GORLA, Luigi (Gino)
Nacque a Crema (Cremona), il 28 dic. 1906, da Giuseppe e Teresa Miroglio.
Iscrittosi nel 1924 alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pavia, il G. passò successivamente alla Università statale di Milano, dove, nel 1928, si laureò in diritto civile con una tesi su "Il concetto generale dell'accessione nel diritto civile italiano", relatore E. Betti. Accanto all'attività di ricerca, il G. fin dall'inizio esercitò a Milano la professione di avvocato.
La "tendenza immediata" del G. allo studio storico del diritto rimase, nel primo decennio della sua attività, caratterizzata dall'adozione del metodo concettualista, sullo sfondo di indagini dedicate ad alcuni istituti del diritto civile; la sua latente insoddisfazione per i modi della scienza del diritto trovò, peraltro, conferma nelle "riserve di metodo" espresse dalla commissione giudicatrice che, nel 1937, concesse l'ordinariato al G., dal 1934 professore di ruolo di diritto civile presso l'Università di Cagliari.
Risalgono a questo periodo le monografie su L'atto di disposizione dei diritti (in Annali della Facoltà di giurisprudenza della R. Università di Perugia, s. 5, XIV [1935], pp. 136 ss.) e La compravendita e la permuta (Torino 1937), nelle quali il G., dopo aver distinto il contratto obbligatorio dall'atto di disposizione, nega la natura contrattuale di quest'ultimo, giudicandolo atto complesso, composto da una dichiarazione di messa a disposizione di un diritto e da una dichiarazione di approvazione della controparte. Di conseguenza, avendo riguardo all'atto traslativo solvendi causa, che per il G. non è causale ma astratto, non sarebbe rilevabile, nel sistema del codice del 1865, la vendita "reale". Il processo storico di "spiritualizzazione" della traditio è inteso dal G. in senso restrittivo, non come fusione, ma come contestualità nella formazione del contratto obbligatorio e dell'atto di trasferimento, che restano concettualmente atti distinti. La compravendita, in quanto contratto sinallagmatico formato da due negozi obbligatori, produce l'obbligo di fare avere il diritto mediante l'atto di disposizione. Di notevole importanza anche la monografia Del rischio e pericolo nelle obbligazioni (Padova 1934), dove il G. distingue fra problemi giuridici sottesi al sinallagma genetico e, in particolare, alla causa come rapporto di dipendenza e di coesistenza fra le obbligazioni e problemi relativi al sinallagma funzionale. Hanno, invece, carattere settoriale i lavori su: L'assegnazione giudiziale dei crediti, ibid. 1933; La riproduzione del negozio giuridico, ibid. 1933, e Le garanzie reali dell'obbligazione. Parte generale, Milano 1935.
Il problema del "metodo" fu affrontato per la prima volta dal G. nella monografia su L'interpretazione del diritto (ibid. 1941). A partire da questo lavoro il G. iniziò a prendere le distanze non solo dalla scuola storica e dalla scienza naturale, o pura, del diritto, ma anche da quella del libero diritto e dalla cosiddetta giurisprudenza degli interessi. Egli rivendicò infatti, anche se ancora in chiave positivistica, la centralità dell'interpretazione, come specifica attività di conoscenza, contrapposta alla scienza del diritto e basata sulla riproduzione e il dispiegamento, nello spirito dell'interprete, dell'attività del legislatore storico e, dunque, anche dei "concetti legislativi".
Il profilo della critica dei "concetti di conoscenza", elaborato nel lavoro sull'interpretazione del diritto, rimase una costante nel pensiero del G.: basta richiamare in tal senso un noto saggio del 1956, Il potere della volontà nella promessa come negozio giuridico, in cui sostenne che, a fronte delle connessioni riscontrabili tra le idee della volontà creatrice, almeno in via mediata, dell'effetto giuridico, del negozio giuridico come dichiarazione di volontà e del diritto soggettivo come interesse protetto dalla legge, sta l'equivoco della cosiddetta teoria generale del negozio giuridico. Tanto la civil law quanto la common law, infatti, sanzionano la promessa per l'esigenza di ordine sociale di proteggere il promissario e il suo affidamento. La volontà del promittente non crea il vincolo giuridico, ma contribuisce soltanto a realizzare i presupposti di fatto a cui la legge collega la nascita del vincolo stesso.
