961) per i tipi Einaudi, integrandola «con opportuni aggiornamenti», con aggiunte nelle note e con un supplemento bibliografico. In ogni caso, saranno suoi gli interventi introduttivi a due dei più significativi convegni organizzati nel 1969 in Italia nel cinquecentenario della nascita di M.: quello di Sancasciano-Firenze dell’Istituto nazionale sul Rinascimento, dove tenne la puntuale relazione Nel V centenario del Machiavelli, e quello di Perugia su Machiavellismo e antimachiavellici nel Cinquecento, allorché affrontò le Origini dell’antimachiavellismo (entrambe le relazioni in L. Firpo, Scritti sul pensiero politico del Rinascimento e della Controriforma, 2005, pp. 3-23 e 24-56).
Il M. di F. era ben calato nel suo tempo e non solo nella sua Firenze. I suoi «fratelli spirituali» erano quindi per F. personaggi come «il Filarete, il Brunelleschi, il Sangallo, Leonardo», che non appartenevano «alla casta degli uomini di lettere», ma erano cittadini accomunati da interessi sperimentali che vivevano «un mondo laico, scettico, diffidente del metafisico e del soprannaturale, assetato di chiarezza concettuale, di conoscenza concreta, di autonomia sperimentale» (Nel V centenario del Machiavelli, cit., p. 4).
Il M. che vuol fare della storia una scienza empirica e che – senza ombra di determinismo e in piena conformità con la sua concezione dell’immutabilità delle passioni e della natura umana – si percepisce e si propone come scienziato politico, indica ai detentori del potere, e ai principi in particolar modo, quelle norme e quelle virtù politiche che permetteranno loro di farsi Stato, di conservarlo e ingrandirlo. Ecco allora il senso di una ‘fortuna’ che riflette la visione sconsolata di un universo dominato dal caso e quello di una ‘virtù’ che
germoglia dall’ottimismo pragmatico spavaldo ed è quasi il simbolo di quell’alacre spirito borghese, intraprendente e sordo alla rassegnazione, che dalla matrice dei vecchi comuni aveva dato vita alla fioritura della Rinascita (Nel V centenario di Machiavelli, cit., p. 5).
In ogni caso il M. di F. non negava in alcun modo la morale positiva: soltanto affermava che il principe doveva essere pronto a infrangerla quando era in gioco la salvezza dello Stato e quindi il proprio potere. I valori che dovevano guidarlo erano infatti solamente politici, come politiche erano sia le leggi che era tenuto a conoscere e ad applicare, pena la perdita dello Stato e della vita, sia le virtù che dovevano essergli proprie.
Era scontato che tali affermazioni risultassero del tutto inaccettabili già agli albori della Controriforma: F. dedicò all’inevitabile condanna accurate ricerche, trovando anche in queste chiara conferma di quanto M. fosse convinto che l’insopprimibile conflittualità politica potesse trovare una composizione solo attraverso scelte e comportamenti ‘scientifici’ e rigorosamente ‘professionali’.
Bibliografia: N. Machiavelli, Il Principe, a cura di L. Firpo, introduzione e note di F. Chabod, Torino 1961; Profilo di A. Gerber, in A. Gerber, Niccolò Machiavelli: die Handschriften, Ausgaben und Uebersetzungen seiner Werke im 16. und 17. Jahr hundert, Torino 1962, pp. V-VIII; Le origini dell’antimachiavellismo, in Machiavellismo e antimachiavellici nel Cinquecento, Atti del Convegno, Perugia 1969, «Il pensiero politico», 1969, 2, pp. 337-67, e Nel V centenario del Machiavelli, in Il pensiero politico di Machiavelli e la sua fortuna nel mondo, Atti del Convegno internazionale, Sancasciano-Firenze 1969, Firenze 1972, pp. 1-20, entrambi poi in Id., Scritti sul pensiero politico del Rinascimento e della Controriforma, Torino 2005, pp. 24-56 e 3-23; Machiavelli e la ragion di Stato, in Categorie del reale e storiografia. Aspetti di continuità e trasformazione nell’Europa moderna, Atti del Convegno internazionale di studi, Università della Calabria 1981, a cura di F. Fagiani, G. Valera, Milano 1986, pp. 29-30.
Per gli studi critici si vedano: A.E. Baldini, F. Barcia, Bibliografia degli scritti di Luigi Firpo (1931-1989), in Studi politici in onore di Luigi Firpo, 4° vol., a cura di F. Barcia, S. Rota Ghibaudi, Milano 1990, pp. 563-789; A.E. Baldini, Il Machiavelli di Firpo, in Machiavelli nella storiografia e nel pensiero politico del XX secolo, Atti del Convegno, Milano 2003, a cura di L.M. Bassani, C. Vivanti, Milano 2006, pp. 139-66.