FOGAR, Luigi
Nacque a Peuma, presso Gorizia, il 27 genn. 1882, penultimo di nove figli, da Luigi, agiato commerciante e proprietario terriero, e da Caterina Zotti. Compì gli studi ginnasiali a Gorizia e, dal 1898, nell'istituto diretto dai benedettini dell'abbazia di Marienburg (Merano), dove nel 1903 conseguì il diploma di maturità. Decise allora di intraprendere la carriera ecclesiastica, contrariando il padre, di idee liberali. Dal 1903 al 1907 frequentò la facoltà teologica di Innsbruck come allievo del "Canisianum", prestigioso collegio internazionale dei gesuiti, punto di riferimento per i chierici austriaci destinati a brillanti carriere ecclesiastiche. Ordinato nel 1907 dal vescovo di Bressanone, studiò per un anno teologia all'università Gregoriana di Roma.
Nel 1908 tornò a Gorizia, dove venne nominato prefetto del seminario minore. Dal 1910 fu insegnante di religione all'imperialregio ginnasio di Gorizia e professore di teologia fondamentale al seminario centrale. Allo scoppio della prima guerra mondiale si recò a Lubiana, dove si dedicò all'assistenza degli sfollati goriziani, garantendo in particolare a quelli italiani predicazione, confessione ed istruzione religiosa nella lingua madre. In qualità di presidente del comitato per i profughi visitò i campi di internamento. Continuò nel frattempo gli studi e nel 1917 conseguì ad Innsbruck il dottorato in teologia, passando poi a Graz, dove diresse il convitto per gli studenti sfollati.
Dopo Caporetto tornò a Gorizia come segretario dell'arcivescovo F.B. Sedej; venne nominato inoltre professore di storia ecclesiastica e direttore spirituale al seminario centrale, che serviva tutte le diocesi del litorale (oltre a Gorizia, Trieste-Capodistria, Parenzo-Pola e Veglia). Durante la guerra si adoperò per l'apertura del ginnasio italiano, che sarebbe stata attuata solo alla fine del conflitto. Cionondimeno al passaggio di Gorizia sotto la sovranità italiana - quando il F. entrò a far parte del comitato che amministrava la città durante il trapasso dei poteri - la cattedra gli sarebbe stata revocata dalle autorità d'occupazione.
All'accusa di "austriacantismo" contribuì sicuramente non poco la sua protesta dal pulpito per la minacciata abolizione dell'insegnamento religioso nelle scuole, prospettata dal Commissariato generale civile in uniformità con la legislazione vigente in Italia. Il vescovo lo nominò catechista dell'educandato di Nótre-Dame. Fu soprattutto però l'attività svolta nelle file del Partito popolare goriziano, schierato sino agli ultimi giorni del conflitto su posizioni lealistiche nei confronti della monarchia asburgica, a renderlo sospetto alle nuove autorità, tanto più che il F. ne capeggiava la corrente di maggioranza, che propugnava il ritorno di L. Faidutti e G. Bugatto, considerati dalle autorità d'occupazione e da una parte stessa degli iscritti troppo compromessi con il passato governo.
Nel 1922 fondò il circolo giovanile cattolico "Per crucem ad lucem", aderente all'Azione cattolica italiana: l'impegno a favore di tale organizzazione avrebbe caratterizzato anche la sua attività successiva di vescovo di Trieste. Dopo le dimissioni del vescovo A. Bartolomasi, il 7 luglio 1923 Pio XI lo nominò infatti vescovo di Trieste e Capodistria. La consacrazione ebbe luogo a Gorizia il successivo 14 ottobre.
Si trattò di una scelta osteggiata dagli ambienti fascisti locali per la fisionomia politica del designato, ma che poté vantare numerosi argomenti a proprio favore nel momento in cui, con tutta evidenza, da parte del governo italiano si puntava all'accantonamento dei vescovi sloveni nelle diocesi del confine orientale. Il F. era italiano ed aveva avuto una formazione, oltre che di alto livello, "anomala" rispetto a quella dei corregionali, i cui studi si svolgevano normalmente presso il seminario centrale di Gorizia, ritenuto una roccaforte dello "slavismo". Aveva una conoscenza appena sufficiente delle lingue slovena e croata e sino a quel momento non risultano sue prese di posizione in merito alle misure che sin dall'immediato dopoguerra tendevano all'assimilazione in tempi brevi delle minoranze.
