MANZOTTI, Luigi
Nacque a Milano il 2 febbr. 1835 da Innocente e da Giovanna Gini. Studiò con G. Bocci, al tempo insegnante di mimica presso la scuola del teatro alla Scala, ed esordì sulle scene nel 1858 alla Canobbiana nel ballo di A. Borsi L'incoronazione di Corinna in Roma. Da allora e fino al 1874 fu attivo soprattutto a Firenze e a Roma come danzatore specializzato in ruoli mimici per i più affermati coreografi del tempo, quali A. Cortesi, L. Viena, A. Coppini e F. Pratesi. Roma, in particolare, costituì una tappa fondamentale per la carriera del Manzotti. Qui infatti si esibì regolarmente dal 1860 al 1873, fra l'altro protagonista al teatro Apollo in balli quali Carlo il guastatore di G. Rota (stagione di carnevale-quaresima 1862-63); Cristoforo Colombo (1863-64) e Brahma (1869-70) di I. Monplaisir; Actea (1864-65) di A. Pallerini. Al teatro Argentina danzò in Aidêa e Nelly (1868) di Pratesi.
Sempre a Roma, sostenuto dall'impresario V. Jacovacci, presentò suoi balli: dal primo La morte del pescatore (Argentina, 1862) a Rolla, Pietro Micca e Galileo Galilei. Da allora si dedicò alla coreografia fino ad affermarsi come il più significativo coreautore italiano della sua epoca.
I suoi "balli grandi", dall'intento didascalico e divulgativo delle nuove idee laiche, alla sontuosità delle scene e all'effetto dei ballabili di massa coniugarono l'efficacia delle parti mimiche e il virtuosismo di interpreti del calibro di Enrico Cecchetti e Virginia Zucchi.
Vate dell'immaginario della nuova classe propulsiva borghese e industriale, il M. fu il riconosciuto cantore del Regno italiano nato alla fine del processo risorgimentale sotto la guida della monarchia sabauda, fin dai tempi in cui fu protagonista del suo Pietro Micca (teatro Apollo, 1870-71).
Scrive G. Monaldi: "Il volto era lo specchio del sentimento, il suo gesto la sua parola. La plastica bellissima della persona sempre scultoriamente atteggiata, gli serviva stupendamente a conferire al personaggio da lui rappresentato l'idealizzazione scenica necessaria. Bastava osservarlo per intenderlo e capirlo come un attore drammatico: talvolta anche meglio. Nel Pietro Micca egli riusciva a commuovere ed elettrizzare il pubblico tanto fortemente quanto forse non ho veduto da nessuno tra i più grandi attori drammatici del nostro tempo".
Tale ballo - nell'adattamento per l'Esposizione nazionale del 1881 - fu intitolato Vittorio Amedeo II, quasi a sottolineare il legame ideale fra il M. e la dinastia sabauda. Patriota, monarchico, affascinato dai prodigi della scienza e della tecnica, il M. ricercò nelle scelte dei soggetti e nelle soluzioni registiche un'adesione non formale al gusto del pubblico.
Pietro Micca faceva seguito a un altro duraturo successo, Rolla (Apollo, 1868-69), i cui temi portanti erano la genialità e il tormento dell'artista e la fedeltà alla parola data. Ma è con il Galileo Galilei (ibid., 1872-73) che il M. affrontò per la prima volta il tema della scienza che, guidata dalla luce della ragione, sconfigge le tenebre dell'oscurantismo e le forze conservatrici: scelta che palesa l'adesione a un pensiero laico.
Il ballo - che richiama il Dedalo di S. Viganò (Scala, 1817) - è soprattutto un'anticipazione delle idee guida dell'Excelsior, enunciate nel quadro VII, ove appare il Pantheon dedicato allo scienziato: "La Libertà schiudendo la via al Progresso sulle ali del Tempo, ha portato la luce della Verità alle diverse Nazioni d'Europa, delle quali si vedono le Capitali coi loro rappresentanti, mentre le allegorie della principali Città d'Italia festeggiano il trionfo della Scienza, e il Genio di Galileo incorona la marmorea effigie di lui tra gli evviva della moltitudine" (Galileo Galilei. Ballo storico in sette quadri, Roma 1873, p. 15).
Nel 1878 il M. mise in scena Sieba o La spada di Wodan al teatro Regio di Torino, collaborando per la prima volta con il musicista R. Marenco. Dopo Sieba, che riecheggia la mitologia nordica di stampo wagneriano, il M. si avviò risolutamente verso un teatro allegorico e morale e con la trilogia Excelsior - Amor - Sport, dati alla Scala con musica di Marenco e costumi di A. Edel, si adoperò per costruire un "teatro della memoria" di carattere nazional-popolare.