Nel periodo della seconda guerra mondiale il G. maturò "un definito rifiuto dell'onnipotenza del legislatore" (Sacco). Fra il 1943 e il 1946, anni in cui insegnò nelle università di Perugia, Modena e Parma, per poi stabilirsi a Pavia fino al 1949, lesse l'intera opera di A. de Tocqueville: nacquero così la prolusione pavese del 1946 su Il sentimento del diritto soggettivo in A. de Tocqueville (ora in Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano 1981, pp. 14 ss.) e il Commento a Tocqueville (ibid. 1948).
Sul piano analitico, il G. considerò il problema dell'"avere diritto" come quello della coscienza che una data civiltà ne abbia, avuto riguardo ai diversi modi in cui si sono atteggiati, nel corso dei secoli, i rapporti fra "personalità" e "società". Sul piano programmatico, egli accolse da un lato, in chiave antirazionalistica e antilluministica, l'idea tocquevilliana della originarietà del diritto soggettivo, inteso come forza morale, creazione dello spirito aristocratico, attraverso l'esperienza storica e la tradizione. D'altro canto, egli si trovò costretto a riconoscere come il concetto moderno di diritto soggettivo portasse con sé l'idea, definitivamente maturata nell'Ottocento europeo, di un diritto derivato o concesso dallo Stato.
La ricerca di altri modi di intendere l'"avere diritto" si collega, nella vita del G., al "desiderio tocquevilliano" di visitare gli Stati Uniti, desiderio realizzato con un viaggio che durò per tutto il 1949, nel corso del quale ebbe modo di visitare diverse scuole di diritto. Di ritorno, su iniziativa di V. Arangio Ruiz, fu chiamato a insegnare diritto comparato nell'Università di Alessandria d'Egitto, dove rimase fino al 1957.
L'interesse per lo studio del diritto inglese e per la comparazione con la civil law divenne predominante. Sono gli anni degli studi sul contratto, culminati nella monografia Il contratto. Problemi fondamentali trattati con metodo comparativo e casistico, I-II, ibid. 1954 (preceduta, fra il 1952 e il 1953, dai tre saggi: Causa, consideration e forma dell'atto di alienazione inter vivos, in Riv. di diritto comm., I [1952], pp. 173 ss.; La rinuncia e il contratto modificativo, l'offerta irrevocabile nella civil law e nella common law, ibid., pp. 391 ss.; Appunti sul contratto obbligatorio nel c.d. diritto continentale e nella common law (un po' di storia e casistica), in Riv. di diritto processuale civile, XXIX [1953], pp. 1 ss.).
