ILLICA, Luigi
Nacque il 9 maggio 1857 a Castell'Arquato, presso Piacenza, dal notaio Diogene (1816-92) e da Geltrude Zappieri. Dopo studi irregolari al ginnasio di Piacenza e in un collegio di Cremona, viaggiò alcuni anni per mare, conducendo una vita, pare, piuttosto avventurosa, che lo portò a combattere contro i Turchi nella battaglia di Pleven nel 1877. Ritornato in Italia, si dedicò al giornalismo, dapprima su un foglio del cugino C. Mascaretti, poi a Milano - dove si trasferì intorno al 1879 - come cronista del Corriere della sera, in un secondo tempo a Bologna, dove nel 1881 fondò con Luigi Lodi e con l'avvocato Barbanti-Brodano il quotidiano Don Chisciotte, infine ancora a Milano, dove sarebbe vissuto molti anni, dal 1882 alla fine del secolo.
Già da ragazzo, nel 1875, aveva tentato la via del teatro con l'atto unico Hassan (rappresentato al teatro Filodrammatico di Castell'Arquato), ma l'esordio ufficiale come letterato sarebbe avvenuto nel segno della narrativa: Farfalle - Effetti di luce (Milano 1881) è una curiosa raccolta di cinque brevi prose, in cui altrettante farfalle raccontano varie scene di vita quotidiana, tutte ruotanti intorno al filo conduttore dell'amore contrastato di giovani fanciulle. L'antica passione teatrale avrebbe tuttavia preso il sopravvento, inducendo l'I. a dedicarsi anima e corpo alla scrittura di commedie, alla ricerca di un successo che lo avrebbe messo al riparo da problemi pecuniari. I Narbonnerie-Latour, in un prologo e quattro atti, scritta a quattro mani con F. Fontana e rappresentata al teatro Manzoni di Milano il 19 ott. 1883 (ripresa all'arena del Sole di Bologna nel 1884; pubblicata da C. Barbini nel 1885), non fu che la prima di una lunga serie, culminata con L'ereditaa [sic] del Felis, in dialetto milanese, data al teatro Filodrammatici di Milano il 21 sett. 1891 con notevoli consensi, quando però la carriera dell'I. aveva già compiuto quella svolta che lo avrebbe portato ai vertici della notorietà intorno al volgere del secolo.
Nel frattempo, infatti, egli si era avvicinato al teatro d'opera: nel 1886, in collaborazione con F. Pozza, aveva approntato Il vassallo di Szigeth per A. Smareglia (rappresentato alla Hofoper di Vienna nel 1889). Il debutto come librettista in proprio avvenne qualche anno più tardi, quando A. Catalani gli affidò la veste letteraria del suo sesto (e ultimo) lavoro teatrale, La Wally, un dramma in quattro atti ricavato dal popolare romanzo di ambientazione alpina di Wilhelmine von Hillern (dato alla Scala il 20 genn. 1892). L'opera segnò anche l'inizio della lunga collaborazione con il principale editore musicale italiano, Ricordi, che fruttò all'I. commissioni di assoluta rilevanza. G. Puccini, congedato il librettista delle prime due opere (Fontana, cui resta legato il nome dell'esordiente I.), per poter procedere nella composizione di Manon Lescaut, arenatasi su problemi di natura drammaturgica, credette opportuno coinvolgere l'I. nell'impresa; se anche il suo nome non apparve sul frontespizio (gli autori furono così tanti che il libretto della prima, avvenuta il 1° febbr. 1893 al teatro Regio di Torino, fu pubblicato anonimo), la collaborazione valse all'I. comunque l'invito a partecipare al successivo progetto operistico. Con La bohème nasce un "triumvirato" tra i più celebri nella storia del melodramma: il libretto firmato da G. Giacosa e dall'I. contribuì in maniera determinante al successo dell'opera di Puccini, che anche a distanza di più di un secolo non accenna a diminuire (il lavoro, tratto dalle Scènes de la vie de bohème di H. Murger, andò in scena al Regio di Torino il 1° febbr. 1896).
Quell'anno segna la consacrazione definitiva dell'I. quale librettista di grido: l'altro suo lavoro coevo, Andrea Chénier, quattro atti per la musica di U. Giordano (pubblicati da Sonzogno, principale concorrente di Ricordi), risulterà uno dei più riusciti libretti originali nel panorama operistico del tempo, basato su documenti storici anziché su un preesistente lavoro letterario (prima assoluta alla Scala di Milano il 28 marzo 1896). In coppia con Giacosa, l'I. firmò altri due libretti per Puccini: Tosca (Roma, teatro Costanzi, 14 genn. 1900), da V. Sardou, e Madama Butterfly (Milano, teatro alla Scala, 17 febbr. 1904), da D. Belasco, che segnano l'apice del suo successo internazionale. La morte di Giacosa nel 1906 e il forse eccessivo attaccamento dell'I. a un progetto riguardante la regina Maria Antonietta, sottoposto a più riprese a Puccini e da questo poi definitivamente scartato, determinarono la fine di tale fertile rapporto artistico.
Contemporaneamente al lavoro per il maggiore operista italiano dell'epoca l'I. aveva tuttavia iniziato una collaborazione con il suo collega più celebre e agguerrito: P. Mascagni. Nacque così la floreale Iris (Roma, teatro Costanzi, 22 nov. 1898), la prima opera italiana ambientata in Giappone, mentre due anni dopo Le maschere avrebbero dovuto segnare il ritorno trionfale della commedia dell'arte nell'opera buffa, laddove viceversa la messinscena contemporanea in sei diverse città (Milano, Torino, Venezia, Verona, Genova, Roma) si risolse in uno dei fiaschi più clamorosi della storia dell'opera (17 genn. 1901). Ultima tappa del cammino intrapreso a fianco di Mascagni fu la leggenda drammatica Isabeau, data al teatro Coliseo di Buenos Aires il 2 giugno 1911. Ormai l'I. aveva da tempo abbandonato Milano, ritirandosi dapprima a Cassano d'Adda, poi nella natia Castell'Arquato; la prima guerra mondiale lo aveva visto partire volontario, a cinquantotto anni, ma un incidente lo costrinse a riparare a casa.