Con Excelsior (1881), imponente celebrazione del progresso e della civiltà industriale, il M. si spinse ben oltre il teatro eroico-patetico del coreodramma e quello psicologico-sentimentale del romanticismo, componendo un "ballo grande" in cui diede corpo alle idee astratte della Luce, contrapposte al Regresso. Forse inconsapevolmente, il M. si trovò così a ripercorrere i passi di F. San Martino conte di Agliè - diplomatico e coreografo per la corte sabauda nel Seicento - riecheggiando nel suo teatro il "maraviglioso" del barocco. L'intenzione encomiastica portò infatti il coreografo del Progresso a recuperare l'antica forma del ballet de cour.
Nell'Excelsior ricompare il prologo, in cui viene enunciata la lotta fra Progresso e Regresso, Luce e Tenebre. Nel balletto i singoli quadri, tutti raccordati al disegno generale, esemplificano le tappe vittoriose della Luce sull'Oscurantismo, attraverso le entrées dei vari personaggi, allegorici o reali. Il grand ballet chiude in apoteosi la visione messianica e universalistica del coreautore. L'intero ballo è percorso dal ciclo della Luce che emanando dalla Sapienza entra nella Storia, guida i progressi della Scienza e della Tecnica e stabilisce le leggi della morale favorendo la fratellanza fra i popoli. Chiamata da una forza superiore, infatti, la Luce si libera dalle catene dell'Inquisizione di Spagna e inizia la sua missione che la vedrà vittoriosa sul piano della scienza con l'affermazione dell'invenzione di Denis Papin e con la scoperta della pila da parte del "genio italico" Alessandro Volta. Il Progresso favorirà quindi la concordia fra i popoli attraverso l'uso del telegrafo e l'apertura delle grandi vie di comunicazione del canale di Suez e del traforo del Cenisio. Il ballo esalta inoltre l'abolizione della schiavitù nel passo a due fra la Civiltà e lo Schiavo e nel grand ballet finale celebra in apoteosi "Scienza, Progresso, Fratellanza, Amore".
Le ragioni della popolarità delle produzioni del M. risiedono, più che nell'innovazione, forse proprio nel suddetto recupero in chiave attualizzata del ballet de cour, più consono a esprimere la sua visione poetica e le nuove istanze politiche e sociali.
Come sostiene J. Sasportes: il M. "non è un vero innovatore (nel senso delle tematiche), ma un autore che porta avanti nel modo migliore la combinazione di ingredienti già collaudati: con Sieba o La spada di Wotan, creata nel 1876, Manzotti tenta di avvicinare il mondo wagneriano di moda anche in Italia (Pasquale Borri aveva però già fatto danzare le Valchirie nella sua Dea del Walhalla). Nel 1881, con Excelsior, Manzotti propone una fastosa celebrazione del Progresso Scientifico (ma già Luigi Danesi aveva aperto quella strada con Alessandro Volta o Il Telegrafo Elettrico). Alla fine del 1885 [sic], Amor mette in scena l'intera Storia dell'Umanità, con un'apoteosi finale romana (ma già nella stagione precedente alla Scala, Luigi Danesi aveva affrontato il "colossal" romano, nella sua Messalina). Nel 1887, dieci anni prima che Manzotti presentasse il suo Sport, la compagnia di Katti Lanner aveva danzato all'Empire di Londra The Sports of England".
Ad Amor (1886) ben si attaglia la definizione coniata da C. Ritorni per il Prometeo di Viganò (Scala, 1813) "ove si fa vedere nella patria comune, la terra, l'origine della società" (Commentarii della vita e delle opere coreodrammatiche di S. Viganò, Milano 1838, p. 89). Amore in persona è apparso al "vate" M. per permettere a tutti di contemplare le manifestazioni della sua divina presenza nel corso della storia che si intrecciano con i destini di Roma. La glorificazione della nuova capitale procede di pari passo con quella dei Savoia: Roma dei cesari, Roma dei papi, Roma del popolo, Roma predestinata alla patria. Il milanese M. sembra auspicare una soluzione alle non sopite polemiche sulla capitale del Regno: se il titolo è palindromo di Roma, è a Milano "seconda Roma" che egli dedica il suo affresco coreografico.
