GANNA, Luigi
Nacque a Induno Olona, presso Varese, il 1° dic. 1883 da povera famiglia contadina. Muratore, fin dalla giovanissima età coltivò una forte passione per la bicicletta, con la quale si spostava quotidianamente per lavoro percorrendo oltre cento chilometri. Sia pure osteggiato dai genitori, partecipò con discreti risultati a diverse gare fra dilettanti, fino a che, nel 1905, non decise di dedicarsi completamente alle corse. Era quello il cosiddetto ciclismo dei tempi eroici, quando le gare coprivano percorsi dai quattro ai cinquecento chilometri, le strade al limite della praticabilità e le partenze avvenivano in piena notte, tra le due e le tre del mattino.
La prima gara che il G. disputò fu il Giro di Lombardia del 1906, dove giunse terzo; il grande risultato ottenuto gli fruttò un discreto premio (18 lire), ma soprattutto un contratto con la già prestigiosa casa ciclistica Bianchi di 200 lire al mese. Da quel momento il G. fece équipe con Carlo Galetti, altro grande corridore di quegli anni, e con Eberardo Pavesi, detto l'"avvocato", per le sue capacità dialettiche e di mediazione (insieme furono soprannominati "i tre moschettieri"). L'anno seguente il G. arrivò ancora terzo nel Giro di Lombardia; così pure l'anno successivo, in cui ottenne anche un secondo posto al Giro di Sicilia e partecipò al suo primo Tour de France, arrivando terzo in due tappe, prima di essere costretto a ritirarsi in seguito a una caduta. La sua eccezionale potenza e le sue grandi capacità di resistenza alle avversità climatiche (fu definito "re del fango") ne avevano fatto un atleta affermato e amato dalle folle.
Nel 1908, secondo sia nella Milano-Sanremo sia nel Giro di Lombardia, giunse quinto al Tour, nonostante gravi incidenti che ne pregiudicarono l'efficienza fisica. Nello stesso anno si aggiudicò il record dell'ora raggiungendo la distanza, per quei tempi veramente ragguardevole, di 40,405 km, primato che rimase imbattuto per sei anni. Il 1909 fu la sua grande annata, allorché, indossando la maglia dell'Atala, iniziò la stagione vincendo la Milano-Sanremo; ma, soprattutto, fu il trionfatore del primo Giro d'Italia.
Il Giro era nato su iniziativa di tre responsabili della Gazzetta dello sport: Eugenio Camillo Costamagna, direttore, Armando Cougnet, amministratore, che fino al 1946 sarebbe stato organizzatore, e cioè il "patron", del Giro, e Tullo Morgagni, redattore capo. I tre avevano battuto sul tempo il Corriere della sera, che all'epoca s'era dimostrato intenzionato a promuovere - in collaborazione con la ditta Bianchi e il Touring Club italiano - una corsa a tappe sul modello del Tour de France, sorto nel 1903. Alla necessità di denaro gli organizzatori avevano sopperito con prestiti ed elargizioni, tra cui quella, assai generosa, dello stesso Corriere della sera, che mise a disposizione 3000 lire per il vincitore.
Il Giro prese il via all'alba del 13 maggio da viale Monza a Milano per concludersi, sempre nel capoluogo lombardo, il 30 dello stesso mese, dopo 2408 km di corsa. Le otto lunghe tappe (che toccarono, nell'ordine, Bologna, Chieti, Napoli, Roma, Firenze, Genova, Torino e Milano), intervallate da diversi giorni di riposo, com'era nell'uso, si conclusero con la vittoria del G. che, con 25 punti (allora la graduatoria veniva stilata in base ai piazzamenti ottenuti e non in base ai distacchi), superò il Galetti e Giovanni Rossignoli, con i quali ingaggiò appassionanti duelli. Il grande favorito della corsa, l'astigiano Giovanni Gerbi, soprannominato "diavolo rosso", restò fuori gara fin dalla prima tappa per un grave infortunio.
Nonostante le preoccupazioni delle forze dell'ordine, timorose degli assembramenti popolari nelle strade e agli arrivi di tappa, il successo del Giro fu subito enorme. Sembra che ogni giorno una grande folla si adunasse in Galleria, a Milano, davanti agli uffici del Touring, per leggere i dispacci inviati dal Corriere della sera, e che ad accogliere i corridori all'Arena, il giorno dell'arrivo dell'ultima tappa, vi fossero oltre 20.000 persone. Dalla situazione trassero immediato beneficio sia le case costruttrici - che tra il 1909 e il 1910 vendettero oltre 100.000 biciclette - sia i giornali (la sola Gazzetta dello sport, nel periodo del Giro, raddoppiò le sue vendite, superando largamente le 100.000 copie).