Come il G. chiarisce nell'Introduzione alla monografia sul contratto (poi ristampata come saggio autonomo: Comparison involves history, in Diritto comparato e diritto comune europeo, cit., pp. 41 ss.), la comparazione, in quanto mezzo di comprensione, si identifica nello studio delle ragioni delle differenze e delle somiglianze fra due sistemi giuridici ed è funzionale a correggere gli eccessi del metodo logico-sistematico. Il primo volume dell'opera è incentrato su un problema caratteristico della civil law: se sia sufficiente il nudo patto ai fini della sanzionabilità giuridica di una promessa. Il G. ridefinisce in tal senso i rapporti tra certi vestimenta richiesti per la giuridicità della promessa e certi criteri di accertamento della volontà di obbligarsi, rifiutando esplicitamente l'idea bettiana di causa del contratto come "funzione economico-sociale". In particolare, in civil law esiste un "sistema di patti vestiti". È necessario poi distinguere, per le obbligazioni di dare, il problema della "causa sufficiente" a escludere la forma della donazione e, per le obbligazioni diverse da quelle di dare, il problema della "causa ragionevole", cioè dei criteri di accertamento del carattere patrimoniale della prestazione, secondo parametri di valutazione delle circostanze consistenti nel comune apprezzamento, ovvero in relazione ai profili della "tipicità" e della "realità". Quanto alla common law, il G. osserva come la promessa sia sanzionata in modo più largo, rispetto al problema di civil law della causa sufficiente. Ciò è dovuto alla concezione, affermatasi storicamente in seguito al predominio, in sede processuale, dell'action of assumpsit sull'action of debt, della consideration come sacrificio o detriment del promissario a richiesta del promittente. In particolare, rispetto al concetto di civil law di causa del contratto, la consideration sottende un modello di "affidamento" secondo cui la promessa del promittente è il "prezzo" dello scambio: alla base della enforceability vi è un nesso di causalità voluto fra quella promessa e il sacrificio richiesto al promissario: la responsabilità del promittente, rileva il G., non deriva dall'aver promesso, ma dall'aver causato. La consideration, che può essere executed ovvero executory, viene a identificarsi con lo schema omnibus del bargain. Uno schema molto simile all'idea medievale di "contratto" come generico "scambio".
Conclusa l'esperienza egiziana, il G. trascorse un anno presso la Law School della Michigan State University. Nel 1960, dopo un breve periodo a Pisa, fu chiamato, con la sola e non casuale astensione del suo antico maestro E. Betti, a Roma, dove fu titolare della cattedra di diritto comparato che era stata di T. Ascarelli, rivestendo anche la carica di direttore di quell'istituto. La sua attività di ricerca fu incentrata, in questo periodo, sulla giurisprudenza come fattore primario del processo di comparazione fra common law e civil law e si arricchì inoltre di un'ulteriore fase di studi sul contratto, relativi a fact situations, cui il G. fu stimolato dalla partecipazione ai seminari della Cornell University (Ithaca, New York).
Al periodo dei seminari alla Cornell, che si concluse nel 1967, si connettono numerosi saggi sul processo di formazione del contratto, i quali condussero il G. a due risultati: la negazione della "logica" del "consensualismo" e l'individuazione, nel diritto italiano, di modi di perfezionamento, incentrati sul modello di common law, del contratto unilaterale e della executed consideration e nei quali, ferma restando la rilevanza dell'"accordo" fra le parti come fonte regolatrice del rapporto, il compimento della prestazione da parte del promissario è in condicione, non anche in obligatione.
L'emersione della categoria delle "promesse condizionate a una prestazione" è compiutamente individuata in un lavoro del 1968 (Promesse condizionate a una prestazione, in Riv. di diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, LXVI, pp. 431 ss.), nel quale il G. sostiene la presenza di tale categoria, oltre che nella common law, anche nel diritto italiano, dove il risultato cui mira il proponente è troppo incerto perché convenga farne oggetto di una obbligazione (per es.: vendita di cosa futura). In tali ipotesi, a differenza della common law, assume tuttavia rilevanza, come unica fonte regolatrice del rapporto, l'accordo delle parti, se intervenuto ex ante rispetto al compimento dell'atto. L'attacco al "dogma del consenso" risulta, di fatto, una delle note caratterizzanti questa fase di studi; v.: Il dogma del "consenso" o "accordo" e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, ibid., LIV (1956), pp. 923 ss.; e La logica-illogica del consensualismo o dell'incontro dei consensi e il suo tramonto (dal diritto romano-comune alla Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1964), ibid., LXIV (1966), pp. 255 ss.
