LUZZATTI, Luigi. - Nacque a Venezia il 1( marzo 1841 da Marco ed Enrichetta Tedeschi, in una benestante famiglia israelitica. Il padre possedeva due fabbriche, una di coperte di lana e una per la pettinatura della canapa greggia.
Dopo aver frequentato la scuola elementare privata del maestro A. Ancona, nel 1850-51 passò al liceo S. Caterina, dove fu allievo di G. Zanella e G. Politeo.
Nel 1858 il L. si iscrisse alla facoltà politico-legale dell'Università di Padova, dove conobbe G. Tolomei, docente di diritto criminale, che si ispirava a un'antropologia aristotelico-tomistica; L. Bellavite, professore di diritto civile, che teorizzava il primato dell'etica sul diritto e sull'economia; A. Messedaglia, ordinario di economia politica e cultore di statistica, del quale divenne discepolo prediletto (poi amico) e sotto la cui guida studiò i problemi del credito, della produzione, della circolazione, della distribuzione e della finanza pubblica.
Alla fine del 1863 si trasferì a Milano, dove prese a insegnare statistica ed economia politica all'Istituto tecnico superiore, partecipando nel contempo al dibattito politico nazionale. Pubblicò numerosi articoli nei giornali Il Sole e La Perseveranza, diffondendo le proprie idee sul credito e adoperandosi a tradurle in pratica: infatti, insieme con T. Zalli, fondò nel 1864 la Banca popolare di Lodi, prima banca popolare italiana.
Sempre nel 1864 sposò Amelia Levi, figlia di M. Levi e nel 1866, avvenuta la liberazione del Veneto, su proposta di Messedaglia e Tolomei, fu nominato professore straordinario di diritto costituzionale all'Università di Padova. Non accettò subito la nomina e per quasi un anno rimase nella metropoli lombarda, dove contribuì alla nascita dell'Associazione industriale italiana (1867) e prese posizione sulla necessità di misure atte a ripristinare la convertibilità metallica (il 1( maggio 1866 il ministro A. Scialoja aveva introdotto il corso forzoso della cartamoneta), contro ogni ipotesi di centralismo bancario.
Nell'ottobre 1867, cedendo alle insistenze di Messedaglia e Tolomei, accettò la cattedra patavina, entrando così a far parte del gotha intellettuale accademico veneto, allora filominghettiano, il che non gli impedì di mantenere una propria autonomia, come provano i suoi rapporti con Q. Sella, nonché i tentativi di mediare tra Sella e M. Minghetti.
Nel 1869, benché non ancora deputato (lo divenne nel 1871) e neppure in età parlamentare, fu nominato da Minghetti segretario generale del ministero di Agricoltura, industria e commercio. Nei mesi in cui ricoprì la carica (30 maggio - 28 nov. 1869) si occupò di credito agrario, di economia forestale, di istruzione industriale e professionale, di vigilanza sulle società commerciali e sugli istituti di credito, di riforma del codice di commercio, di politica doganale: ambiti operativi, questi, che lo assorbirono anche nel 1871-73, quando tornò alla segreteria generale dello stesso ministero con S. Castagnola.
Ciò non sfuggì a Ferrara, che nell'agosto 1874 attaccò il L. e la "scuola lombardo-veneta" (spregiativamente definita "germanista", con esplicito riferimento all'asserita sua sudditanza nei confronti del Kathedersozialismus di Adolph Wagner e perfino di François-Noël Babeuf), in un celebre articolo pubblicato nella Nuova Antologia, al quale il L. rispose nella stessa sede, rivendicando il carattere sperimentalista e storicista della propria posizione, postulando l'esigenza di un nesso tra etica ed economia, e facendo notare che anche nella liberalissima Inghilterra si erano succeduti, tra il 1833 e il 1874, ben quindici "Factory and Workshops Acts", volti a tutelare la salute degli operai, specie donne e fanciulli. La polemica ebbe quale esito la nascita dell'Associazione per il progresso degli studi economici in Italia (fiancheggiata dal Giornale degli economisti) e della Società A. Smith: la prima, guidata dal L., interventista nei processi economici; diretta da Ferrara e rigidamente liberista la seconda: entrambe espressione di due diversi modi di concepire la crescita economica del Paese.
