GIANFIGLIAZZI, Luigi
Nacque tra il 1310 e il 1320 a Firenze o a Carpentras, in Provenza, ove il padre, Neri di Castello, risiedette pressoché stabilmente fino al 1321 per occuparsi dell'azienda bancaria di famiglia. Non si conosce il nome della madre.
Quella dei Gianfigliazzi era stata la maggiore delle compagnie mercantili fiorentine operanti nel Sud della Francia, tanto che aveva tra i suoi clienti la famiglia La Tour du Pin, signora del Delfinato, e lo stesso Carlo II d'Angiò re di Napoli e signore di Provenza; alla morte di Castello, nel 1318, era passata in eredità all'unico figlio legittimo di questo, Niccolò, mentre il padre del G., Neri, che era illegittimo, era rimasto escluso dall'eredità, benché esercitasse un ruolo operativo all'interno dell'azienda; in seguito tuttavia il fratellastro gli permise di far parte anche dell'assetto proprietario, ma l'azienda entrò in una fase di decadenza e alla morte di Niccolò, nel 1325, fu liquidata.
Il G. fu mandato nella prima giovinezza a studiare diritto a Bologna, ove si trovava nel 1337 quando il padre Neri ne richiese il consenso per un atto di compravendita; qui presumibilmente si addottorò in diritto civile; pertanto il titolo di "dominus" o "messer", attribuito a tanti membri della sua famiglia per il fatto che avevano ricevuto l'investitura cavalleresca, al G. spettava invece in quanto dottore di legge. Tornato a Firenze intraprese l'attività forense e iniziò la carriera politica.
I Gianfigliazzi erano guelfi e di origine magnatizia, in quanto insigniti ab antiquo della dignità cavalleresca, che li assimilava alla nobiltà feudale; gli ordinamenti di giustizia del 1293 li avevano quindi esclusi dalle principali cariche del Comune; tale esclusione non si estendeva ai Consigli del podestà, ove un certo numero di seggi era riservato ai magnati, né alla Parte guelfa, né agli incarichi tecnici e alle ambascerie, ove anzi i magnati erano utilizzati in via preferenziale in quanto appartenenti a un ceto elevato e fregiati delle insegne cavalleresche.
Il G., appartenente a una famiglia ricca e potente, dotato di conoscenze giuridiche e di qualità oratorie, era nelle migliori condizioni per intraprendere la carriera politica, anche se lo status di magnate gli inibiva l'accesso al priorato e al gonfalonierato di Giustizia; pertanto gli furono affidate frequenti e importanti missioni diplomatiche, che lo portarono, tra l'altro, alle corti delle due supreme autorità dell'epoca, il papa e l'imperatore.
La prima ambasceria alla quale il G. prese parte risale al febbraio 1349, quando insieme con altri trentanove cittadini fu mandato a incontrare Giacomo e Giovanni Pepoli, vicari pontifici di Bologna; tale incontro ebbe probabilmente luogo nei domini pontifici in Romagna. Nel maggio successivo fu inviato in Valdinievole; nell'aprile 1350 si recò invece a Pisa, sempre in qualità di rappresentante del Comune di Firenze. Nel febbraio 1351 venne eletto sindaco e procuratore del Comune, insieme con Arnaldo Altoviti e Filippo Machiavelli, al congresso di Arezzo, ove si doveva trattare una confederazione con gli inviati di Roma, Perugia, Siena e Verona, per delineare una comune linea politica contro Giovanni Visconti e per difendersi dalle scorrerie delle milizie mercenarie; questo congresso non sortì tuttavia risultati concreti, anche per la morte di Mastino Della Scala, uno dei principali interessati all'accordo.
Il 18 ag. 1352 fu inviato a Siena insieme con Bernardo Ardinghelli per negoziare un accordo con il governo di quel Comune e con gli inviati di Perugia, in vista della discesa in Italia di Carlo IV di Lussemburgo, eletto nel 1347 re di Germania. Il 28 ag. 1354 era membro del Consiglio del podestà e tenne un'arringa in favore di una proposta di legge tendente a estromettere i ghibellini da qualsiasi ufficio del Comune; anche questa proposta si inscriveva nel clima di preoccupata attesa dell'arrivo in Italia di Carlo IV e pertanto fu approvata a larga maggioranza. Nell'aprile 1355 - in ricompensa dell'attività dispiegata fino ad allora a beneficio del Comune di Firenze e del partito guelfo - il G. ottenne di "farsi di popolo", ossia fu liberato dallo status di magnate con tutte le limitazioni a esso connesse, a patto di abbandonare il cognome e lo stemma di famiglia. Tale beneficio venne esteso ai suoi eredi in linea diretta, cosa che comportò da parte loro l'adozione del cognome "della Torre" e l'acquisizione di uno stemma consistente in una torre rossa in campo bianco, in sostituzione del leone azzurro in campo d'oro, che era l'antico blasone di famiglia. La concessione della popolarità avrebbe consentito l'elezione del G. al priorato e al gonfalonierato di Giustizia, ma non si ha notizia che ciò si sia mai verificato: nei vari prioristi il nome dei Gianfigliazzi compare per la prima volta solo nel 1382 con Rinaldo di Giannozzo (Novati, 1888, afferma invece, non si sa su quale base, che il G. fu priore tre volte, nel 1351, 1357 e 1363). In questi anni fu nominato varie volte tra i Savi del Comune, nomina riservata ai giurisperiti che dovevano fornire agli organi di governo del Comune consulenza tecnico-giuridica ogni volta che si fosse reso necessario.
