GONZAGA, Luigi
Nato nel 1745 a Venezia da Leopoldo e da Elena Medini, fu l'ultimo discendente in linea diretta dei Gonzaga di Castiglione delle Stiviere.
Signori d'un minuscolo feudo imperiale ai margini del territorio mantovano, i marchesi e poi principi di Castiglione erano riusciti, pur tra mille insidie, a conservare la loro indipendenza per oltre due secoli, fino agli albori del secolo XVIII, quando furono travolti dalla guerra di successione di Spagna (1700-14). Responsabile della rovina fu l'ultimo duca di Mantova che, allo scoppio del conflitto, anziché schierarsi a fianco dell'Impero, del quale era vassallo, parteggiò per la coalizione franco-spagnola. A guerra conclusa l'imperatore, memore del tradimento, incluse negli accordi di pace la destituzione dei Gonzaga e il trasferimento dei loro domini sotto la diretta autorità dell'Impero. Il principe di Castiglione, Ferdinando (II), subì la stessa sorte del parente di Mantova, anche se la sua posizione era diversa. All'inizio della guerra il suo feudo era stato posto sotto sequestro dal commissario cesareo, ma non fu mai emanato un provvedimento di confisca da parte dell'autorità imperiale. Egli doveva insomma intendersi non decaduto ma soltanto sospeso dalla sua sovranità; per questo si illuse fino al termine dei suoi giorni di essere reintegrato nella carica, ma morì nel 1723 senza che le sue suppliche fossero prese in considerazione. Dopo di lui furono i figli, nipoti e pronipoti a tenere vive le rivendicazioni.
Le notizie sulla vita del G. sono frammentarie e in parte incerte. Della giovinezza si sa solo che visse con la famiglia nella città natale, Venezia, dove erano solite trovare rifugio e ospitalità le teste coronate d'Europa spodestate dei loro domini. Rimasto presto orfano del padre, fu affidato dalla madre alla generosità della Repubblica, che si fece carico del suo sostentamento e della sua educazione, finché un'intesa con Vienna non segnò un radicale cambiamento nella sua vita. Infatti l'imperatrice Maria Teresa decise di risolvere in maniera definitiva l'annosa questione della devoluzione di Castiglione e si rivolse all'unico discendente diretto della famiglia; dopo quasi sette decenni di infruttuose rivendicazioni il G. accettò realisticamente di scendere a patti. Recatosi a Vienna, raggiunse rapidamente un accordo con gli agenti imperiali, che gli offrirono una rendita vitalizia di 10.000 fiorini all'anno. Il 26 luglio 1773 firmò un atto con cui rinunciava a ogni diritto sul feudo avito e poté così riscuotere la prima rata della rendita, che gli consentiva di uscire dalle strettezze in cui era sempre vissuto.
La raggiunta indipendenza economica stimolò il suo spirito libertario e anticonformista, spingendolo ad abbracciare le idee illuministiche che si stavano diffondendo in Europa con tale ardore e imprudenza che la Repubblica lo invitò a lasciare il suo territorio. Si trasferì così da Venezia a Roma, dove si legò alla poetessa improvvisatrice Maria Maddalena Morelli, meglio conosciuta col nome arcadico di Corilla Olimpica. Di ben 18 anni più anziana di lui, con alle spalle una vita turbolenta e sregolata, Corilla si trovava in quel momento (1775) all'apice della fortuna. Amata e ricercata da illustri personaggi e da regnanti di mezza Europa, la quasi cinquantenne pastorella era diventata l'astro più fulgido dell'Arcadia romana. Per far meglio apprezzare i meriti letterari dell'amica il G. istituì l'effimero Ordine dei cavalieri olimpici e dilapidò denari in feste, banchetti e adunanze poetiche in cui Corilla improvvisava su temi estemporanei davanti a un pubblico estasiato. La celebrità dell'amante si rifletté anche sul principe, che fu "appastorato" col nome di Emireno Alantino e poté recitare in Arcadia una sua fatica letteraria, Il letterato buon cittadino. In quel periodo era molto acceso a Roma il dissidio fra i sostenitori e gli avversari della Compagnia di Gesù, recentemente soppressa. Attorno alla Morelli si aggregò la fazione antigesuitica che, preso il sopravvento, spinse il papa alla clamorosa decisione di coronare Corilla in Campidoglio, onore riservato soltanto a sommi poeti come il Petrarca e negato persino al Tasso. La decisione suscitò grande scalpore ma i sostenitori della poetessa, incuranti delle critiche, si prepararono al grande momento. Tuttavia