FORNACIARI, Luigi
Nacque a Lucca il 17 sett. 1798 da Angelo, "tesoriere pubblico" nell'amministrazione ducale, e da Rosaria Tognini.
Studiò grammatica e retorica nelle scuole di S. Frediano a Lucca sotto la direzione dell'abate F. Pierotti e per il greco fu allievo dell'erudito C. Lucchesini, che lo prese sotto la sua protezione guidandolo nel proseguimento degli studi. Dalla vastità degli interessi coltivati dal Lucchesini il F. ebbe inoltre stimolo a incrementare una preparazione di ampio raggio che spaziava nei diversi campi della filologia classica, della letteratura italiana, della teologia e delle scienze fisico-matematiche. Nel Lucchesini tale ampiezza di interessi coesisteva, però, con un rigido conservatorismo, una severa religiosità e un gusto classicheggiante d'ascendenza arcadica che influenzarono il F., avvicinandolo a personalità della vita culturale lucchese, quali Teresa Bandettini e L. Papi.
Contemporaneamente il F., non per inclinazione ma per motivi pratici, intraprendeva a Lucca gli studi di giurisprudenza. Conseguita la laurea, alla fine del 1820 si trasferì a Roma, per far pratica legale presso lo studio dell'avvocato O. Tavecchi. A Roma, dove rimase fino alla metà del 1822, ebbe modo di frequentare G. Petrucci e L. Biondi, esponenti del classicismo romano e animatori del Giornale arcadico, che rafforzarono i suoi orientamenti classicheggianti.
Tornato a Lucca nell'estate del 1822, proseguì e terminò (1824) il periodo di pratica legale. Il 17 nov. 1824 ottenne la nomina a professore di belle lettere e lingua greca nel liceo di Lucca, incarico che mantenne fino all'ottobre 1830, essendo nel frattempo (1826) sfumata, per l'opposizione di V. Fossombroni, la speranza del F. di ottenere - grazie anche all'interessamento del Lucchesini e di G. Pellegrini - la cattedra di istituzioni canoniche nell'università di Pisa.
All'esperienza presso il liceo lucchese e ai rapporti non sempre distesi del F. con la prassi e i programmi didattici di quell'istituto sono riconducibili le sue prime pubblicazioni: l'introduzione e il commento alle odi pitiche prima e seconda e alla terza istmica, nell'edizione di Pindaro per cura di C. Lucchesini (Lucca 1826; poi ristampate con correzioni nel V volume delle Opere edite e inedite dello stesso Lucchesini, ibid. 1832) e i due volumi degli Esempi di bello scrivere in prosa e in poesia (ibid. 1829 e 1830).
Gli Esempi costituiscono la concretizzazione delle controverse innovazioni didattiche da lui sperimentate nell'insegnamento dell'italiano e un momento decisivo nella maturazione della sua prospettiva puristico-classicista. A una didattica dell'italiano subordinata a quella del latino e finalizzata prevalentemente alla formazione grammaticale e retorica dell'alunno viene sostituito lo strumento dell'antologia di passi esemplari con un sobrio commento linguistico e stilistico. Nelle intenzioni del F. i brani, divisi per generi e forme metriche, sono destinati, dopo la lettura e la spiegazione in classe da parte dell'insegnante, a essere copiati e assimilati dall'alunno che, creandosi in tal modo una sensibilità, un gusto linguistico autonomi, spontaneamente, per imitazione "sovra gli esempi" proposti "procuri di foggiare i suoi scritti" (Avviso premesso alla prima edizione degli Esempi, p. 7). L'antologia del F., pertanto, da un lato si configura come un manuale di avviamento alla scrittura, mentre dall'altro si propone come una guida-campionario degli autori italiani più rappresentativi della tradizione classica. In quest'ultima prospettiva le Considerazioni generali su' diversi tempi della lingua italiana premesse agli Esempi (2ª ed., Lucca 1838), fornendo al lettore il quadro cronologico in cui sono inseriti gli autori antologizzati, più che come prospetto di storia letteraria italiana si caratterizzano come una rassegna-canone (stilata con intelligente purismo e vivo senso di lingua e stile) delle epoche e degli scrittori esemplari (o da evitare).
La pubblicazione degli Esempi (che ebbero un'ininterrotta fortuna come libro di testo fino agli inizi del Novecento), se per un verso costituì la prima sistemazione e la prima concreta attuazione del ragionevole purismo del F., d'altro canto segna una svolta importante nella sua vicenda biografica. Nel 1830, infatti, il F., che qualche anno prima (1825) si era sposato con Teresa Martinelli (matrimonio da cui nacquero quattro figli, ultimo dei quali, nel 1837, Raffaello), spinto dalle necessità familiari lasciò l'insegnamento delle lettere italiane e latine (conservando, tuttavia, l'incarico del greco), per entrare in magistratura, ricoprendo dapprima l'incarico di giudice, poi (1830-1838) di presidente della rota criminale di Lucca.
