MASTRICOLA, Luigi
MASTRICOLA (Mastricola Moraschi), Luigi. – Secondogenito in linea maschile di Antonio Moraschi e Teresa Mastricola, nacque a Subiaco il 12 febbr. 1822.
Qui compì i suoi studi e rimase fino al 1838. Il 5 agosto lo zio Carlo Mastricola, ricco «mercante di campagna», morì a Civitacastellana lasciando lui e il fratello maggiore Rinaldo eredi universali; al M. donò inoltre a titolo personale un palazzo situato a Cave, del valore di oltre 3000 scudi, a condizione che assumesse il cognome di Mastricola e lo tramandasse ai propri discendenti. Da allora questo fu il cognome da lui comunemente usato, talvolta abbinato a Moraschi per lo più nei documenti di polizia e di carattere burocratico.
Avendo già perduto il padre, nel gennaio 1839 il M. si trasferì a Roma, dove partecipò attivamente alla vita economica e sociale della città e nell’ottobre del 1844 sposò Vincenza Pfyffer, figlia di Martino, capitano comandante della guardia svizzera in servizio al Quirinale. Dopo l’elezione di Pio IX, attraverso l’amicizia con L. Mariani e G. Checchetelli, il M. prese a frequentare gli ambienti politici dell’Urbe, interessato al nuovo indirizzo riformatore. Mantenne tuttavia strette relazioni anche con il gruppo liberale di Subiaco, che cercò di organizzare con la fondazione di un Circolo popolare di ispirazione nazionale, cui si riunì nell’agosto 1848 quando ebbe, con il grado di maggiore, il comando del battaglione civico di quel distretto.
In costante corrispondenza con gli amici, visse con loro la crisi del moderatismo romano e insieme con il fratello, maggiore in seconda del battaglione civico, si schierò dalla parte di coloro che promossero l’Assemblea costituente e aderì poi alla Repubblica Romana: nel gennaio 1849 figurava tra i membri della seconda commissione preposta alle operazioni per le elezioni; il 26 marzo fu eletto gonfaloniere del Municipio di Subiaco, ma si dimise tre giorni dopo per evitare conflitti con la sua carica militare; coordinò, come comandante di piazza, i movimenti delle sue truppe di linea con quelle di G. Garibaldi, allorché questi fu inviato a presidiare il confine con il Regno delle Due Sicilie, e lo ricevette in Subiaco; il 10 aprile represse con decisione il moto reazionario dei contadini che si riversarono per le strade del paese al grido di «Viva Pio IX»; con il fratello, infine, partecipò alla difesa di Roma assediata dalle truppe francesi.
Caduta la Repubblica, il 16 apr. 1850 subì una perquisizione domiciliare e fu arrestato insieme con il fratello, che però venne rilasciato perché non trovato in possesso di materiale compromettente. Il M. invece fu imprigionato in Castel Sant’Angelo «per ritenzione di scritti sospetti» (tra l’altro, 109 lettere del 1848, di cui 23 di Checchetelli e 8 di Mariani) e deferito al tribunale della S. Consulta, che il 4 giugno ne dispose la scarcerazione mettendolo «a disposizione della Polizia per le ulteriori provvidenze». Fu infatti sottoposto all’ingiunzione di non partecipare in alcun modo a riunioni sospette e, il 5 febbr. 1852, a rigoroso precetto che, essendo anche di intralcio alle sue attività di mercante di campagna, fu attenuato il 21 giugno 1853.
Intanto il Comitato nazionale romano, che, nato dall’Associazione nazionale fondata da G. Mazzini alla fine della Repubblica, si stava orientando verso il moderatismo con l’estromissione dei repubblicani intransigenti, nel settembre 1854 vide decimato il proprio vertice a seguito delle dure condanne emesse nel processo per il fallito tentativo insurrezionale che era stato organizzato nell’estate precedente dai mazziniani dissidenti. Accanto ai superstiti Checchetelli e L. Silvestrelli, e insieme con A. Righetti, D. Silvagni, A. Santangeli, P. Camporese e altri, anche il M. entrò nel nuovo gruppo dirigente. Egli fu particolarmente attivo a partire dal 1858, quando il Comitato fece aperta adesione all’unitarismo monarchico-costituzionale del Piemonte e soprattutto fra il 1859 e il 1860, quando a Roma si intensificarono le dimostrazioni e le agitazioni.
Assunta insieme con Silvestrelli e Santangeli una sorta di direzione ristretta del Comitato, nel 1859 il M. fu tra i promotori della sottoscrizione per il dono di due spade a Vittorio Emanuele II e a Napoleone III. Ma la sua intraprendenza gli procurò l’8 ott. 1859 la diffida a organizzare, pena l’arresto, una dimostrazione in favore del ministro del Regno di Sardegna a Roma, D. Pes di San Vittorio Della Minerva; più avanti, in seguito alla manifestazione del 19 marzo 1860, dovette subire l’espulsione immediata dallo Stato pontificio, insieme con Silvestrelli, Santangeli, F. Ferri e V. Tittoni.