l'incoronazione, il 31 ag. 1776, avvenne di notte, in fretta e senza grandi solennità, perché all'ultimo momento molti degli stessi fautori di Corilla ebbero scrupoli. Nonostante il tono dimesso, la cerimonia fu disturbata da un gruppo di persone, certamente istigate dal partito avverso, che non risparmiarono scherni e scurrilità all'indirizzo della poetessa. Il G., temendo per l'incolumità propria e dell'amica, sulla via del ritorno non esitò a ordinare alla scorta di aprirsi un varco con la forza tra la folla vociante. Lo scandalo provocato dall'incoronazione e dai disordini che ne erano seguiti consigliava di allontanarsi; così il 4 settembre il G. e Corilla lasciarono l'Urbe in tutta fretta e ingloriosamente. Nell'ottobre successivo egli partì per la Francia con la promessa di tornar presto al fianco dell'amica inconsolabile, che continuò a rivolgergli amorosi richiami finché nell'aprile 1779 venne a sapere che l'amante l'aveva tradita sposando "una cittadina Rangoni mercantessa di anni 36", a suo dire non bella, non nobile, non ricca, non giovane e tanto meno virtuosa.
Il matrimonio non assopì lo spirito irrequieto del G., che non tardò a lasciare la Francia per compiere lunghi soggiorni in Inghilterra e in Svizzera, dove fu in contatto con ambienti libertari e riformistici che gli ispirarono una breve ma intensa produzione di saggi storico-filosofici (1776-80), iniziata con Il letterato buon cittadino, apparso a Roma nel 1776 corredato ("abbuiato", secondo il Baretti) dalle note dell'abate L. Godard e con una prefazione di G. Pizzi, entrambi figure di spicco dell'Arcadia romana (una traduzione francese apparve a Ginevra l'anno seguente).
In disaccordo con J.-J. Rousseau, alla cui dottrina si era pur formato, il G. vi sostenne che le lettere sono strumento di felicità per i popoli perché possono illuminare la politica, le leggi e ogni attività umana. Il letterato, come l'uomo di scienza e di cultura, combatte i pregiudizi e l'ignoranza, è ministro "del vero, del sublime, del grande". Egli rappresenta la nuova aristocrazia dell'ingegno e della virtù, il miglior sostegno del principe illuminato presso il quale deve assumere la missione di difendere "l'onore, la fortuna, la vita de' cittadini". Con quest'opera, in cui manifestò le sue simpatie per una monarchia costituzionale, il G. fu forse il primo che osasse parlare a Roma di libertà e di democrazia. Nel 1777 il G. tenne un lungo discorso alla Royal Society londinese, pubblicato nello stesso anno, senza indicazione di luogo e data, come Saggio analitico dell'elogio da farsi dello spirito umano… letto alla Società reale di Londra, l'anno 1777 (con aggiunto un poemetto del Godard in lode degli studi del G., L'ombra di Pope), e ancora in quell'anno a Ginevra in traduzione francese (Essay analytique sur les découvertes capitales de l'esprit humain, prononcé à la Société royale de Londres, l'année 1777). Il G. vi presentò, in forma di compendio della filosofia contemporanea, una serie di riflessioni su temi quali l'applicabilità del metodo scientifico allo studio dei problemi morali e sociali, i rapporti fra Stato e Chiesa, la condanna di ogni forma di dispotismo, l'elogio dei sovrani illuminati, l'esaltazione dell'antica Repubblica Romana. Su quest'ultimo tema il G. tornò con le Riflessioni filosofico-politiche sull'antica democrazia romana (Venezia 1780), sicuramente la sua opera più matura e originale, in cui rifiutò il dispotismo illuminato e abbracciò senza riserve gli ideali democratici. Premesso che solo nelle repubbliche democratiche le città prosperano e fioriscono commerci, arti e scienze, il G. vi delineò una repubblica fondata sui valori di umanità, abnegazione, rispetto della dignità dell'uomo, dove lo Stato assicura al popolo la maggior somma di beni e il benessere è diffuso equamente fra il maggior numero possibile di cittadini. Un savio governo repubblicano, sostenne, vale assai più di ogni monarchia temperata, e se è vero che le democrazie possono tralignare lo è altrettanto che i mali del dispotismo superano sempre quelli della libertà corrotta. Dopo il fulgido esempio della Repubblica Romana solo la Gran Bretagna, tra le nazioni moderne, si è data una forma di governo ispirato a un autentico e democratico spirito di libertà, e al suo esempio devono guardare le altre nazioni.