La carriera di magistrato e i numerosi obblighi a essa connessi limitarono fortemente la possibilità del F. di dedicarsi agli studi letterari, coltivati da ora in poi nei momenti liberi e quasi come riscatto dalla non gratificante attività di giudice (v. lettere a G. Manuzzi, S. Betti, B. Puoti e G.P. Vieusseux, del quale rifiuta garbamente la proposta di collaborazione all'Antologia nel 1832: Epistolario, pp. 32 s.). Così, il F., che nel 1826 era stato aggregato alla R. Accademia lucchese (divenendone nello stesso anno segretario perpetuo), in quella sede lesse il discorso Delle trasposizioni e delle parole composte nella poesia italiana (Lucca 1831).
In esso l'uso, nel linguaggio poetico, di inversioni sintattiche e di vocaboli composti è rivendicato come legittimo in quanto intimamente connaturato alla tradizione dei classici italiani. Si condannano, tuttavia, anche le intemperanze di quegli autori che, abusando di tali ornamenti, finiscono per inceppare e rendere oscuro il dettato, e il rigore di quei classicisti moderni (tra i quali S. Betti) che, in nome di un malinteso purismo, ne censurano l'uso.
Analoga ricchezza di documentazione e moderazione di giudizio si riscontrano nel primo dei due discorsi più celebri, Del soverchio rigore dei grammatici (letto, anch'esso, all'Accademia lucchese il 27 gennaio 1835, Lucca 1836), nel quale il F. deplora la scarsa conoscenza dei classici da parte dei letterati contemporanei e in cui compare evidenziata, inoltre, l'importanza dell'uso parlato (toscano) e popolare della lingua che verrà poi ribadita nel secondo discorso (letto presso l'Accademia lucchese il 10 genn. 1839, Lucca 1840).
Se tali posizioni del F., generosamente devianti rispetto ai suoi presupposti puristici, possono sembrare un'anticipazione della proposta manzoniana sulla lingua, va osservato che - oltre a risultare socialmente indeterminato il concetto di "quel popolo che parla la lingua che Italia scrisse" - il toscano parlato risulta apprezzato non tanto nella sua natura di parlato spontaneo ma come depositario dei vocaboli, delle modalità espressive e degli stilemi codificati nelle opere dei trecentisti e dei più eletti scrittori umanistico-rinascimentali. Analogamente, l'apertura di credito al romanticismo che compare in un altro degli scritti di questo periodo (l'Elogio di T. Bandettini, letto all'Accademia lucchese il 30 maggio 1837), trova decisi ridimensionamenti in scritti di poco posteriori.
Tra questi si possono ricordare: una lettera del 6 maggio 1839 al padre A. Bresciani (Epistolario, pp. 74-77), nella quale il F. mostra di condividere l'assoluta avversione del gesuita verso le posizioni romantiche, e una seconda lettera, datata 14 sett. 1839, all'editore pisano G. Nistri (ibid., pp. 77-81) in cui i romantici vengono apostrofati con gli epiteti di "filosofeggianti e bastardeggianti". Giudizi che del resto consuonano con la descrizione (nelle già ricordate Considerazioni generali… del 1838) dell'Ottocento come secolo minacciato dal nuovo secentismo conseguente all'esterofilia romantica, e con i pericoli che ne derivano di snaturamento della "buona lingua… stranamente immischiata e confusa col bastardume straniero". Pericoli ai quali si può scampare solo valorizzando la figura e l'opera di rinnovatori dell'insegnamento e benemeriti nella "difesa" della lingua e dei valori, anche morali, dell'"italianità", quali il Puoti (cui è dedicato lo scritto Sulla scuola di B. Puoti. Lettera all'ab. G. Marcucci, Lucca 1835) e il Bresciani (v. il discorso, letto all'Accademia lucchese il 27 giugno 1839, Intorno ad alcune opere del p. A. Bresciani, ibid. 1839). Nel momento più fecondo dell'attività letteraria del F., quindi, il suo purismo si caratterizza per un senso spiccato della lingua viva e per non comuni doti di moderazione.
