GADDI, Luigi
Figlio di Taddeo di Angelo e di Antonia di Bindo Altoviti, entrambi appartenenti a importanti famiglie di mercanti e banchieri, nacque a Firenze il 28 febbr. 1492.
Il G. ebbe tre fratelli, dei quali Niccolò fu cardinale dal 1527, Giovanni fu decano dei chierici della Camera apostolica, Sinibaldo - rimasto allo stato laicale - ebbe il compito di assicurare la discendenza alla famiglia.
Non si hanno conoscenze precise sull'educazione del G.; tuttavia il suo curriculum non dovette essere molto diverso da quello degli altri giovani destinati agli affari: dopo la scuola d'abbaco, l'apprendistato nella bottega o nel banco con mansioni progressivamente più importanti. Il G. cominciò a occuparsi della filiale romana del banco almeno dal 1508, quando non era ancora maggiorenne; fu pertanto emancipato dal padre e nominato procuratore per il disbrigo di alcuni affari del banco a Roma, dove almeno dal 1513, quando passò a incarichi direttivi, si stabilì definitivamente.
Il banco romano dei Gaddi era fin dal Quattrocento ben introdotto negli ambienti della Camera apostolica e aveva avuto importanti riconoscimenti sotto Alessandro VI; era inoltre molto attivo anche nel campo delle operazioni cambiarie sui mercati finanziari di Napoli e Lione. I Gaddi ottennero molti privilegi e ampliarono enormemente la loro attività durante i pontificati dei papi Medici, Leone X e Clemente VII, che favorirono la loro nazione a Roma a scapito dei banchieri di altre aree. Dato il periodo di eccezionale fabbisogno finanziario, si fece strada la prassi di rendere venali quasi tutte le cariche e le dignità e di appaltare ai banchieri le entrate dello Stato.
Nel periodo in cui il G. guidò il banco le operazioni finanziarie con la Camera apostolica divennero l'attività prevalente: con l'esborso di 10.800 ducati ebbe da Leone X la Tesoreria delle Marche, che tenne almeno dal 1515 al 1523.
L'operazione si configurava come un anticipo alla Camera apostolica del gettito fiscale presuntivo della provincia per tre annate finanziarie, da cui ci si riprometteva il recupero della somma e degli interessi. Il tesoriere era infatti l'esattore di tutte le entrate statali della regione assegnatagli (oltre alle imposte, anche i censi, i fitti dei beni demaniali, i proventi delle confische e delle pene pecuniarie). A fronte di ciò, il tesoriere doveva pagare tutte le spese della provincia a carico dello Stato (stipendi di soldati e impiegati, restauro di edifici demaniali, spese giudiziarie). Nel campo dell'amministrazione finanziaria, il tesoriere aveva poteri decisionali e rispondeva direttamente alla Camera apostolica, cui doveva presentare annualmente i libri contabili.
Per esercitare la sua funzione il G. risiedette frequentemente a Macerata. Con questa ben organizzata e variegata attività finanziaria riuscì ad accumulare consistenti guadagni. Negli anni Venti il G. acquistò una casa a Roma in via de' Banchi (ora via del Banco di S. Spirito) nel rione Ponte, facendola poi ristrutturare in forme grandiose, proprie di un palazzo gentilizio, dall'architetto fiorentino Jacopo Sansovino, che è presumibile fosse amico di famiglia avendo in precedenza lavorato anche per il fratello del G., Giovanni. Nel 1526 il G. contribuì inoltre, con un prestito di 30.000 ducati, alla spedizione contro i Turchi vagheggiata da Clemente VII; infine nel 1527 ottenne, come compenso di un credito di 40.000 ducati, il cappello cardinalizio per il fratello Niccolò. In un periodo imprecisato acquistò poi dalla Camera apostolica il feudo di Riano e Casaldragoncello, cosa che gli fece acquisire il titolo di domicellus romanus.
Le vicende del sacco di Roma prima e la morte di Clemente VII poi danneggiarono considerevolmente i banchieri fiorentini operanti in Curia, molti dei quali non videro riconosciuti i loro crediti. Anche il G. subì una perdita, dovuta a un credito di circa 5000 ducati nei confronti di Filippo Strozzi, a sua volta creditore di ingenti somme verso Clemente VII, non avallate successivamente da Paolo III.
Se la posizione di Filippo Strozzi rimase a lungo critica, i problemi del G. furono di breve durata: nel 1535 la Tesoreria delle Marche, tolta allo Strozzi, fu concessa a Bindo Altoviti, cugino del G., ma sembra che il ruolo dell'Altoviti fosse quello di semplice prestanome e che i veri titolari della Tesoreria fossero il G. e il fratello Sinibaldo.
Il G. visse gran parte della sua vita a Roma, ove ebbe tra i clienti del banco alcuni artisti che lavorarono per i pontefici: tra questi Michelangelo che, nel periodo in cui era impegnato a Firenze nella realizzazione della sacrestia della chiesa di S. Lorenzo, era pagato da Clemente VII attraverso il banco romano dei Gaddi.
Il G. morì a Roma nel 1543.
Si sposò due volte - con Caterina Gomiel, e con Claudia Savelli - ed ebbe numerosi figli: Paola, Alessandro, Costanza, Taddeo, Camilla, Cassandra, Antonia e Caterina.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 1230, c. 171; 1237, c. 158; Ibid., Segreteria delle tratte, 117, c. 247v; Ibid., Mediceo avanti il principato, 96, c. 367; 114, c. 310; 115, c. 232; 119, c. 18; Arch. di Stato di Roma, Camerale I, Tesoreria della Marca, bb. 22, reg. 61; 23, reg. 63; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, pp. 5, 19; M.M. Bullard, Filippo Strozzi and the Medici, Cambridge 1980, pp. 12, 15, 22, 100, 122 s., 125, 128, 166; I. Polverini Fosi, I mercanti fiorentini, il Campidoglio e il papa: il gioco delle parti, in Roma e lo Studium Urbis, Roma 1992, p. 184.