La procedura di insediamento non fu tuttavia semplice: Il F. rifiutò di chiedere il placet governativo, accampando motivazioni di principio. Non si può escludere che per suo tramite la S. Sede sondasse la disponibilità del nuovo governo a recepire il principio secondo cui la Chiesa conservava i suoi diritti anche di fronte ad un mutamento di confini, primo passo per riconsiderare alcuni aspetti della legislazione ecclesiastica in Italia. L'accondiscendenza di B. Mussolini, che permetteva l'insediamento del nuovo vescovo il 26 marzo 1924, può essere letta come uno di quei segnali di buona volontà su cui si costruirono le premesse della discussione concordataria.
Il F. fu vescovo di Trieste negli anni della più dura applicazione della linea italianizzatrice. La base ideologica del blocco di forze che sosteneva Mussolini non prevedeva la permanenza di corpi estranei nel tessuto nazionale e individuava nel clero sloveno e croato un fattore decisivo di resistenza a quel processo di assimilazione che rappresentava la "inesorabile" conseguenza della "superiore" civiltà italiana. Accettando le dimissioni del Bartolomasi la S. Sede non intendeva però cedere su punti che avrebbero rischiato di compromettere la sua presenza tra le popolazioni allogene (come venivano definite nel linguaggio burocratico le nazionalità diverse da quella dominante). Catechesi e predicazione nella lingua dei fedeli erano da sempre strumenti irrinunciabili. In questa direzione vanno lette le istruzioni inviate al F. nel 1924 dal segretario di Stato P. Gasparri, il quale lo metteva in guardia da tutto ciò che avrebbe potuto farlo apparire corresponsabile con l'autorità civile di misure impopolari presso le popolazioni slave e lo esortava a vigilare in particolare su predicazione e catechismo in lingua materna.
Il nuovo vescovo non tardò a rivolgersi alla S. Sede, lamentando (1925) le pressioni che il clero sloveno e croato subiva proprio su questo terreno, prospettando il pericolo dello scisma in direzione della Chiesa ortodossa: un'eventualità non troppo astratta se si pensa che un episodio analogo si era verificato proprio nella diocesi di Trieste appena un ventennio prima. Le rimostranze vennero trasmesse al governo dal gesuita padre P. Tacchi Venturi, tramite privilegiato fra la segreteria di Stato ed i vertici del regime. Le assicurazioni che ne derivarono erano destinate a restare lettera morta.
qNel 1925 la prospettiva dell'assimilazione graduale di sloveni e croati (alla quale era favorevole anche parte del clero italiano) cedette il passo a quella della snazionalizzazione in tempi brevi. In particolare per quanto riguardava il clero, al sostegno finanziario a sacerdoti e religiosi attivamente schierati nell'opera di "italianizzazione" si affiancò la repressione del clero allogeno, volta ad ottenerne l'allontanamento. Accusati dalla stampa di fornire appoggio ai gruppi nazionalistici clandestini, numerosi sacerdoti allogeni si videro negata la cittadinanza italiana, mentre venivano sciolte tra il 1926 e il 1927 le organizzazioni a carattere economico e culturale di cui erano stati promotori.
Su questo terreno il F. non si sarebbe mostrato mai disposto a cedimenti. La difesa del diritto dei fedeli all'istruzione religiosa e predicazione nella lingua materna fu un punto su cui si dimostrò irriducibile. Con la pastorale del febbraio 1925 intervenne per la prima volta pubblicamente, a favore dei molti sacerdoti divenuti bersaglio di accuse "ingiuste" da parte di "persone anche influenti". La linea di difesa abbozzata in questo passaggio era quella su cui si sarebbe attestato negli anni successivi.
Il 12 febbr. 1927 venne siglato un primo accordo tra il vescovo, il prefetto dell'Istria ed il Partito nazionale fascista. Introdotta ovunque la predica in italiano, come richiesto dal "trapasso etnico" in atto, il mantenimento di quella in lingua siovena e croata diventava una concessione a termine, in attesa che immigrazione e italianizzazione cambiassero il volto etnico della zona. Nel 1928, insieme con l'arcivescovo di Gorizia F. Sedej e con quello di Parenzo-Pola T. Pederzolli, mandò un memoriale a Mussolini sollecitandone l'intervento presso le autorità periferiche. Si trattava di una distinzione di responsabilità che i fatti si sarebbero incaricati di rendere più insostenibile. La decisione di ridurre drasticamente gli spazi a lingue diverse dall'italiana partiva dal centro, come avrebbe mostrato nel giugno dello stesso anno la decisione del ministro della Pubblica Istruzione di rimpiazzare in tempi brevi nelle prime tre classi elementari con l'italiano le lingue materne slave (sloveno o croato) eventualmente in uso.