L'onorificenza dell'Ordine della Corona d'Italia di cui fu insignito il M. su proposta del ministro della Pubblica Istruzione G. Baccelli giunse a riprova del fatto che anche il ballo teatrale, attraverso il suo più celebre esponente, aveva contribuito al processo di unificazione favorendo la penetrazione in tutti gli strati sociali dei valori della nuova classe egemone.
Il M. morì a Milano il 15 marzo 1905.
Notevole fu la fortuna che arrise ai suoi balli, quali il già ricordato Sport (1897), colorato di galante cosmopolitismo. Tuttavia l'opera del M., così strettamente legata all'epoca umbertina e al genere del "ballo grande", pur continuando a essere riproposta sulle scene, già mostrava i primi segni di declino: l'altisonante retorica e l'incrollabile fede positivista apparirono nel tempo sempre più ingenue e incapaci di cogliere una realtà italiana ben più complessa e ricca di contraddizioni.
Gli sopravvisse l'Excelsior, accompagnato da un immenso successo. Rappresentato in tutto il mondo è ancor oggi in repertorio, apprezzato o al centro di polemiche come al momento della sua ripresa nel 1967 al Maggio musicale fiorentino nella nuova versione di U. Dell'Ara. Nel 1913 ne fu realizzata anche una versione filmica da L. Comerio, oggi conservata presso la Cineteca nazionale. Grazie all'azione congiunta della rivista Chorégraphie e della Scuola nazionale di cinema - Cineteca nazionale, è stato di recente ricostituito il montaggio originario cui è stata sincronizzata una colonna sonora seguendo lo spartito di Marenco. Il nuovo frammento così restaurato è stato edito unitamente al volume Excelsior. Documenti e Saggi, per cura di F. Pappacena (Roma 1998).
Fonti e Bibl.: A. Gramola, L'autore dell'"Excelsior", in Strenna della Illustrazione italiana per l'anno 1882, Milano 1882, pp. 30-35; Amor, numero unico del Corriere della sera, febbraio 1886; U. Pesci, "Amor", poema coreografico di L. M., in L'Illustrazione italiana, 1886, t. I, p. 140; A. Gramola, L. M., in Gazzetta musicale di Milano, XLI (1886), 2, pp. 9 s.; G. Monaldi, Le regine della danza nel secolo XIX, Torino 1910, p. 218; E. Mazzuoli, A ritmo di mazurca vittoria del progresso, in Il ballo Excelsior (programma di sala del XXX Maggio musicale fiorentino… 1967), Firenze 1967, pp. 403-408; R. Leydi, M. e il ballo Excelsior e Perché l'"Excelsior", ibid., pp. 413-416, e pp. 395-401; F. D'Amico, Il ballo dello scandalo, in L'Espresso, 8 ott. 1967, p. 23; L. Rossi, Il ballo alla Scala 1778-1970, Milano 1972, pp. 112-122; T. Celli, Verso l'abisso al galop!, in Il Messaggero, 9 genn. 1981, p. 3; C. Lo Iacono, M. & Marenco. Il diritto di due autori, in Nuova Riv. musicale italiana, 1987, n. 3, pp. 421-446; J. Sasportes, Virtuosismo e spettacolarità: le risposte italiane alla decadenza del balletto romantico, in Tornando a "Stiffelio". Atti del Convegno…, Venezia… 1985, a cura di G. Morelli, Firenze 1987, p. 310; C. Celi - A. Toschi, Alla ricerca dell'anello mancante: "Flik e Flok" e l'Unità d'Italia, in Chorégraphie, I (1993), 2, pp. 59-72; C. Celi, L'epoca del coreodramma (1800-1830), in Musica in scena. Storia dello spettacolo musicale, dir. da A. Basso, Torino 1995, V, pp. 89-116; Id., Percorsi romantici nell'Ottocento italiano, ibid., pp. 117-138; G. Poesio, Galop, gender and politics in the Italian "ballo grande", in Reflecting our past; reflecting on our future. Proceedings of the twentieth annual Conference…, New York… 1997, a cura di L.J. Tomko, Riverside, CA, 1997, pp. 151-156; C. Celi, M. e il teatro della Memoria del XIX secolo, in Excelsior. Documenti e saggi, cit., pp. 15-40 (con tavole cronologiche "M. danzatore a Roma" e "Panoramica del circuito italiano dei balli di M. dal 1863 al 1905"); Id., Un coreografo per il re, in Excelsior (programma di sala del teatro alla Scala), Milano 1999, pp. 93-98; International Encyclopedia of dance, New York-Oxford 1998, IV, pp. 258 s.; Dictionnaire Larousse de la danse, Paris 1999, p. 277; Enc. dello spettacolo, VII, coll. 79-81.