Caduta la Destra e rassegnato il mandato di negoziatore dei trattati commerciali, perché "intimamente legato con la fiducia ministeriale" (Memorie, II, p. 2), il L. si dedicò con rinnovato impegno a diffondere la cooperazione di credito e pose le basi dell'Associazione fra le banche popolari; intensificò l'attività giornalistica, intervenendo ripetutamente ne L'Opinione e redasse il programma per l'Associazione costituzionale di Venezia. Il presidente del Consiglio A. Depretis, pur non rinnovandogli sul piano formale quella "sorta di delega esclusiva" per la conduzione delle trattative commerciali concessagli da Minghetti, gli riconobbe di fatto un ruolo "assai vicino a quello di un ministro senza portafoglio" (Bonelli, 1985, pp. 44 s.), pressandolo con frequenti richieste di notizie, suggerimenti e consigli, non solo in materia doganale, bensì pure fiscale, finanziaria, monetaria e creditizia.
Nel 1885, dovendosi decidere sul rinnovo o meno dell'Unione monetaria latina, della quale l'Italia faceva parte con la Francia, il Belgio, la Svizzera e la Grecia, il L. fu nuovamente a capo della delegazione italiana. Durante i lavori, la difficoltà di raggiungere un accordo sulla liquidazione degli scudi d'argento indusse il Belgio ad abbandonare il negoziato e a non sottoscrivere il testo conclusivo del 6 novembre. Solo in un secondo momento, per ragioni di convenienza politico-economica, Bruxelles tornò sui suoi passi e firmò un atto addizionale (12 dic. 1885), che garantì al Belgio significativi vantaggi rispetto alle condizioni già pattuite. Il L. seppe trarne giovamento, perché chiese e ottenne per l'Italia l'applicazione del principio della "nazione più favorita".
Nel corso degli anni '80, di fronte agli effetti devastanti della crisi agraria, il L. condivise le responsabilità politiche della svolta protezionistica del 1887 (fu lui a presentare alla Camera la relazione della commissione parlamentare sul nuovo progetto di tariffa generale), non solo per "difendere" l'agricoltura nazionale dalla caduta dei prezzi e dalla concorrenza dei grani americani e russi, ma pure per accrescere le entrate dell'Erario e, soprattutto, per sostenere l'industria, segnatamente siderurgica, oltre che metallurgica, meccanica e tessile.
Divenuto presidente della giunta centrale del Bilancio (1886-91), il L. criticò il ministro Magliani per la sua politica di deficit spending, imputandogli di aver portato il bilancio dello Stato al limite di rottura dell'unità fiscale, dato che, sommando le due categorie delle entrate e delle spese effettive con il movimento dei capitali, aveva fatto registrare come avanzo generale ciò che in realtà era un disavanzo. Gli rimproverava, inoltre, di trattare le spese dei ministeri della Guerra, della Marina e dei Lavori pubblici come straordinarie e di computarle fuori bilancio, fronteggiandole interamente con il debito pubblico, pur sapendo che si trattava di spese ricorrenti; donde l'urgenza di puntare alla conversione e al successivo ammortamento del debito pubblico, adottando una politica di rigore e di risanamento. Quando però, caduto il secondo governo Crispi e subentratogli il primo governo Rudinì (9 febbr. 1891 - 15 maggio 1892), il L. assunse la responsabilità del Tesoro (con l'interim delle Finanze, dal 22 apr. 1892), non fu all'altezza della situazione.
Tornato alla guida del Tesoro nel terzo, quarto e quinto governo Rudinì (1896-98), quando ormai si avvertivano i primi segni dell'inversione del ciclo economico mondiale, il L. mise a punto una strategia volta a stringere nuove convenzioni con la Banca d'Italia, a favorirne il risanamento patrimoniale, ad accelerarne gli smobilizzi, a rendere più rigorosa la politica delle riserve, a meglio garantire i portatori dei biglietti. Si adoperò pure per il salvataggio del Banco di Napoli, che versava in gravi difficoltà per aver consumato sia il suo capitale sia la massa di rispetto.