Proclamando, nella pastorale per la quaresima del 1928, l'impossibilità di restare neutrali di fronte ad "empietà e persecuzione", il F. doveva registrare anche la scarsa eco dei propri sforzi tra una larga parte dei fedeli. Quella che veniva alla luce sempre più chiaramente nella sua vicenda era la netta separazione, quando non si trattava di contrapposizione, tra la componente italiana e quella slava della diocesi. Già in atto nell'ultima fase dell'Impero austro-ungarico, i contrasti nazionali venivano approfonditi dalla politica del fascismo con nuovi motivi di risentimento. Difendendo la parte discriminata, il F. si esponeva inevitabilmente al rischio di essere identificato con essa a mano a mano che l'apparato propagandistico del regime faceva presa su una popolazione italiana già predisposta ad accogliere questo tipo di parole d'ordine. Il vescovo diventava il "paladino degli slavi", e questo nonostante l'intensa attività dispiegata in campo pastorale e a favore di iniziative - quelle di Azione cattolica in primo luogo - introdotte nella Venezia Giulia nel dopoguerra e di fatto limitate alla popolazione italiana, soprattutto giovanile, di Trieste e delle cittadine istriane. La frattura percorse lo stesso clero, come si evince da un decreto dell'aprile 1928, con cui il vescovo si trovò costretto a proibire ogni cambiamento non autorizzato di lingua nella predicazione e nelle funzioni non strettamente liturgiche.
La posizione del F. era destinata, dopo i Patti lateranensi del 1929, a diventare sempre più isolata all'intemo della Chiesa italiana, ormai sulla strada di un marcato consenso al regime. Il tema dei diritti dei fedeli allogeni sarebbe stato ripreso dall'Osservatore romano ancora il 25 genn. 1931 (non a caso nel quadro dell'incipiente crisi sull'Azione cattolica). Nel complesso però gli ambienti vaticani lo trattavano con sempre maggiore imbarazzo, mentre si intensificava la campagna di stampa a favore della snazionalizzazione, contrappunto all'incalzare di provvedimenti ai danni di sacerdoti slavi.
Nel contrasto sulle associazioni giovanili di Azione cattolica si inserì nel marzo successivo la crisi provocata dall'invito dell'arcivescovo di Zagabria a pregare per i connazionali in Italia. L'iniziale intransigenza della segreteria di Stato, che rifiutava di deplorare l'iniziativa, confortava quella del vescovo triestino, di cui erano espressione la lettera pubblica inviata nel marzo 1931 all'arcivescovo di Gorizia Sedej per il suo giubileo episcopale e un memoriale al procuratore generale della corte d'appello di Trieste. Il clero non può cedere sul punto della lingua, vi si ribadiva, pena veder svuotarsi le chiese. Nell'aprile, ricevuto da Mussolini ne venne rassicurato, ma orinai, con il ricomporsi dei rapporti tra fascismo e S. Sede, l'isolamento del F. era destinato ad aggravarsi ulteriormente, soprattutto dopo la morte nel 1931 dell'amico Sedej, sostituito in qualità di amministratore apostolico da G. Sirotti, un deciso fautore del programma di italianizzazione forzata e dichiarato avversario della linea del Fogar.
Questi fu costretto sempre più sulla difensiva, a cercare cioè di salvare spazi sempre più esigui di sopravvivenza per il clero allogeno a prezzo di un'accettazione formale del progetto di italianizzazione, come emerge dall'accordo del 16 apr. 1932 che riproponeva per Trieste i termini di quello del 1927. Si inasprivano intanto le divisioni all'interno del clero diocesano, mentre la nomina nel 1932 a prefetto di Trieste dell'ex squadrista C. Tiengo segnava l'inizio dell'ultimo pesante attacco al vescovo. La sua posizione fu aggravata dal fatto di essere diventato agli occhi della comunità slovena e croata, e negli ambienti iugoslavi, una figura simbolo.
Ebbe inizio nel 1934 la violentissima campagna di stampa che, due anni più tardi, lo avrebbe costretto alle dimissioni.
In un discorso pronunciato il 3 gennaio ai chierici del seminario di Gorizia - il cui contenuto venne divulgato, in una versione fortemente strumentale, dal Piccolo di Trieste - egli deplorava le attuali divisioni e riaffermava una volta di più il diritto di ciascuno di usare la propria lingua, non senza accusare implicitamente monsignor Sirotti di aver fornito materiale agli articoli pubblicati contro di lui. La campagna, che non risparmiò al vescovo le accuse più basse ed infondate (come quella di appropriazione indebita), culminò, nella primavera del 1936, nella proibizione da parte del prefetto di celebrare la liturgia slovena in alcune chiese cittadine. Il F. replicava in maggio con una circolare ai parroci dal titolo Siano rispettate le consuetudini diocesane per ciò che riguarda il culto. Nella trattativa con la S. Sede il regime partiva da una posizione di forza: il ripristino della predica slovena era troppo importante per il mantenimento di una presenza, che negli ultimi anni era stata sempre più erosa, tra la popolazione di quella nazionalità. L'allontanamento di un vescovo dimostratosi, dal punto di vista romano, di costante pregiudizio ai rapporti con le autorità, diventava un prezzo tutto sommato accettabile.