Le ragioni del grande successo, subito ottenuto dal Giro, vanno ricercate sia nel grande fascino esercitato da un evento che spingeva all'estremo le capacità umane di fatica, resistenza e abnegazione, esaltando nello stesso tempo la passione per la velocità e il progresso senza limiti, sia nelle grandi possibilità di conoscenza e amalgama (sociale, politico, territoriale) che esso offriva in un paese come l'Italia, dove identità e coesione nazionale erano ancora in buona parte da definire.
Le vittorie riportate nel 1909 fruttarono al G. qualcosa come 35.000 lire, che gli permisero di sposarsi e di aprire, poco dopo, una piccola fabbrica di biciclette: sette operai per una produzione di tre velocipedi al giorno. Il 1910 fu un'altra annata di grandi successi: primo nella Milano-Modena e nel Giro dell'Emilia, secondo nel Giro di Lombardia e nella XX Settembre (la corsa che, dal 1902, celebrava ogni anno la storica "breccia" romana), terzo al Giro d'Italia, con tre vittorie di tappa.
Meno fortunato fu il 1911 (terzo nella Milano-Sanremo, fuori corsa al Giro), ma l'anno seguente il G. riuscì a imporsi nella "Gran fondo" davanti all'amico-rivale Galetti (oltre 600 km di gara). Quinto al Giro del 1913, l'anno seguente si ritirò dalle corse, ancora in piena vigoria fisica, proprio in seguito a una caduta al Giro d'Italia, per dedicarsi completamente all'azienda che aveva da poco aperto.
Grande lavoratore, oculato investitore, riuscì in pochi anni a trasformare la piccola officina in un vasto stabilimento. I colori bianchi e blu della sua marca incontrarono il favore di diversi corridori, tra cui Ottavio Bottecchia, che con una "Ganna" trionfò in due successive edizioni del Tour (1924 e '25) e Fiorenzo Magni, che riportò la vittoria al Giro d'Italia del 1951.
Con la fine del primo conflitto mondiale il G. diede avvio anche alla produzione di motociclette, montando su telai di propria fabbricazione i collaudati motori inglesi JAP e Python.
Pur non raggiungendo mai alti livelli di produzione, la ditta Ganna, negli anni Venti e Trenta, fu apprezzata per la serietà e l'affidabilità dei propri modelli e qualche fortunata partecipazione a gare sportive le conferì ancora maggiore prestigio e notorietà. Il modello più noto fu la 175 c.c., dalla linea slanciata e dalle accurate finiture, ma venivano prodotte anche altre categorie (250, 350 e 500 c.c.). Con gli anni Cinquanta la produzione si arricchì con la fabbricazione di ciclomotori.
Il G. morì a Varese, in piena attività, il 2 ott. 1957.
Con la sua scomparsa la Casa, le cui redini passarono al figlio Tino, abbandonò la produzione delle moto per dedicarsi esclusivamente a quella delle biciclette.
Fonti e Bibl.: Per il G. ciclista, oltre alla consultazione dei quotidiani negli anni 1905-14 (in particolare de La Gazzetta dello sport), si rinvia a F. Cambi, Storia del ciclismo, in Storia degli sport, a cura di A. Franzoni, III, Milano 1938, pp. 283 s., 288, 291 s., 306-312, 321; A. Gardellin, Storia del velocipede e dello sport ciclistico, Padova 1946, pp. 412, 415 s., 471, 479; S. Jacomuzzi, Gli sport, III, Torino 1965, pp. 82-90; V. Varale, I vittoriosi, Milano 1969, ad ind.; G. Brera, Addio bicicletta, Milano 1980, passim; G.P. Ormezzano, Storia del ciclismo, Milano 1980, pp. 55 s., 203; Due ruote, cento manifesti. La bicicletta nei cartelloni pubblicitari della Raccolta Salce, Treviso 1985, p. 76; Uomini nella leggenda. Dal ciclismo eroico dei pionieri al primo volo di Coppi, 1869-1942, a cura di S. Picchi, Firenze 1988, p. 115; S. Giuntini, Storia dello sport a Milano, Milano 1991, ad ind.; S. Picchi, Il Giro d'Italia. Storia illustrata, Firenze 1992, I, pp. 14-37; G. Marchesini, L'Italia del Giro d'Italia, Bologna 1996, ad ind.; L. Rossi, Solidarietà, uguaglianza, identità. Socialità e sport in Europa, 1890-1945, Roma 1998, p. 60. Per il G. industriale, oltre ai quotidiani sportivi e alle riviste specializzate del settore tra il 1920 e il '57 (in particolare La Moto), si veda Breve storia del motociclismo, Bologna 1952, p. 67; Enc. della moto, Novara 1987, V, pp. 1179 s.