Negli anni di fine secolo, il L. non condivise l'analisi del sistema parlamentare e la proposta del Torniamo allo Statuto di Sonnino, che accusò di voler "sostituire al Governo di Gabinetto, quale si esplicò in Italia dal 1848 sino a oggi, l'istituto imperiale del Cancelliere irresponsabile dinanzi al Parlamento, fingendo di ignorare che le maggiori sventure, le quali hanno colpito il nostro paese, si devono alla violazione della volontà retta e sana delle Camere" (Il ministro Luzzatti agli elettori del collegio di Abano, in L'Opinione liberale, 18 marzo 1897).
Rieletto alla Camera nel 1900, sostenne il ministero Saracco, collaborando in maniera decisiva a far approvare una nuova legge sull'emigrazione quando ormai gli italiani censiti all'estero raggiungevano 1/10 della popolazione totale. La legge introdusse sostanziali novità nella normativa, rivelandosi efficace per il controllo e la tutela dell'emigrante (l. 31 genn. 1901, n. 23). Nella Camera all'inizio del '900 - quando il "gruppo" costituito intorno a Rudinì non aveva più la precedente caratterizzazione organizzativa, pur mantenendo una fisionomia unitaria per le comuni posizioni laiche di "conservatori ma liberali" dei suoi componenti, per la comune concezione dei rapporti fra Stato e Chiesa e per la tradizionale francofilia - il L. passò all'opposizione del ministero Zanardelli (15 febbr. 1901 - 3 nov. 1903), nel quale Rudinì aveva cercato, senza successo, per l'opposizione dei radicali, di farlo inserire come ministro del Tesoro.
Il L. prese pure l'iniziativa per l'istituzione della Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e vecchiaia degli operai e della Cassa nazionale infortuni, presentando alla Camera, nel 1904, un apposito disegno di legge. Con l'obiettivo di far intervenire lo Stato a sostegno degli emigranti sostenne l'assegnazione delle rimesse al Banco di Napoli, per dare "al denaro degli emigrati una sicurezza uguale a quella goduta dai fondi del Tesoro stesso all'estero" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XX legislatura, 1a sessione, Documenti - Disegni di legge e relazioni, n. 204, p. 8). Il provvedimento autorizzò il Banco di Napoli ad accollarsi il servizio e la sua organizzazione (l. 4 febbr. 1901, n. 29); in tal modo, con l'apertura di una filiale a New York, fu la prima banca italiana a operare nel continente americano.
Frutto di un'altra proposta di legge del L. fu l'assegnazione al Banco dell'esercizio del credito agrario nel Mezzogiorno continentale e in Sardegna. Con l. 7 luglio 1901, n. 334, la Cassa di risparmio, annessa al Banco, fu autorizzata a impiegare una parte delle sue risorse per il credito a consorzi e a istituti agrari. La sua opera nel campo della mutualità del credito, specialmente agrario, attivò in Italia altre importanti iniziative ed ebbe una vasta eco all'estero: fu presa a esempio dapprima in India, poi in Egitto.
Al principio del '900, senza incarichi di governo, il L. continuò l'insegnamento di diritto pubblico, promosse la ripresa del vecchio Archivio di diritto pubblico fondato nel 1891 a Palermo da V.E. Orlando, con il quale pubblicò a partire dal 1902 l'Archivio del diritto pubblico e dell'amministrazione italiana, che costituì un'importante, autonoma presenza nel settore giuspubblicistico e che continuò nel 1909 come Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia.
Sul piano politico, il L. indicò fin dal 1901 il "problema nuovo" della politica estera italiana: quello del coordinamento fra il rinnovo della Triplice Alleanza e i "nuovi, amichevoli rapporti fra l'Italia e la Francia" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XXI legisl., 1a sessione, Discussioni, tornata dell'11 giugno 1901, p. 5006), che vennero definiti l'anno successivo negli accordi Prinetti-Barrère, con l'attivo contributo del L., di Rudinì e di Visconti Venosta.