Nel 1780 videro anche la luce le Riflessioni sulla poesia e sulla musica. Per il G. la poesia può essere definita "il sogno incantatore della filosofia". Entrambe hanno il fine di ispirare all'uomo "l'amore della libertà, l'orrore della schiavitù, l'odio all'ingiustizia e alla colpa, la fedeltà e l'ubbidienza alle leggi, l'amore delle grandi azioni". Anche la pittura è una grande espressione dell'animo umano, ma di livello inferiore rispetto alla poesia perché la rappresentazione pittorica non abbraccia l'estensione del tempo e dello spazio. Viceversa, la musica può considerarsi "una vera poesia de' suoni, imitatrice ed emola di quella delle parole". Il Litta e il Natali hanno attribuito al G. anche un Dell'influenza dello spirito guerriero de' Romani sulla decadenzadelle belle arti nell'Italia e nella Grecia, che non sembra però reperibile (non è chiaro se si tratti di riferimenti impropri alle citate Riflessioni filosofico-politiche).
Questi saggi ebbero buona accoglienza, come mostrano anche le ristampe e traduzioni. Tuttavia a partire dal 1780 la vena speculativa del G. si esaurì, almeno quanto alla produzione scritta, mentre il suo attivismo civile non conobbe soste. Negli anni successivi lo si trova iscritto alla massoneria francese, paladino a Parigi dei diritti civili dei protestanti, testimone della stagione rivoluzionaria e inviso a Vienna per la sua attività pubblicistica. Sugli ultimi decenni della vita le notizie si fanno ancor più frammentarie e si ricavano solo da testimonianze di contemporanei. G. Casanova, che afferma di averlo conosciuto di persona, riferisce nei Mémoires che dopo la relazione con la Morelli, culminata nella chiassosa vicenda romana, egli si era unito in matrimonio con Elisabetta Rangoni, "pauvre fille du consul de Rome, marchand de Marseille"; il G. viveva della pensione ottenuta dall'imperatrice e, vergognandosi di una sposa al di sotto del proprio stato, lasciava credere che ella appartenesse alla famiglia degli omonimi conti di Modena. Sullo stato sociale della Rangoni, anch'essa autrice, vi sono opinioni contrastanti. Secondo il Litta era figlia di un banchiere di Marsiglia; l'Ademollo ritiene addirittura che il Gonzaga da lei sposato non fosse Luigi. Su questo non fanno luce nemmeno le sue Lettres sur l'Italie, la France, l'Allemagne et les beaux-arts (Berlino 1796 e Amburgo 1797); alcune, scritte dalla Germania tra il 1790 e il 1794, riferiscono i risultati della sua missione, che era di perorare presso l'imperatore Leopoldo II la restituzione dei diritti che il marito, un principe Gonzaga, rivendicava sui feudi di famiglia. Tuttavia la Rangoni non vi nomina mai il consorte, non riferisce alcun particolare che consenta di identificarlo né esplicita la natura di quei diritti.
Il G. che emerge dai giudizi dei contemporanei è un personaggio bizzarro ed esuberante, dissipatore di sostanze, ingenuo e facile preda degli avventurieri ma animato da un ideale di vita senza pregiudizi, ignoranza, conformismo, da un atteggiamento di curiosità di fronte alla vita e di entusiasmo per l'avvenire. L'abate G.C. Amaduzzi, che lo frequentò, gli riconobbe "una dottrina non ordinaria, una religione esemplare, un genio antilojolitico assai bizzarro, una politica assai savia ed una soavità sorprendente di tratto e di costume" (Gasperoni, 1941). Il Casanova lo definì "homme lettré et même homme de génie", ma colpevole di essersi lasciato plagiare dalla Morelli. Giudizi positivi sulla sua opera furono espressi da C. Denina, M. Cesarotti e G. Baretti (che però gli rimproverò la familiarità con gli "insulsi confratelli arcadi"). M.H. Weil riporta la testimonianza del consigliere aulico Siber, che nel 1814 definì il principe "un vieux demi-savant qui a roulé dans l'Europe". G. Acerbi, che lo incontrò a Vienna nello stesso anno, lo ricordò ancora infervorato nei viaggi malgrado l'età.