Sempre a partire dagli anni Sessanta, si delineò nel pensiero del G. l'esigenza di una comparazione su base giurisprudenziale fondata su quattro capisaldi: l'idea, poi superata, del diritto comparato come "attività di conoscenza pura", conoscenza per raffronto di una "unità storica", ma anche delle analogie e differenze riscontrabili fra le epoche diverse di due sistemi giuridici; l'affermazione del primato della comparazione fra common law e civil law quale uno dei modi della scienza del diritto, a fronte dell'incidenza del diritto romano inteso come sviluppo romanistico, e della common law sulla civiltà giuridica occidentale; la rilevanza dei metodi della problematica e casistico come preliminari mezzi di conoscenza del proprio ordinamento e, più specificamente, come presupposto necessario della comparazione fra civil law e common law, essendo quest'ultima un diritto creato dal giudice; la conseguente necessità di indurre il "sistema" dall'esame della law in action, sia ai fini della sua conoscenza, sia come condizione necessaria per "comparare".
Questi capisaldi sono discussi soprattutto nella voce Diritto comparato (in Enc. del diritto, XII, Milano 1963, pp. 928 ss.) e nei saggi Studio storico comparativo della common law e scienza del diritto, in Riv. di diritto proced. civ., LX (1962), pp. 25 ss.; Formazione e strutture fondamentali della common law, ibid., LXIII (1965), pp. 1647 ss.
In questa prospettiva, il G. si interessò innanzitutto allo studio interno della giurisprudenza e alla necessità di reagire alla sua neglectio. Nel 1965 subentrò ad A. Torrente nella direzione di un programma di ricerca, finanziato dal Consiglio nazionale delle ricerche, che curò la pubblicazione dei Quaderni de Il Foro italiano.
L'indagine sulla struttura e sullo stile delle sentenze e sulla loro interpretazione; la necessità di conoscere il cosiddetto fatto di causa al fine di verificare il valore in concreto del precedente giudiziale; la conseguente attenzione per lo studio dei "mezzi di informazione" e la loro funzionalità rispetto alle esigenze di conoscere il proprio diritto e di poterlo comparare con la common law; la lotta contro gli omissis circa i fatti di causa; l'esigenza di promuovere un genere di "nota a sentenza" che tendesse a interpretare la decisione giudiziale per sé e nel quadro dell'interpretazione dei "precedenti": questi i principali filoni delle ricerche del G. sul "paragiuridico". Esse misero in luce la tendenza delle sentenze italiane alle massime astratte e alle concettualizzazioni, rispetto alla stretta relazione fra ratio decidendi e "caso concreto" sottesa allo stile dei reports anglo-americani. Questi temi sono affrontati soprattutto, nella Introduzione alla Raccolta di saggi sull'interpretazione e sul valore del precedente in Italia (in Quaderni de Il Foro italiano, 1966).
Sempre a partire dagli anni Sessanta, il G. elaborò un'idea di scienza storico-comparativa della "attività dello ius dicere", intesa sia come "studio interno" della giurisprudenza, sia come scienza dei fattori del diritto, o dei processi della sua formazione, e incentrata sui legami fra organizzazione dei tribunali e loro posizione politico-costituzionale, di diritto e/o di fatto, rispetto al ruolo della "dottrina" e, soprattutto, alla interpretazione della "legge scritta". A tale idea si collegò poi l'esigenza scientifica di colmare le due grandi lacune storiografiche individuate dal G. nell'assenza di studi sul diritto "comune" continentale dei secoli XVI-XVIII e di parte del XIX, nonché di una storia del diritto inglese del medesimo periodo, avuto riguardo all'estensione e alla portata, desumibile dall'esame dei cases, "dell'opera svolta dalle Corti che applicavano la Civil Law".
I risultati più importanti di questo indirizzo di ricerca furono l'individuazione della vigenza in Europa, in linea di massima fino alle codificazioni del secolo XIX, dei cosiddetti ordinamenti giuridici aperti e, dunque, di un diritto comune europeo a base giurisprudenziale. Tale diritto era inteso come complesso di principî e norme, nonché come "cultura giuridica comune", dove la "comparazione" costituiva il perno stesso su cui poggiava il riconoscimento, nello ius dicere dei tribunali, di una communis opinio avente valore di autorità sul piano sovrastatuale. Gli studi storici sulla "giurisprudenza" riguardarono in particolare la formazione dei grandi tribunali negli Stati preunitari, i modi del loro ius dicere e alcune figure di giuristi "eminenti" dell'epoca del diritto comune.