Queste sue relazioni e i rapporti, da tempo consolidati, in Italia, con i principali esponenti dei settori produttivi, motivarono la scelta del presidente del Consiglio G. Zanardelli di affidargli le trattative per il rinnovo dei trattati di commercio che scadevano il 31 dic. 1903. Il L., convinto che fra la fine del 1903 e il giugno 1904 si sarebbe avuta "la più grande controversia doganale che ricord[asse] la storia moderna, maggiore di quella che si agitò dal 1838 al 1846 pel libero scambio dei cereali" (Le nuove controversie doganali inglesi, in Nuova Antologia, 1( nov. 1903, p. 12) e contrario alla prospettiva di uno "Zollverein europeo contro l'America" (Memorie, III, p. 163), si batté a favore di una "rinnovazione a lunga scadenza dei trattati attuali, senza discostarsi troppo dai vecchi princìpi" (ibid., p. 166), sottolineando l'importanza dei problemi di politica commerciale: "La triplice alleanza fu conclusa per la prima volta, in pace, nel 1882 mentre il primo trattato di commercio con l'Austria-Ungheria lo abbiamo nel 1866 e rinnovato poi nel 1878. Quindi si può vivere con l'Austria-Ungheria senza la triplice alleanza, ma non si possono avere rapporti di buon vicinato, senza un trattato di commercio e di navigazione" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XXI legisl., 1a sessione, Discussioni, tornata dell'11 giugno 1901, p. 5003).
Nominato di nuovo ministro del Tesoro nel secondo ministero Giolitti (3 nov. 1903 - 12 marzo 1905) e ad interim delle Finanze (fino al 24 nov. 1904), il L. sostenne il progetto, che aveva condiviso con Stringher, per la costruzione della banca centrale italiana, e tutte le iniziative tendenti al rafforzamento delle banche di emissione che indicò, dopo la crisi del 1907, come le sedi idonee a realizzare forme di cooperazione internazionale e necessarie per affrontare i nuovi problemi, già allora emergenti, del XX secolo. Il suo obiettivo principale fu costituito comunque dalla conversione della rendita 5% lordo, che però dovette rinviare a dopo il primo semestre 1904, periodo che aveva inizialmente previsto per l'operazione: lo scoppio della guerra russo-giapponese e le ripercussioni del conflitto sui mercati finanziari lo obbligarono a dare la precedenza all'esercizio di Stato delle ferrovie rispetto alla conversione.
Rieletto nelle elezioni dell'ottobre 1904, il L., che aveva negato la fiducia a entrambi i governi Fortis, accettò invece l'incarico di ministro del Tesoro nel primo ministero Sonnino (8 febbraio - 29 maggio 1906), proprio per realizzare la conversione della rendita. In questa prospettiva sostenne la candidatura di Visconti Venosta come rappresentante dell'Italia alla conferenza di Algeciras (1906) - gradita dalla Francia, il cui ruolo era importante per la riuscita della conversione della rendita - e incaricò Stringher di riprendere le trattative a Parigi con la casa Rothschild. Le dimissioni del ministero e la formazione del terzo governo Giolitti (29 maggio 1906 - 11 dic. 1909) ne provocarono temporaneamente l'interruzione.
Il L., non più al governo, continuò a seguire, per incarico di G. Giolitti, insieme con il ministro A. Majorana, le difficili trattative condotte da Stringher a Parigi; riprese il 13 giugno, si conclusero il 20 successivo mediante la stipula di un contratto con un imponente gruppo finanziario francese, tedesco e britannico, riunito in consorzio. L'operazione della "grande conversione" fu realizzata dal Tesoro, secondo le indicazioni del L., con il concorso di un consorzio bancario internazionale, presieduto dalla casa Rothschild di Parigi. La conversione del consolidato 5% lordo (8 miliardi e oltre 100 milioni), il cui saggio venne ridotto al 3,75% per un quinquennio e poi, automaticamente, al 3,5% (l. 29 giugno 1906, n. 262 e r.d. 29 giugno 1906, n. 268), fu un successo, anche per le esigue richieste di rimborso da parte dei portatori nazionali ed esteri; consentì una importante riduzione dell'incidenza degli interessi sul debito fluttuante e consolidato - 20 milioni all'anno nel primo quinquennio e 40 milioni in seguito - e rappresentò l'ultimo atto di una "lunga operazione di riacquisto, da parte dell'Italia, della propria autonomia finanziaria" (De Cecco, pp. 39 s.).
Il L.- "un deista che sente e ammira l'idea religiosa in qualsiasi prisma se ne franga la luce, ma ne distingue le spirituali ascensioni traverso la storia" (come si definiva in una lettera a mons. G. Bonomelli del 18 sett. 1903; in Memorie, III, p. 114) - tenne importanti contatti con gli esponenti del movimento modernista e con lo storico protestante P. Sabatier, al quale lo legava il comune interesse di ricerca per s. Francesco d'Assisi. Significativi sono inoltre il suo interesse per "la questione biblica" nel settore degli studi religiosi, per i tentativi di rinnovamento in campo ecclesiastico e nei dibattiti sui problemi teologico-critici che caratterizzavano l'inizio del '900 e i suoi convincimenti circa il ruolo del cristianesimo nella vita civile (Zambarbieri, 1994, p. 501).
