MACCHI, Luigi
Nacque a Termini Imerese, nel Palermitano, il 14 sett. 1871, da Giuseppe, impiegato nelle Ferrovie, trasferitosi per lavoro dalla Lombardia, e da Luigia Caradonna. Frequentò l'istituto tecnico (sezione agrimensura), dimostrando nel contempo interessi artistici spiccati, in particolare per la musica e le arti figurative. Cominciò, quindi, a frequentare la facoltà di ingegneria dell'Università di Palermo.
Gli anni universitari furono anni di formazione culturale e politica nel vivace ambiente dell'ateneo palermitano: R. Schiattarella soprattutto - titolare di filosofia del diritto e positivista - lo indirizzò alla conoscenza del pensiero radicaldemocratico e socialista, attraverso lo studio di autori quali G. Mazzini, P.-J. Proudhon, A. Smith, D. Ricardo, R. Owen, F. Lassalle, K. Marx e F. Engels. Su tali basi il M. entrò attivamente in politica, nel momento in cui l'ala estrema della Sinistra italiana si andava riorganizzando nel complesso passaggio dal mazzinianesimo al socialismo.
Nel 1889 il padre fu trasferito a Catania, dove il M. lo seguì con il resto della famiglia e dove, appena diciannovenne, divenne il principale collaboratore di G. De Felice Giuffrida, esponente di punta della democrazia catanese e consigliere comunale in una città che in quegli anni era "socialista, moderna, scientifica, positiva" (Giarrizzo, p. 36). Nel 1890 fu tra i promotori del circolo democratico Aurelio Saffi; nella scia di De Felice, suo mentore e di cui condivise a lungo posizioni e idee, dal 1( maggio 1891 - data in cui De Felice fondava a Catania il Fascio dei lavoratori, nuova e originale struttura dell'associazionismo operaio e contadino - al 1893, fu dirigente di primo piano dei Fasci siciliani (segretario del Fascio di Catania dalla fondazione, riconfermato nel gennaio 1892, poi vicepresidente), ne sostenne le rivendicazioni e fu attivissimo nella fondazione di nuove sedi.
Il M. fu, inoltre, redattore (dal 1891, redattore capo, dal 1892 redattore responsabile, infine direttore) del giornale di De Felice L'Unione, organo del circolo repubblicano; nonché redattore del settimanale socialista La Voce del popolo.
Partecipò attivamente alla campagna elettorale per la XVIII legislatura, che nel novembre 1892 vide De Felice vincitore nel secondo collegio di Catania, e per le elezioni suppletive al Comune del 23 luglio 1893, dove il M. fu eletto consigliere. Nel maggio 1893 aveva partecipato a Palermo al congresso dei Fasci siciliani ma quando, in agosto-novembre, nella Sicilia occidentale esplose lo sciopero agrario sfociato in dicembre in una sanguinosa rivolta, il M. non ne fu sostenitore fino in fondo, considerandolo piuttosto una sollevazione popolare dovuta al cattivo raccolto e all'aumento dei prezzi che non una consapevole espressione di lotta politica per il socialismo.
Dichiarati fuori legge i Fasci ai primi di gennaio del 1894, il M. fu tra i dirigenti sorvegliati: il 7 gennaio la sua casa fu perquisita e la questura sequestrò gran parte della sua corrispondenza. Il M., assente, fu dichiarato latitante; in realtà, essendo di leva, si trovava coscritto all'Aquila nel 17( reggimento bersaglieri. Individuato, in aprile fu incarcerato a Messina e dovette rispondere del reato di eccitamento alla guerra civile, per i discorsi da lui pronunciati a Regalbuto il 6 nov. 1893. Il 18 maggio 1894 fu processato dalla seconda sezione del tribunale militare e, con sentenza del 12 giugno, dichiarato colpevole di istigazione a delinquere e condannato a sei mesi di detenzione e a 150 lire di multa: la pena fu commutata in sei mesi di carcere militare. Scontata la pena, per ordine del generale F. Bava Beccaris fu assegnato a una compagnia di disciplina all'isola d'Elba e per 13 mesi rimase nella fortezza di Portoferraio.
Nel 1900 il M., tornato a Catania, si laureò in giurisprudenza discutendo una tesi su "I pubblici ufficiali nella nostra legge penale" e, dal 1902, cominciò a esercitare la professione di avvocato penalista, attività che svolse validamente e con doti di abile oratore. Non aveva tuttavia abbandonato la politica e già dal luglio 1900 aveva ripreso a tenere comizi.
All'inizio del 1902, De Felice, rientrato anch'egli a Catania, ritenne possibile e opportuno approfittare del ritorno di G. Giolitti al potere per riprendere l'iniziativa politica, e si impegnò per costituire una lista unitaria in vista delle elezioni amministrative che si sarebbero tenute quell'anno. Nell'occasione il M. si schierò con i socialisti intransigenti, raccolti intorno al giornale Il Riscatto.