Con i primi due e con il principe E. Ruspoli si recò a Torino per presentare al re Vittorio Emanuele II la spada offertagli dai Romani. Nell’autunno 1860, dopo l’occupazione dell’Umbria da parte delle truppe sarde, fu inviato come vicecommissario a Orvieto per gestirvi le operazioni che condussero al plebiscito per l’annessione. Successivamente fu nominato cavaliere e sottoprefetto a Rieti, dove – in relazione con F.A. Gualterio e con alcuni esponenti del movimento liberale romano, come Checchetelli, Silvestrelli e A. Lorenzini – esercitò una delicata funzione di collegamento tra governo italiano, Comitato nazionale romano ed emigrazione. Data la vicinanza con il confine pontificio, curò in modo particolare il flusso clandestino di frontiera, l’assistenza agli esuli e la vigilanza sui movimenti del Partito d’azione. A eludere i controlli contribuivano anche i viaggi a Rieti della moglie, che il 15 dic. 1862 fu arrestata, perquisita (non senza suscitare clamore nei giornali) e, pur trovata in possesso di lettere compromettenti, fu rilasciata; tuttavia, quando il 3 sett. 1864 chiese il passaporto per sé e per i tre figli, fu anche lei espulsa dallo Stato pontificio.
Dopo la convenzione di settembre del 1864 il ministro dell’Interno G. Lanza, fautore di una politica di attesa e convinto del perdurante attivismo cospirativo del M., lo fece trasferire a Sora, dove il sottoprefetto, impegnato nella lotta al brigantaggio, si sentì ingiustamente emarginato e finì per guardare con favore all’insurrezione garibaldina del 1867.
Dopo la delusione di Mentana, seguirono altri trasferimenti: nel 1868 a La Spezia, nel 1872 a Pistoia, nel 1876 a Civitavecchia e infine, nel 1877, come consigliere delegato, a Pesaro, dove rimase fino al 1880.
Ritiratosi in pensione con il titolo di prefetto, il M. morì a Subiaco il 9 febbr. 1885.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Direzione generale di polizia, Arch. segreto, bb. 303, 308, 331, 401, 578; Tribunale supremo della S. Consulta, b. 222, f. 186 (con lettere di Checchetelli e di Mariani inviate nel 1848); Trenta notai capitolini, Uff. 6, 11 ag. 1838 (copia del testamento di C. Mastricola); Presidenza di Roma e Comarca, bb. 887, 1696; Arch. di Gabinetto della Prefettura di Roma (1871-1920), b. 135, f. 3597; Roma, Arch. del Museo centrale del Risorgimento, Carte Mastricola, bb. 4, 60, 166, 187, 190, 225-226, 244, 1097 (particolarmente copiose per la corrispondenza con Checchetelli); Ibid., Arch. stor. del Vicariato, Posizioni matrimoniali, a. 1844, n. 13347; Subiaco, Arch. parrocchiale, Registro dei battesimi (1792-1851), n. 5, p. 252; Ibid., Arch. stor. comunale, Deliberazioni Consiglio comunale (1842-51), vol. 35, ff. 336-340, 388, 416. Si vedano inoltre: Calendario generale del Regno d’Italia compilato per cura del ministero dell’Interno, I-XVIII, Firenze-Roma 1862-80, ad nomen (presso le sedi di servizio del M.); Carteggi di Bettino Ricasoli, a cura di G. Camerani - C. Rotondi, XVIII, Roma 1988, pp. 155, 345, 348, 382; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, II, 1848-1851, a cura di A.F. Tempestoso - M.L. Trebiliani, Roma 1997, pp. 271, 489; G. Leti, Roma e lo Stato pontificio dal 1849 al 1870, Roma 1909, II, ad ind.; I. Bellini, Il Comitato nazionale romano ed il governo italiano nel 1864, in Rass. stor. del Risorgimento, XIV (1927), pp. 129 s.; Ceccarius [G. Ceccarelli], Cento anni fa: il 1859 in Roma, in Strenna dei romanisti, XX (1959), p. 274; F. Bartoccini, La «Roma dei Romani», Roma 1971, ad ind.; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana nei secoli XVIII e XIX, a cura di G. Felici, Roma 1971, IV, p. 252; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa. Dal ritorno di Pio IX al 20 settembre (1850-1870), Roma 1975, pp. 247, 343 s., 346, 406, 495, 505; A.M. Isastia, Roma nel 1859, Roma 1978, ad ind.; F. Spatafora, Il Comitato d’azione di Roma dal 1862 al 1867, a cura di A.M. Isastia, I-II, Pisa 1982-84, ad ind.; F. Rizzi, La coccarda e le campane. Comunità rurali e Repubblica Romana nel Lazio (1848-1849), Milano 1988, p. 201; M. Bocci, Il Municipio di Roma tra riforma e rivoluzione (1847-1851), Roma 1995, p. 149; A. Brunialti, Annuario biografico universale. Raccolta delle biografie dei più illustri contemporanei, II, p. 549.