Dopo la morte di Rudinì (1908) il L. cercò, con C. Fani, di riorganizzare il "gruppo" parlamentare con esponenti dei settori di Centro e di Destra della Camera dei deputati, ma senza successo, né prima delle elezioni del marzo 1909, né durante il secondo ministero Sonnino (11 dic. 1909 - 31 marzo 1910), al quale partecipò come ministro di Agricoltura, industria e commercio con l'obiettivo, fra l'altro, di costituire il ministero del Lavoro e di dargli "la piattaforma sulla quale svolgere l'azione riformatrice compresa nel suo programma" (Memorie, III, p. 355), in particolare l'istituzione di una "banca del lavoro" (con r.d. 15 ag. 1913, n. 1140 nacque poi l'Istituto nazionale di credito per la cooperazione).
Dopo le dimissioni del breve governo Sonnino, il L. ebbe l'incarico di costituire il ministero. "Lo stragrande voto di fiducia del 28 aprile, il più largo nella storia parlamentare italiana, costituì, anziché la forza, la debolezza del gabinetto [(]. La confusione parlamentare, per la quale si erano visti votare sí amici ed avversari del ministero, era di per sé insidiosa, ma in particolare doveva indebolire la sua posizione sulla sinistra, ove si mirava alla differenziazione dei partiti quale obiettivo irrinunciabile" (Ullrich, II, p. 677).
Il L., che assunse anche la responsabilità del dicastero dell'Interno, cercò di caratterizzare il suo governo, basato su una coalizione fra "giolittiani" e radicali, con un programma economico e sociale e con un indirizzo di politica ecclesiastica sintetizzato nella formula "libera Chiesa nello Stato sovrano", che furono interpretati come un segno di cambiamento, ma che perseguivano soprattutto il tentativo di riunire le forze liberali affini, favorendo la differenziazione dei partiti.
Nella seduta del 21 dic. 1910, il L. presentò poi il disegno di legge "Estensione del suffragio elettorale e altre modificazioni della legge elettorale politica": prevedeva il riconoscimento del diritto di voto a tutti coloro che dimostrassero "di saper leggere e di saper trascrivere un brano di stampato, di saper leggere e scrivere i numeri" e l'introduzione del voto obbligatorio. Per quanto riguardava il sistema elettorale, il L. si limitò alla presentazione di "Prime linee d'un disegno di legge per introdurre nella legislazione italiana il principio della rappresentanza proporzionale".
I disegni di legge incontrarono diffuse riserve e ostilità. Aumentarono poi, nella maggioranza che sosteneva il ministero, le opposizioni per gli interventi del L. in favore dei "blocchi popolari" o "liberali popolari" nelle elezioni amministrative, per le posizioni tenute dal governo in occasione della durissima lotta fra le organizzazioni bracciantili socialiste e i mezzadri repubblicani in Romagna e, in generale, per la tutela dell'ordine pubblico in occasione degli scioperi ferroviari, agrari e industriali della primavera 1910.
L'intervento di Giolitti alla Camera, il 18 marzo 1911, a favore del suffragio quasi universale maschile, provocò un cambiamento di posizioni e di schieramenti e dunque la crisi del ministero Luzzatti, durante il quale era stato accelerato l'iter del disegno di legge "Provvedimenti per l'istruzione elementare e popolare" (divenuto poi l. 4 giugno 1911, n. 487) ed era stata definita la soluzione al problema degli aiuti all'industria marittima. La posizione assunta da Giolitti obbligò l'opposizione costituzionale a ripensare tattica e prospettive di alleanza, l'Estrema Sinistra a "ridefinirsi" anche in relazione a un programma di governo nel quale figuravano il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita - il L. non partecipò né al dibattito sul relativo disegno di legge, né alla votazione dell'11 maggio 1912 per deliberare il passaggio alla discussione degli articoli - e il suffragio quasi universale maschile.