Redattore capo fin dalla fondazione di quel foglio, organo del circolo socialista che contrastava il "popolarismo" di De Felice, il M. ebbe a scrivere sul n. 1 del 9 genn. 1902: "Le parole lotta di classe, proprietà collettiva non possono non far arricciare il naso se non a colui che non è socialista".
Con la vittoria della lista dei "partiti popolari" alle elezioni dell'8 giugno 1902, e l'elezione di De Felice a sindaco, il M. divenne consigliere comunale; l'anno successivo fu eletto alle provinciali; il 19 luglio 1903 partecipò all'inaugurazione della locale Camera del lavoro e, sciolto il Gruppo socialista consiliare, si riavvicinò politicamente a De Felice. Il vero e proprio passaggio del M. ai popolari si verificò, comunque, nel 1904, dopo che si era consumata la rottura con i socialisti del Riscatto sulla questione tramviaria, in quanto la giunta aveva deciso di non inserire i trasporti nel programma di municipalizzazione.
Eletto sindaco S. Consoli (29 nov. 1906), dopo il volontario allontanamento di De Felice, il M. fu assessore ai Lavori pubblici.
In questa veste promosse il nuovo piano regolatore per l'ammodernamento urbanistico di Catania; nel dicembre 1908, in veste di prosindaco, si distinse a Messina nell'organizzazione dei soccorsi alle vittime del terremoto, ottenendo la medaglia d'oro di benemerenza. Negli anni difficili che videro la compagine defeliciana insidiata dalle forze conservatrici, fu proprio il M., considerato "la personalità più interessante del "secondo defelicianesimo"" (Giarrizzo, p. 182), a garantire al popolarismo, attraverso una buona rete di alleanze e la riorganizzazione dei servizi comunali, una linea politica sostenibile almeno fino al luglio 1910, data della vittoria alle provinciali dell'opposto "blocco cittadino" con successivo commissariamento del Comune, il quale fu tuttavia riconquistato alle successive amministrative di settembre dal "fascio democratico", di cui anche il M. faceva parte.
Nel 1912, dopo la scissione socialista, il M. seguì, al solito, la strada percorsa da De Felice e passò al Partito socialista riformista di L. Bissolati. Nel settembre di quell'anno, con De Felice ancora una volta sindaco di Catania, il M., nuovamente assessore ai Lavori pubblici, si fece estensore di un ambizioso progetto - qualificante l'intero programma della giunta - di grande impatto urbanistico, economico e ambientale che presupponeva una legge speciale per Catania sul modello di quella per Napoli.
Il progetto prevedeva una serie di interventi sulla viabilità che, attraverso sventramenti e ricostruzioni, avrebbe cambiato in modo sostanziale l'urbanistica cittadina comportando la riqualificazione e il risanamento edilizio e igienico di interi quartieri e, nel contempo, avrebbe indotto, a largo raggio, positive conseguenze economiche per l'intera città.
Nel 1913 il M. si candidò alle politiche per la XXIV legislatura nel collegio di Comiso, dove non fu eletto; entrò comunque alla Camera nel novembre 1914 nel collegio di Paternò, succedendo a G. Milana; nel frattempo, nel giugno 1914, era stato confermato nel Consiglio comunale ed eletto in quello provinciale. Interventista come De Felice, nelle elezioni per il rinnovo della Camera del novembre 1919, fu il primo dei non eletti della lista radicale e socialista Unione democratico-sociale. Dal gennaio 1920, ancora assessore comunale, appoggiò con articoli apparsi nel Corriere di Catania il disegno di legge per l'abolizione del latifondo presentato in marzo alla Camera da E. La Loggia e De Felice. Alla morte di quest'ultimo (20 luglio 1920) gli subentrò in Parlamento dove rimase, come riformista, sino al 1924 (XXVII legislatura) ricoprendo, dal luglio 1921 al febbraio 1922, durante il ministero Bonomi, il ruolo di sottosegretario alla Guerra.
Testimone dei violenti scontri che si verificarono anche a Catania con i fascisti nell'aprile 1924, il M. non prese in quel momento una posizione apertamente contraria al partito di B. Mussolini; tuttavia, dopo il delitto Matteotti, la partecipazione alla secessione aventiniana gli procurò la decadenza del mandato parlamentare e la sua casa divenne, negli anni a seguire, luogo di incontro abituale degli antifascisti catanesi.
Il L. morì a Catania il 17 marzo 1942.
Poco prima aveva scritto quello che fu definito il suo "testamento spirituale e politico" (pubblicato ne Il Corriere di Sicilia nell'agosto 1943), in cui condannava apertamente il regime fascista e giustificava la sua mancata attiva opposizione a esso.
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