Nel decennio successivo, oltre all'intensificarsi degli impegni di magistrato (che ricoprì in questo periodo gli incarichi di avvocato regio, dal 1837 al 1845, e di presidente della rota criminale, 1845-47), si assiste a un rifluire dei motivi morali ispiratori del suo classicismo verso ambiti extraletterari. In primo luogo, religiosi, con la pubblicazione (secondo la testimonianza del figlio Raffaello) "senza nome d'autore, di un bel libro di preghiere", Via del Paradiso (Lucca 1842). Tale esigenza di cristianesimo militante, indirizzata in senso sociale, è alla base dei discorsi, letti all'Accademia lucchese il 29 gennaio e 20 ag. 1841, Della povertà in Lucca (Lucca 1841, dedicato a B. Puoti) e Della mendicità secondo la religione (ibid. 1841).
In essi, alla denuncia delle miserie della plebe lucchese si coniuga la proposta di istituire un sistema di sussidi, in modo da eliminare la piaga dell'accattonaggio, consentendo, tra l'altro, mediante l'istituzione di appositi asili, anche l'educazione e la scolarizzazione dei bambini indigenti. Alle reazioni critiche mosse dalla parte più retriva della classe dirigente e del clero lucchese il F. rispose l'anno successivo con un terzo discorso (Dei poveri e delle Figlie della Carità, letto all'Accademia lucchese il 17 giugno, ibid. 1842), in cui chiariva l'opportunità che a tali asili fosse assegnato personale religioso, facendo così propria la soluzione già adottata per gli asili del Lombardo-Veneto da F. Aporti e quasi contemporaneamente ripresa da R. Lambruschini per il Granducato di Toscana.
Questa apertura a tematiche politico-sociali venne certo preparata e rinforzata dalla partecipazione del F. ai congressi degli scienziati italiani di Torino (1840), Firenze (1841), Lucca (1843) e Genova (1846), che furono occasione di scambi fecondi con i protagonisti della cultura liberale (S. Pellico, A. Rosmini, V. Gioberti, N. Tommaseo, con i quali ebbe contatti anche epistolari).
Si preparavano in tal modo le condizioni perché il F. - che nel 1831 in una sua elegia latina aveva abbozzato un ritratto non certo positivo della "setta" liberale (v. Epistolario, p. 320 n. 1) -, nel 1847 plaudisse pubblicamente a Pio IX con il manifesto Il 16 giugno (riprodotto a pp. 318 s. dell'Epistolario). Ceduta Lucca al Granducato di Toscana per l'abdicazione di Carlo Lodovico in favore di Leopoldo II (5 ott. 1847), il F., che nei mesi precedenti aveva sperato invano di ottenere la cattedra di eloquenza a Pisa (tenuta da G. Rosini, che non volle cederla), soggiornò a Firenze dal novembre 1847 al maggio dell'anno successivo, addetto provvisoriamente alla procura fiorentina.
Rientrato a Lucca, ebbe dapprima l'incarico di vicepresidente della corte regia, poi (dalla fine del 1848), quello di presidente del tribunale criminale. Disapprovando gli sviluppi democratico-rivoluzionari dei moti del 1848, si distaccò progressivamente dalla politica e, pur senza rifluire su posizioni reazionarie, temendo (come testimonia il figlio Raffaello, Epistolario, pp. XV s.) che "cattolicismo e libertà fossero divenuti termini incompatibili, si tenne fermamente al primo", nella speranza "che rinascesse la fiducia e la pace tra principi e popoli". Negli anni successivi il lavoro sempre più gravoso e il declinare delle condizioni di salute lo tennero lontano anche dall'attività letteraria, cosicché, oltre all'opera di riorganizzazione dell'Accademia lucchese (di cui redasse gli Statuti, Lucca 1851), l'ultimo scritto risulta essere il discorso, letto all'Accademia lucchese il 10 maggio 1854, Una digressione (ibid. 1854), d'argomento giuridico-linguistico.
Minato da una paralisi che lo rese progressivamente inabile, si spense a Lucca il 23 febbr. 1858.
Il 17 sett. 1898, in occasione del centenario della nascita del F., le sue spoglie furono trasferite dalla tomba di famiglia in S. Maria Corteorlandini alla Cappella dei benemeriti del camposanto civico.
Gli scritti più significativi del F. si leggono nel volume Prose di L. Fornaciari, Firenze 1874, per cura del figlio Raffaello, in cui sono ripubblicati tra l'altro i testi compresi nelle due raccolte curate in vita dal F. (Alcune prose di L. F., Lucca 1843 e Discorsi filologici, ibid. 1847). Dopo la sua morte, per la "terza ed. milanese" (1868-69), gli Esempi di bello scrivere furono riveduti, corretti e accresciuti dal figlio, che aveva già collaborato alla revisione di alcune edizioni precedenti, di due Appendici (una per la prosa e una per la poesia): in esse erano accolti generi e autori (dei secoli XIV-XVII) precedentemente rifiutati e brani di scrittori del XIX secolo, del tutto trascurati dal padre. In questa versione rimaneggiata gli Esempi continuarono a essere ristampati fino all'inizio del Novecento (15ª ed., Firenze 1907).