La guerra di Libia - di cui il L. valutò inizialmente con preoccupazione gli aspetti militari, gli oneri finanziari e le possibili ripercussioni internazionali, ma che poi sostenne - contribuì a modificare ulteriormente gli schieramenti parlamentari prima del voto sulla riforma della legge elettorale politica. Analizzando il sistema parlamentare il L. indicò la sua preoccupazione nella prospettiva del suffragio quasi universale maschile (l. 30 giugno 1912, n. 665) e i problemi del futuro: "salvare i Parlamenti dal despotismo degli elettori muniti del suffragio più largo - annotò nel 1911 - gli elettori dal despotismo dei Parlamenti, sovratutto di salvare le libertà costituzionali dagli uni e dagli altri" (Le cure costituzionali, in Nuova Antologia, 16 dic. 1911, p. 648).
Nelle elezioni del 1913, il L. fu rieletto con l'appoggio dell'Unione cattolica elettorale italiana. Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel dibattito su intervento o neutralità fu più vicino a Giolitti che ad A. Salandra, ma con forti accenti patriottici. "Da questo diluvio universale che scuote le fondamenta dell'Europa, un grande pensiero consolatore emerge ed è che, se si perdette la visione dell'umanità, il culto della patria si avviva e si purifica (scrisse l'11 ag. 1914). Infatti non vi sono più partiti, cessano le divisioni; gli stessi socialisti e sindacalisti più ribelli, contraddicendo alla solennità delle loro deliberazioni, marciano alla frontiera. Una breve analisi dei principali paesi basta a dimostrarlo" (Grandi italiani, grandi sacrifici per la patria, Bologna 1924, p. 311). Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, sostenne la scelta con grande impegno, condividendo i fini della "nostra guerra".
Finita la guerra, non venne nominato componente della delegazione italiana alla Conferenza di pace. Il L. difese tuttavia sulla stampa e in Parlamento l'italianità della Dalmazia, le irrealistiche richieste del governo ("Patto di Londra più Fiume") e l'operato del presidente del Consiglio V.E. Orlando. Durante l'impresa fiumana tenne amichevoli rapporti con G. D'Annunzio, ma si rassegnò poi ad accettare il trattato di Rapallo (12 nov. 1920) e presentò alla Camera - dov'era stato rieletto nel 1919 nelle liste del partito liberale - l'ordine del giorno a favore della sua approvazione.
Il L. ebbe l'ultimo incarico governativo come ministro del Tesoro nel gabinetto Nitti (14 marzo - 21 maggio 1920). Ribadì in quei mesi le sue critiche alle principali clausole finanziarie del trattato di pace di Saint-Germain; ripropose alla conferenza di Genova (10 aprile - 19 maggio 1922) la costituzione di una Camera internazionale di compensazione per mitigare l'asprezza dei cambi e per favorire la collaborazione delle banche d'emissione europee, anche mediante periodiche conferenze internazionali.
Poco dopo aver compiuto 80 anni (e il 50o anniversario di attività parlamentare), il L. fu nominato senatore del Regno (10 apr. 1921), alla vigilia delle elezioni politiche. Critico sugli effetti del sistema proporzionale, che giudicava negativamente per le divisioni che provocava, sostenne, fin dal 1921, che "i tempi difficili impongono a coloro che amano il proprio paese l'obbligo patriottico di unirsi". In tale prospettiva, accettò l'ascesa al potere di B. Mussolini e non passò all'opposizione neppure dopo le elezioni del 1924 e il delitto Matteotti; fu critico nei confronti della scelta dell'Aventino fatta da quasi tutti i gruppi di opposizione alla Camera, ritenendo l'abbandono dell'aula contrario ai doveri della rappresentanza parlamentare; non firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti; sostenne con la sua attività pubblicistica la "battaglia del grano" (1925) e le scelte di politica economica e finanziaria del fascismo.
Il L. continuò a essere operoso anche gli ultimi anni di vita: nell'agosto 1922 inaugurò l'Università della cooperazione, da lui concepita e voluta; nel 1924 concorse a fondare l'Istituto nazionale di igiene, assistenza e previdenza; l'anno successivo continuò a occuparsi dei problemi della cooperazione anche come presidente onorario della Confederazione generale della cooperazione italiana.
Dopo una breve infermità, il L. morì a Roma il 29 marzo 1927.
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