Le dimissioni del F. vennero sollecitate a questo punto dalla stessa S. Sede, che nell'ottobre 1936 lo nominò arcivescovo di Patrasso. Trasferitosi a Roma, il F. svolse funzioni di vicario del cardinale B. Aloisi Masella, arciprete di S. Giovanni in Laterano. Alla morte di questo diventò canonico lateranense. Nel 1941 avrebbe avuto modo di intervenire ancora una volta - ufficiosamente e senza successo - nelle vicende triestine, nel tentativo di evitare la pena di morte ad un gruppo di militanti comunisti, catturati nel corso di operazioni in collegamento con il fronte di liberazione iugoslavo.
Il F. morì a Roma il 26 ag. 1971.
Fonti e Bibl.: Oltre alla documentazione conservata nell'Arch. vescovile di Trieste, documenti nell'Arch. della Curia arcivescovile di Gorizia, fasc. Fogar e in diversi fondi dell'Arch. centrale dello Stato in Roma, Ministero degli Interni, Direz. generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati e Direz. generale degli Affari del culto; nel Historiyski Arhiv di Pisino (Croazia); nel Institut za noveiso zgodovino di Lubiana (Slovenia); nel National Archive di Washington (documentazione in copia presso l'Istituto per la storia del movimento di liberazione del Friuli - Venezia Giulia di Trieste). Le lettere pastorali e gli atti ufficiali dell'episcopato del F. sono pubblicati in Vita nuova e Folium dioecesanum. Si veda inoltre: R. Klinec, F., in Primorski slovenski biografski Leksikon (Dizionario biografico del litorale sloveno) Gorizia 1977, pp. 373-377; L. Cermelj, Il vescovo Antonio Santin e gli Sloveni e Croati delle diocesi di Fiume e Trieste-Capodistria, Ljubljana 1953, p. 50; D. Klen, Neki dokumenti o svećenstvu u Istri (Alcuni documenti relativi al clero in Istria), Zagreb 1955; C. Schiffrer, Chiesa e Stato a Trieste durante il periodo fascista, in Trieste, X (1963), 58, pp. 4-6; G. Botteri, L'esempio di mons. F., ibid., XI (1965), 69, pp. 4-10; E. Apih, Italia, fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari 1966, ad Indicem; F. Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione, Bari 1966, pp. 486 s.; G. Botteri, Documentisu mons. F., in Trieste, XVIII (1971), 93-94, pp. 9-17; C. Medeot, I cattolici del Friuli orientale nel primo dopoguerra, Gorizia 1972, pp. 39 s., 59-63, 133-136; Note sull'episcopato di mons. L. F. (1924-36), in Chiesa e società, I (1973), 1, p. 7; C. Silvestri, I primi attacchi fascisti a mons. F., in Iniziativa isontina, VIII (1973), p. 28; L. Cermelj, Sloveni e Croati in Italia tra le due guerre, Trieste 1974, passim; G. Miccoli, La Chiesa di fronte alla politica di snazionalizzazione, in Boll. dell'Ist. regionale per la storia del movim. di liberazione nel Friuli - Venezia Giulia, IV (1976), 2-3, pp. 30 s.; F. Belci, La Chiesa di fronte alla politica di snazionalizzazione della diocesi di Trieste: le contraddizioni di un'alleanza, in Italia contemporanea, gennaio-marzo 1978, pp. 25 s.; P. Zovatto, L. F. ultimo vescovo "asburgico" a Trieste, in Storia contemp. inī Friuli, VIII (1978), pp. 269-335; R. Klinec, Primorska duhovèčina pod faèizmom (Il clero del litorale sotto il fascismo), Gorizia 1979, ad Indicem; G. Fornasir, Un vescovo scomodo in epoca fascista a Trieste: mons. L. F., Udine 1980; F. Belci, Chiesa e fascismo a Trieste: storia di un vescovo solo, in Quale storia, XIII (1985), 3, pp. 43-97; 1. Santeusanio - L. Pillon, Camillo Medeot, Gorizia 1993, ad Indicem.