Questi temi sono sviluppati, fra il 1965 e la fine degli anni Ottanta in numerosi contributi, fra i quali è sufficiente ricordare: I precedenti storici dell'art. 12 disposizioni preliminari del codice civile del 1942, in Foro italiano, 1969, parte V, coll. 112-134; I grandi tribunali italiani fra i secoli XVI e XIX, in Quaderni de Il Foro italiano, 1969, coll. 629 ss.; la voce Giurisprudenza, in Enc. del diritto, XIX, Milano 1970, pp. 489 ss.; Il ricorso alla legge di un "luogo vicino" nell'ambito del diritto comune europeo, in Foro italiano, 1973, parte V, coll. 89-107; I tribunali supremi degli Stati italiani, fra i sec. XVI e XIX, quali fattori della unificazione del diritto nello Stato e della sua uniformazione fra Stati, in La formazione storica del diritto moderno. Atti del terzo Congresso internazionale della Società italiana di storia del diritto, Firenze 1977, pp. 447 ss.; Un centro di studi storico-comparativi sul "Diritto comune europeo", in Foro italiano, 1978, parte V, coll. 313-322; Prolegomeni ad una storia del diritto comparato europeo, ibid., 1980, parte V, coll. 11-25.
Le esperienze di studio sul "paragiuridico" e sulla "giurisprudenza" condussero il G. a rinnegare l'idea del diritto comparato come attività di conoscenza pura. La comparazione fu intesa dal G. più maturo come fenomeno di "comunicazione" che abbraccia, storicamente, l'Europa e le sue successive espansioni ai paesi colonizzati e poi divenuti indipendenti. Alla presa di coscienza della indistinguibilità in fatto fra comparazione e conoscenza del diritto straniero e all'ineliminabilità del diritto comparato finalizzato a certi scopi pratici si accompagnò l'esigenza "politica" di una reazione alla formalizzazione dello studio comparativo del diritto esclusivamente all'interno della scienza giuridica, secondo modi di ragionare affermatisi a partire dall'Ottocento europeo.
Di qui la valorizzazione di un diritto comparato alla ricerca delle concordanze, intese come valori vigenti per i giuristi di una data epoca, e l'idea del carattere necessario, immanente, della storia del diritto comparato come storia del diritto nella sua dimensione "occidentale". Il pensiero del G. risultò poi caratterizzato da una forte connessione fra la scoperta del diritto comune e comparato europeo e il problema "attuale" della unificazione e armonizzazione dei diritti statali: queste esigenze sono chiaramente avvertibili in particolare nella voce Diritto comparato e straniero apparsa sull'Enciclopedia giuridica Treccani (XI, Roma 1989).
Il G. morì a Roma il 6 luglio 1992.
Fonti e Bibl.: Studi in memoria di G. G., Milano 1994 (con ampia bibl. di e sul G. e saggi di G. Benedetti, M. Ascheri, P. Carlini Prosperetti, L. Moccia, J.H. Merryman, B. Nicholas, G. Pugliese, W. Rodinò, R. Sacco, F. Santoro Passarelli, R. Schlesinger); vedi anche: R. Sacco, Un metodo di lavoro nuovo: il seminario di Cornell, in Riv. di diritto civile, LXIV (1972), 2, pp. 172 ss.; G. Gorla, Ricordi della carriera di un comparativista (dal diritto comparato a diritto comune europeo), in Foro italiano, 1980, parte V, col. 1; M. Lupoi, G. G., in Riv. di diritto commerciale e del diritto gen. delle obbligazioni, XCI (1993), 1, p. 451.