BENEDETTO, Luigi Foscolo
Nacque a Cumiana (Torino) il 24 febbr. 1886 da Giuseppe e da Cesira Ruffinati. Compiuti gli studi medi superiori al liceo "Gioberti", avendo come validi docenti C. Corrado e U. Cosmo, si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Torino, con una borsa di studio assegnatagli dal Collegio delle provincie. Non ancora ventenne, aveva tradotto in versi italiani l'intera Chanson de Roland che, perfezionata, pubblicò prima della laurea (La canzone di Orlando, Torino 1907, con una introduzione di R. Renier che ne lodava la fedeltà al testo). Gli anni 1904-1909 dello studentato universitario del B. corrispondono per la facoltà di lettere dell'ateneo torinese alla stagione dominante e scientificamente operosa del metodo storico (a Torino, nel 1883, A. Graf, R. Renier, F. Novati avevano fondato il Giornale storico della letteratura italiana, rivista della cultura positivista), non ancora oggetto di riserve e contestazioni da parte degli idealisti crociani. La precoce vocazione alla cultura e la giovinezza severamente studiosa, l'appassionata ansia della scientificità nella ricerca letteraria furono più tardi rievocate dal B. nella prolusione torinese, del 23 genn. 1951, Ai tempi del metodo storico (in Uomini e tempi. Pagine varie di critica e storia, Milano-Napoli 1953, pp. 21-38).
L'iniziale applicazione del metodo storico alla letteratura francese avvenne sotto la guida dei maestri R. Renier, G. De Sanctis, A. Graf, A. Farinelli. Frequentando per quattro anni i corsi del Renier (bibliografie ragionate su determinati problemi, materia allora libera), il B. riceveva l'affascinante "sensazione della scienza come prodotto collettivo, come incorporazione progressiva di una infinità di apporti individuali". Le lezioni del grande storico e archeologo De Sanctis erano per lui "spettacoli vivi di una intelligenza armatissima alle prese dirette col documento". Il magistero del Graf, tormentato poeta e scienziato positivista, gli trasmetteva la concezione romantica della storia letteraria "come una riconquista di anime". Farinelli, docente di letteratura tedesca e coniparatista, dissenziente dal metodo storico in nome della "personalità", era allora ammirato dal giovane B. per i suoi studi eruditi "di una imponenza titanica".
L'influsso "biografico" della scuola torinese determinò la tesi di laurea, nel 1908, su Il "Roman de La Rose" e la letteratura italiana (pubblicata nel 1910 ad Halle, con dedica al Renier), dove il "bisogno della serietà assoluta nel lavoro scientifico" assumeva forme di rigorosa fedeltà storico-filologica aperte per altro alle suggestioni comparatiste del Farinelli. Di un secondo, grande comparatista, il francese F. Baldensperger, il B. fu allievo alla Sorbona seguendo un corso di perfezionamento a Parigi. Insegnante a Milano presso l'Accademia scientifico-letteraria, nel 1914 vinse la cattedra universitaria di lingua e letteratura francese, titolare dapprima a Milano per il biennio, 1914-15, quindi a Firenze fino al 1950.
La fervida azione di ricercatore del B. - era un tenace esploratore di archivi e biblioteche in Italia e all'estero, secondo la stimolante esortazione del Carducci - e il lavoro geniale del comparatista, studioso delle relazioni letterarie tra i popoli, furono interrotti dal 1916 al 1918 per la partecipazione alla guerra, come ufficiale nei reparti lanciafiamme.
L'esperienza bellica lasciò tracce profonde sul successivo lavoro dei docente universitario. Difficile leggere le pagine sulla patria, la "milizia" e il dovere del soldato nel finale di L'epopea di Roncisvalle (Firenze 190), dedicata "ai camerati dell'Isonzo e del Carso", senza pensare alla partecipe interpretazione dei critico ex combattente; raccontando degli antichi paladini e del loro nobile sacrificio, il B. dichiarava che il fascino della Canzone di Orlando consisteva nel suo essere all'origine "una canzone della pietà per il soldato che muore" e insieme "la glorificazione del soldato che muore ma non si arrende," (Come va letta la "Canzone di Orlando", in Uomini e tempi, p. 49).
Durante il periodo dell'insegnamento universitario a Firenze, fino al 1950, il B. si occupò di letteratura francese e italiana, dalle origini all'Ottocento, con un'ampiezza esegetica testimoniata tra l'altro da circa quaranta voci biografiche redatte per l'Enciclopedia Italiana, insieme con la voce Francia: letteratura. In questo ambito il B. lavorò specialmente intorno a quattro centri di interesse: le origini di Salammbô, gli studi marcopoliani, le ricerche su Stendhal, la composizione del francescano Cantico di frate Sole.