Nel gennaio 1355 svolse una delle sue ambascerie più importanti: quella presso Carlo IV, che si trovava a Pisa. Firenze cercava in ogni modo di impedire il ricrearsi dello stato di conflittualità che aveva caratterizzato a suo tempo la discesa di Enrico VII. In effetti l'accordo con Carlo IV fu trovato: in cambio di un esborso in denaro, Carlo riconosceva i massimi organi del Comune (i Priori e il gonfaloniere di Giustizia) come suoi vicari e quindi ne legalizzava, sotto forma di delega, gli atti di governo, ma alla sottoscrizione del patto si arrivò soltanto il 21 luglio 1355, dopo che il G. e i suoi compagni avevano fatto incessantemente la spola per alcuni mesi tra Lucca e Firenze (come attestano i documenti editi da Zimmermann).
Il G. ricompare nelle fonti nel 1364, quando fu eletto membro di una commissione incaricata di trattare le condizioni di pace a conclusione della guerra tra Firenze e Pisa; per questo motivo si recò a Pescia, in Valdinievole, insieme con Filippo Corsini, Pazzino Strozzi e Ugucciozzo Ricci, ove si incontrò con gli inviati pisani e il 28 agosto fu firmato l'accordo.
Ipotizza il Novati che in questa occasione il G. abbia avuto modo di incontrare Coluccio Salutati, che in quel periodo si trovava appunto nella nativa Valdinievole: infatti le uniche due lettere del Salutati al G. giunte fino a noi risalgono a date poco posteriori alla permanenza in questa località del Gianfigliazzi.
La prima di queste, datata "Stignano, 26 dic. 1365", contiene una richiesta di spiegazioni del Salutati al G. in merito a un passo di Valerio Massimo e si diffonde a dissertare se la morte sia un bene o un male per l'uomo. La seconda, datata "Stignano, 27 febbr. 1366" (stile comune: 1367), è stata scritta in occasione della morte del comune amico Paolo Dagomari (Paolo Dell'Abbaco, medico, matematico e astrologo); di quest'ultimo il G. fu testimone alla stipulazione del testamento - avvenuta il 19 febbr. 1367 - e uno degli esecutori testamentari.
Nel 1367 il G. fu di nuovo incaricato di una prestigiosa ambasceria: il papa Urbano V, benché francese di nascita, aveva dato segni di voler interrompere la "cattività avignonese" e tornare a stabilire la residenza a Roma e intanto aveva deciso di fare un viaggio a Roma e nel Lazio per constatare di persona la situazione in cui versavano i domini papali. Nel mese di maggio il papa sbarcò con il suo seguito a Talamone, porto acquistato dai Fiorentini alcuni anni prima; subito il governo fiorentino mandò un'ambasceria, di cui faceva parte anche il G., per rallegrarsi con il pontefice di questo ritorno, che si sperava definitivo, e per offrirgli un aiuto anche militare da parte del Comune. Forse proprio in questa occasione il G. compose una Oratio ad Urbanum V (cfr. Kristeller, II, p. 71).
Probabilmente questo incontro con il papa fece nascere nel G. la speranza di essere nominato avvocato fiscale nella Curia pontificia, speranza alimentata anche dalle sue relazioni di amicizia con Francesco Bruni, segretario pontificio; il fatto certo è che la Signoria di Firenze scrisse a questo scopo lettere in sua raccomandazione tanto al Bruni quanto ad alcuni tra i più influenti cardinali. Non si sa con certezza quale sia stato l'esito di tale richiesta: mancano notizie documentate di lui per più di un anno da tale data, fino al 1° giugno 1368, quando fece di nuovo parte di un'ambasceria al pontefice. Nel marzo 1369 fu inviato presso Carlo IV il quale, disceso una seconda volta in Italia per sottoscrivere nuovi patti con diversi Comuni cittadini, aveva stabilito dal mese di febbraio di quell'anno il proprio quartier generale a Lucca. Tale incarico si protrasse fino alla fine del soggiorno italiano di Carlo IV, nel settembre 1369, pur inframmezzato da brevi ritorni a Firenze, per riferire sui colloqui avuti con l'imperatore e si concluse con la stipula di un nuovo accordo tra questo e il Comune di Firenze. In seguito il G. si recò in ambasceria presso il pontefice (novembre-dicembre 1369), e compì poi una nuova legazione presso Carlo IV nel marzo 1370.