I. morì il 16 dic. 1919 a Castell'Arquato nella sua tenuta, denominata Il Colombarone, in località Coste Orzate.
L'opera dell'I., per quanto discontinua possa sembrare, non si può che considerare quale ultima propaggine tardottocentesca della grande tradizione librettistica italiana, messa a punto da uomini di teatro a tutto tondo, poliedrici e versatili, in grado di fiutare il nuovo al momento opportuno e di integrarlo sapientemente nei loro testi. Da G.M. Foppa, passando per F. Romani e F.M. Piave, fino all'I. e, dopo di lui, A. Rossato, ultimo in ordine di tempo, il sistema produttivo dell'opera italiana non poteva fare a meno di librettisti-artigiani, il cui lavoro non va giudicato con il metro dell'opera letteraria tout court, bensì quale imprescindibile veicolo su cui il compositore innesta la sua costruzione musicale. È difficile immaginare il melodramma italiano al volgere del XIX secolo senza la figura scintillante dell'I., attratto in eguale misura dagli scenari esotici che scaturivano dalla sua fervida immaginazione come dalla tranquilla campagna della sua terra d'origine. Alle molte tensioni presenti nel mondo dello spettacolo del suo tempo l'I. seppe aggiungere quelle derivanti dal suo carattere irruento e irascibile, ma allo stesso tempo entusiasta e generoso.
L'I. certamente non fu un esponente della modernità, ma sul piano letterario della storia del teatro musicale italiano fu il più importante anello di congiunzione tra il verismo e il simbolismo di stampo dannunziano. Incline a un'idea di teatro fatto di atmosfere, di piccoli tocchi ambientali, di minimi particolari caratteristici, si abbandonò spesso a didascalie assai dettagliate, che talvolta vorrebbero farsi esse stesse letteratura, ma che costituiscono altresì un preciso studio storico-ambientale tanto più sorprendente quanto più le sue storie si allontanano dall'alveo del melodramma romantico, tradizionalmente radicato nella storia medievale o rinascimentale, meglio se italiana. Nell'I. le didascalie non solo assumono dimensioni del tutto inedite nella storia dell'opera, ma forse per la prima volta vanno al di là della mera funzione di raccolta di indicazioni scenografiche, per indirizzarsi verso una concezione registica di stampo novecentesco.
Gli scenari proposti dall'I. si muovono tra l'ambiente umile di pescatori veneziani (I dispetti amorosi, per la musica di G. Luporini; Torino, Regio, 27 febbr. 1894) o lavoratori di un porto e il café-chantant (La martire, S. Samara; Napoli, teatro Mercadante, 23 maggio 1894), tra l'America di Cristoforo Colombo (A. Franchetti; Genova, teatro Carlo Felice, 6 ott. 1892), l'Istria (Nozze istriane, A. Smareglia; Trieste, teatro Comunale, 28 marzo 1895) e il deserto arabo (La fonte d'Enscir, F. Alfano; Breslavia [ora Wrocław], 8 nov. 1898), tra l'"alto Messico" (La colonia libera, P. Floridia; Roma 1899), il Medio Evo latino (E.[H.] Panizza; Genova, Politeama genovese, autunno 1900) e la Germania insorta contro Napoleone (A. Franchetti; Milano, Scala, 11 marzo 1902), la Siberia (U. Giordano; Milano, Scala, 19 dic. 1903), l'Inghilterra (Tess, F. d'Erlanger; Napoli, S. Carlo, 9 apr. 1906), la Cina (Errisiñola, L. Lombard; castello di Trevano, Lugano, 25 ag. 1907) e l'Ungheria (Il principe Zilah, F. Alfano; Genova, Carlo Felice, 3 febbr. 1909). Spaziando altresì dall'antichità classica ora in veste tragica (Cassandra, V. Gnecchi; Bologna, Comunale, 1905), ora parodistica (Giove a Pompei, in collaborazione con E. Romagnoli; musica di Franchetti e Giordano; Roma, teatro La Pariola, 5 luglio 1921), a un Medioevo da leggenda (la citata Isabeau, rivisitazione della vicenda di lady Godiva) o invece visto in chiave nazionalistica (La Perugina, E. Mascheroni; Napoli, San Carlo, 24 apr. 1909), da tematiche religiose (Anton, C. Galeotti; Milano, Scala, 1900) a drammi di società (Helléra, I. Montemezzi; Torino, Regio, 17 marzo 1909) alla fantascienza (Il 3001, non musicato; conservato nel Fondo Illica della Biblioteca comunale Passerini Landi di Piacenza).
All'I., che si può probabilmente considerare il librettista italiano più rappresentativo a cavallo tra Ottocento e Novecento, è intitolato un premio, conferito annualmente a personalità del mondo dell'opera lirica. Nella sua cittadina natale è altresì allestito un museo a lui dedicato; il suo lascito, conservato in buona parte a Piacenza e comprendente un ricco carteggio, è da diversi anni oggetto di studi che hanno focalizzato l'attenzione sui suoi rapporti con i principali protagonisti della vita teatrale e musicale della sua epoca.
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