In Le origini di Salammbô (Firenze 1920), dedicate a G. De Sanctis, indagini documentarie di fonti e intuizioni critiche collaborano felicemente a precisare il "senso" e la "bellezza" del romanzo flaubertiano. Di grande soddisfazione fu per il B. l'aver contribuito alla ricostruzione testuale del Livre des merveilles, attraverso tre tappe di densa attività storico-filologica: l'edizione critica di Firenze del 1928 (Il Milione di Marco Polo), l'edizione londinese (The Travels of Marco Polo) del 1931, e la prima traduzione completa in italiano (Il libro di messer Marco Polo cittadino di Venezia detto Milione dove si raccontano le meraviglie dei mondo, Milano-Roma 1932). L'edizione critica del 1928, curata per il Comitato geografico nazionale italiano, meritò la "cordialità unanime" dei geografi e degli studiosi; grazie alla fortunata scoperta del codice Z (ms. Y 160 P.S.) all'Ambrosiana di Milano (insieme con altri sessanta manoscritti nuovamente ritrovati), il B. presentava un testo ricco di parti fino allora inedite e sconosciute. Tra il coro dei consensi, non mancò un tentativo di stroncatura ad opera del filologo, G. Bertoni. Temperamento orgoglioso e vivacemente polemico, il B. talvolta eccedeva negli attacchi e nel deprezzamento degli avversari, scorgendo solo diffamazioni e calunnie ai suoi danni sotto "la livrea della critica"; come dimostra appunto l'opuscolo Filologia e geografia (Firenze 1929) in risposta alle riserve del Bertoni.
Dopo aver rivolto i suoi interessi a Flaubert, Pascal (Il "Discorso" di B. Pascal "sulle amorose passioni", Foligno 1923) e Marco Polo, a cominciare dalla fine del 1932 il B. affrontò un altro complesso problema storico-culturale, quello stendhaliano, ulteriore testimonianza del suo romantico amore per il passato, condiviso e rivissuto nel generoso "risorgimentalismo" di Stendhal. L'esplorazione, al solito, procedette vastissima, di durata quasi ventennale - nel frattempo dal 1938 al 1947 il B. diresse il Centro di studi di filologia italiana -, partendo da produttive ricerche negli archivi toscani e materiali inediti (Giornate fiorentine dello Stendhal. Indiscrétions sur Giulia, Paris 1934; Iviaggi a Siena del console Beyle, in Mélanges Vianey, ibid. 1934, pp. 345-357) per giungere al doppio approdo, biografico: ArrigoBeyle milanese (Firenze 1942) e critico: La Chartreuse noire (Florence 1947); La Parma di Stendhal (Firenze 1950); quest'ultimo volume ripercorre il cammino che ha portato Stendhal a fare di Parma "la patria delle sue creature fantastiche" e della stessa città "una creatura della sua fantasia". Di profonda stratificazione filologica e storica anche il saggio sul Cantico di frate Sole (ibid. 1941) che considera la lingua apostolica e strutturale del santo nelle forme caldamente umane che lo portano a rinnovare la tradizione liturgica. L'anno precedente, aveva pubblicato Scrittori di Francia (Milano 1940) un vero e proprio bilancio storiografico e antologico della civiltà letteraria francese, presentato con signorile disponibilità nella veste divulgativa del manuale scolastico.
Preside della facoltà di lettere dell'ateneo fiorentino dopo la Liberazione e presidente dell'Accademia della Crusca, nel secondo dopoguerra il B., oltre a collaborare a giornali e riviste di orientamento laico e socialista, tra cui Il Ponte, scrisse il saggio Letteratura della Resistenza, premesso poi a J. Bogi, I Quisling, povera terra… (Torino 1946). Su Il Ponte, il B. pubblicò nel 1947 il lungo articolo ideologico-politico Lo Stendhal di un nostalgico (III, pp. 1122-1132).
Il "piccolo collaborazionista" francese M. Bardèche nel suo Stendhal romancier aveva disprezzato e infangato la Resistenza "attualizzando" a propria immagine e somiglianza uno Stendhal vinto senza patria, esule eterno e ribelle, prodotto dalla "epurazione borbonica". Di fronte ad una simile malafede che metteva sullo stesso piano la Francia di Pétain e quella di Napoleone, la Francia della riscossa antihitleriana e quella della Restaurazione, insorgeva durissima la replica del B., perfettamente in linea con l'azione democratica del Ponte nella difesa di uno Stendhal diversamente risorgimentale e "antifascista".
Membro di varie accademie nazionali, dell'Accademia delle scienze di Torino e socio nazionale dei Lincei, ottenne la laurea honoris causa delle università di Losanna, di Grenoble, di Montpellier. Nel 1950 succedette a F. Neri nella cattedra di letteratura francese a Torino, scegliendo come si è detto per la lezione inaugurale dei suoi corsi l'alma mater torinese Ai tempi del metodo storico. Nel 1953 selezionò e raccolse nel volume ricciardiano Uomini e tempi i saggi meglio qualificanti la sua "personalità umana che fa da sostrato a quella tecnica". E veramente paragrafi come La letteratura mondiale, Grandezza di Marco Polo, La leggenda del classicismo francese, Il dramma di Pascal, Come nacque la "Terra dei morti" del Giusti, Vigny e gli esuli della "Giovane Italia", Il mito di Graziella, Carducci e la Francia, confermano nel B. quel "senso romantico del passato" che ispira e guida l'uomo a "ritrovare delle anime" negli scrittori studiati e nelle loro opere.
Il B. morì nella nativa Cumiana, il 17 apr. 1966.
Fonti e Bibl.: F. Simone, Critica e storia nell'opera di L. F. B., in Rassegna della letteratura italiana, s. 7, LX (1956), pp. 69-87; M. Colesanti, L. F. B., in Letteratura italiana. I critici, IV, Milano 1969, pp. 2865-2892 (con bibl.); Id., in Ritratti di critici, Roma 1970, pp. 11-46 (col titolo B. e ilfascino della storia).