Fonti e Bibl.: Il ricco carteggio del F., raccolto e ordinato dal figlio Raffaello, fu da questo donato alla Biblioteca nazionale di Firenze (Carteggi vari). Alcuni gruppi di lettere (come quelle a G. Pellegrini) si trovano nell'Archivio di Stato di Lucca (Inventario dell'Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1872-1980, ad Indices). Un'ampia scelta dell'epistolario fu pubblicata a cura di Raffaello nel volume Un uomo d'antica probità. Epistolario di L. Fornaciari…, Firenze 1899, in cui confluiscono - non sempre interamente - alcune raccolte precedenti. L'epistolario edito dal figlio va integrato con: Tre lettere di G. Rambelli a L. F., a cura di I. Del Lungo, Prato 1899 (per nozze Gentili Rambelli - Martinengo); G. Petraglione, L'epistolario di L. F. e una lettera inedita dello stesso [a L.A. Paladini], in Riv. abruzzese, XIV (1899), pp. 569-571; con le Lettere inedite di L. F. (a M.A. Parenti), a cura di G. Canevazzi, Modena 1905; con Alcune lettere di L. F. a M.A. Parenti, a cura di G. Cavazzuti, Modena 1906 e, infine, con Un carteggio ined. di L. F. (con F. Cavazzoni - Pederzini), a cura di G. Canevazzi, in Rassegna nazionale, 16 dic. 1908, pp. 549-564. Lettere al F. o cenni su di lui si rinvengono ancora negli epistolari di P. Giordani (Lettere, a cura di G. Ferretti, I-II, Bari 1937) e B. Puoti (Epistolario, a cura di G. Guidetti, Reggio Emilia 1914).
Ancora vivente il F., un suo profilo biobibliografico apparve in L'Italia scientifica contemporanea di I. Cantù, I, Milano 1844, pp. 212 ss. Tra gli scritti commemorativi del F. si ricordano: A. Conti, Cenni biografici su L. F., in L'Imparziale fiorentino, II (1858), 5 (poi rist. in Letteratura e patria. Collana di ricordi nazionali, Firenze 1892, pp. 304-309); P. Fanfani, Necr. di L. F., in Il Piovano Arlotto, II (1858-59), p. 300; Atti della I. e R. Accademia Lucchese in morte di L. F., Lucca 1858; gli Atti della I. e R. Accademia dei Filomati in morte dell'avv. L. F., Lucca 1859; I. Nieri, Elogio di L. F., Lucca 1898.
Sulla figura e l'opera del F.: C. Trabalza, Storia della grammatica ital., Milano 1908, p. 491; R. Fornaciari, I falsi puristi e gli "Esempi di bello scrivere", in Fra il nuovo e l'antico. Prose letterarie, Milano 1909, pp. 391-406; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1938, I, pp. 368 s.; B. Migliorini, Storia della lingua ital., Firenze 1963, pp. 597, 616; G. Marzot, La critica letter. fra Settecento e Ottocento, in Letteratura italiana, I critici, I, Milano 1969, pp. 24 s.; G. Barbarisi, V. Monti e la cultura neoclassica, in Storia della letteratura ital. (Garzanti), VII, L'Ottocento, Milano 1969, p. 84; G. Nencioni, Presentazione, in R. Fornaciari, Sintassi ital. dell'uso moderno, rist. anast., Firenze 1974, pp. XI s.; M. Vitale, La questione della lingua, Palermo 1978, pp. 384 s., 496 s.; M. Raicich, Scuola, cultura e politica da De Sanctis a Gentile, Pisa 1982, pp. 98-101; M.A. Frangipani, Gli "Esempi di bello scrivere" di L. F. nei programmi scolastici postunitari, in Studi latini e ital., 1986, n. zero, pp. 161-182; C. Ossola, Tra lingua e storia, in Letteratura italiana (Einaudi), II, Torino 1986, p. 986; G.L. Beccaria, La lingua letter. moderna e contemporanea, in Id. - C. Del Popolo - C. Marazzini, L'italiano letterario. Profilo storico, Torino 1989, p. 144; A. Battistini - E. Raimondi, Le figure della retorica, Torino 1990, pp. 270, 371; G. Patota, I percorsi grammaticali, in Storia della lingua ital., a cura di L. Serianni - P. Trifone, I, Torino 1993, p. 123; M. Raicich, Di grammatica in retorica, Roma 1996, pp. 250, 380.