Dopo questa data non abbiamo più notizie di ulteriori incarichi affidati al G., che forse di lì a poco morì o si ritirò dalla vita pubblica. A detta del Novati (1889) egli sarebbe morto verso il 1375.
Il G., oltre che un politico, fu anche un uomo di cultura: lo attestano le sue relazioni con i principali dotti del suo tempo, da Coluccio Salutati a Francesco Bruni (alcune lettere del G. dirette a Bruni si conservano presso la Bibl. nazionale di Firenze, Magl. VIII.1439, c. 114), a Paolo Dell'Abbaco, a Giovanni Boccaccio. Con quest'ultimo aveva in comune anche la frequentazione della compagnia di Orsammichele, i cui capitani talvolta si valsero del G., come del Boccaccio, per averne un autorevole parere in merito ad aspetti non secondari per la vita della compagnia: per esempio nel 1367 i capitani di Orsammichele nominarono una commissione di esperti, tra cui figuravano come membri sia il Boccaccio sia il G., per decidere se continuare o interrompere i lavori per un tabernacolo, affidati ad Andrea di Cione (Orcagna). La commissione si espresse, per bocca del G., a favore della continuazione, sebbene all'artista fossero assegnati termini strettissimi per la consegna dell'opera, oltre ai quali sarebbe scattata una penale da pagare. Il Boccaccio, in una lettera a Zanobi da Strada definì il G. "clarissimus orator, legum doctor, amicus" (Novati, 1889, p. 440). La sua fama di retore è suffragata da una Summa dictaminum retorice conservata nel ms. Chigiano J.VIII.291 della Bibl. apost. Vaticana.
Il G. si era sposato intorno al 1362 con Fioretta di Giorgio Grandoni, da cui ebbe almeno tre figli: Agapito, Giovanni e Giovanna; quest'ultima si monacò nel 1380 nel monastero fiorentino di S. Maria di Montedomini.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani, 949-950; Archivio di Stato di Firenze, PrioristaMariani, V, p. 1075; Signori, Carteggio, Missive, I Cancelleria, 10, cc. 53, 69; 11, cc. 4, 5, 112, 125, 128; Signori, Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 7, c. 1v; Provvisioni, Registri, c. 62; Capitani di Orsanmichele, 56, c. 37v; Camera del Comune, Camarlinghi, Uscite, nn. 53, c. 204; 56, c. 549; 184, c. 3; 188, c. 11v; 189, c. 4; 190, c. 4v; 191, c. 667v; 193, c. 1; Notarile antecosimiano, 6177, cc. 1, 2v; Italienische Analekten zur Reichsgeschichte des 14. Jahrhunderts (1310-1378), a cura di T.E. Mommsen, in Mon. Germ. Hist., Schriften, XI, Stuttgart 1952, ad ind., s.v. Loysius de Gianfigliaçis; Statuta Comunis… Florentie, Friburgi 1778, p. 445; Serie dei grandi fatti popolani, in Delizie degli eruditi toscani, XIV (1781), p. 259; Di alcuni documenti riguardanti le relazioni politiche dei papi di Avignone coi Comuni d'Italia, a cura di G. Canestrini, in Arch. stor. italiano, VII (1849), App., pp. 373 s., 380; Acta Karoli IV imperatoris inedita, a cura di F. Zimmermann, Innsbruck 1891, s.v.Loisius de Gianfigliacziis; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, I, Roma 1891, pp. 9, 15; III, ibid. 1898, p. 127; F. Baldasseroni, Relazioni tra Firenze, la Chiesa e Carlo IV, in Arch. stor. italiano, s. 5, XXXVII (1906), pp. 34 s.; R. Piattoli, Miscellanea diplomatica (IV).L'imperatore Carlo IV, in Renato Piattoli in memoriam, Prato 1976, pp. 168 s.; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, p. 570; G. Filippi, Il Comune di Firenze e il ritorno della Santa Sede a Roma, in Miscellanea di storia italiana, XXVI (1887), pp. 418 s.; F. Novati, L. G., giureconsulto ed oratore fiorentino del sec. XIV, in Arch. stor. italiano, s. 5, III (1889), pp. 440-447; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1909, p. 697; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad indices.