A partire dal 1796 il G. conobbe nuovamente le molestie del bisogno perché, con l'occupazione francese della Lombardia, la rendita feudale che gli era versata dal Monte di Milano fu esposta a ritardi e diminuzioni. Attorno alla stessa data si concluse con la separazione anche il suo matrimonio con la Rangoni. Nel 1808 si trasferì a Vienna, dove si spense il 10 sett. 1819 e fu sepolto nella cattedrale di S. Stefano. In mancanza di discendenza diretta aveva disposto per testamento che la rendita feudale fosse trasmessa ai parenti del ramo di Vescovato.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Fondo Gonzaga di Castiglione delle Stiviere, bb. 8, 165, 286; E. Rangoni, Lettres de madame la princesse de Gonzague sur l'Italie, la France, l'Allemagne et les beaux-arts, Hambourg 1797; G. Casanova, Mémoires, III, a cura di R. Abirached, Paris 1958, pp. 67, 796; G. Baretti, Opere, a cura di M. Fido, Milano 1967, p. 984; G. Acerbi, Il giornale di Vienna, a cura di M. Gabrieli, Milano 1972, pp. 64, 94; A. Ferraris, Notice historique et généalogique sur la famille impériale et royale des princes de Gonzaga, Turin 1851; A. Gonzaga, Dépouillement des pièces justificatives établissant l'état civil du prince Alexandre-André de Gonzaga Mantoue, Paris 1852, p. 32; B. Arrighi, Storia di Castiglione delle Stiviere sotto il dominio dei Gonzaga, Mantova 1853-54, II, pp. 135-139; P. Greco - P. Musci, Vita di s.a.s. il generale principe Alessandro I di Gonzaga, duca di Mantova, principe di Castiglione, Napoli 1868, pp. 165, 227, 238, 261; D. Silvagni, La corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, Firenze 1882, I, pp. 343-359; L. Morandi, Voltaire contro Shakespeare. Baretti contro Voltaire, Città di Castello 1884, pp. 163 s.; L. Vicchi, Vincenzo Monti. Le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830, Fusignano 1885, pp. 139-143; A. Ademollo, Corilla Olimpica, Firenze 1887, pp. 149 ss. e passim; C. Tivaroni, L'Italia prima della Rivoluzione francese, Napoli 1888, p. 500; I. Carini, La coronazione di Corilla giudicata da Gaetano Marini, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XX (1892), pp. 311-314; G. Gasperoni, La storia e le lettere nella seconda metà del sec. XVIII, Jesi 1904, pp. 35 ss. e passim; E. Bertana, Vittorio Alfieri, Torino 1904, p. 296; M.H. Weil, Les dessous du Congrès de Vienne, I, Paris 1917, p. 102; G. Seregni, Don Carlo Trivulzio e la cultura milanese dell'età sua (1715-1789), Milano 1927, p. 37; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 289, 350 e passim; G. Gasperoni, Settecento italiano, I, L'abate G.C. Amaduzzi, Padova 1941, p. 84; S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia, Torino 1961, pp. 125-127, 304; E. Ondei, Storia di Castiglione delle Stiviere, Brescia 1968, pp. 192-197; Id., Un Gonzaga illuminista: l'ultimo principe di Castiglione, in Atti e mem. dell'Accademia Virgiliana di Mantova, n.s., XLIII (1975), pp. 79-97; R. Salvadori, Don L. G. ultimo principe di Castiglione, in Gazzetta di Mantova, 10 nov. 1968, p. 17; A. Agostini, Storia di Castiglione delle Stiviere, Castiglione delle Stiviere 1984, p. 330; M. Marocchi, I Gonzaga di Castiglione delle Stiviere. Vicende pubbliche e private del casato di s. Luigi, Verona 1990, pp. 602-607; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Gonzaga, tav. XXXIII.