MERCATELLI, Luigi
– Nacque il 21 ott. 1853 ad Alfonsine (presso Ravenna), da Lorenzo, notaio, e da Augusta Osti.
Negli anni giovanili si avvicinò al movimento anarchico, prendendo parte, nel 1874, alle agitazioni esplose nel Ravennate; per questo fu associato al processo contro Andrea Costa e successivamente amnistiato.
Dal padre il M. fu avviato agli studi giuridici che completò a Ferrara, ma alla carriera forense preferì quella giornalistica. Apprezzato collaboratore del Corriere di Napoli, dapprima, nel 1888, come corrispondente da Roma, poi, dal 1889 al 1891, come inviato speciale in Africa, passò nel 1892 al Mattino di E. Scarfoglio seguendo soprattutto la cronaca parlamentare. La sua notorietà come giornalista rimase tuttavia principalmente legata all’attività svolta alla Tribuna, dove il M. lavorò a partire dal 1883, inizialmente come redattore, poi come corrispondente dall’Eritrea, infine, nel 1899, come condirettore insieme con F. Fabbri. Nel marzo del 1896 fu uno dei primi giornalisti a incontrare, a Massaua, il generale O. Baratieri che rientrava da Asmara dopo la sconfitta di Adua, della quale battaglia fornì un’appassionata descrizione nell’articolo La Waterloo africana (La Tribuna, 13 marzo 1896).
Traduttore per l’editore Treves del Germinale di Émile Zola (Milano 1893), il M. fu molto vicino a G. Pascoli che in una lettera scritta da Barga il 10 ott. 1897 lo definì «il più caro dei miei amici».
Pascoli riconobbe al M. una funzione ispiratrice nella composizione di Odi e inni, e ne apprezzò la prosa, che giudicava magistrale al punto da inserire alcuni suoi articoli (Le batterie siciliane a Adua, Il maggiore Toselli, La tomba del capitano Carchidio, Ras Alula) nella celebre antologia da lui curata per le scuole secondarie inferiori (Fior da fiore. Prose e poesie scelte, Milano-Palermo 1902, pp. 344-363). I due condivisero, inoltre, una sorta di «socialismo patriottico», un socialismo «dell’umanità», che non avrebbe contrastato secondo Pascoli con il desiderio e l’aspirazione all’espansione coloniale (cfr. Lettere inedite di Giovanni Pascoli a L. M., a cura di G. Zuppone-Strani, in Nuova Antologia, 16 ott. 1927, pp. 427-441, in partic. pp. 427-429).
Per l’esperienza maturata come giornalista in Africa orientale, nel 1898 il M. venne chiamato in Eritrea nel ruolo di capo di gabinetto dal neogovernatore della colonia F. Martini, al quale, l’anno precedente, era stato affidato il compito di consolidare l’amministrazione civile dell’Eritrea. Nel marzo del 1900 tuttavia, in seguito a dissidi di carattere personale con il governatore, il M. rientrò in Italia e riprese l’attività giornalistica alla Tribuna, nel momento in cui il quotidiano, con l’avvento alla direzione di L. Roux, stava assumendo una linea sempre più vicina a G. Giolitti.
È probabile che in questo periodo si andassero consolidando i rapporti del M. con Giolitti, che, divenuto ministro dell’Interno nel febbraio 1901, lo chiamò a dirigere l’ufficio stampa del ministero, nell’ambito della segreteria particolare del ministro. Il M. ricoprì tale incarico per due anni che avrebbe poi rimpianto ricordando, in una lettera scritta da Zanzibar allo stesso Giolitti, i «bei tempi», durante i quali aveva avuto l’opportunità di conoscere «da vicino» lo statista piemontese (Roma, Archivio centr. dello Stato, Carte Giolitti, 1° e 2° versamento, b. 26, f. 71/4: lettera del 26 nov. 1903). A Roma il M. rimase fino al maggio 1903, quando, su indicazione di Giolitti e del ministro degli Esteri T. Tittoni, fu inviato come console a Zanzibar, con l’incarico di commissario generale per la sorveglianza della Società commerciale del Benadir, per dare un ordinamento più razionale ed efficace alla gestione della colonia.
L’inserimento del M. nel corpo consolare fu piuttosto atipico, non avendo egli percorso le tradizionali tappe della carriera diplomatica. La sua nomina, avvenuta con r.d. 23 apr. 1903, ebbe un carattere preminentemente politico, inserendosi in quel processo di progressiva formazione di un corpo consolare con caratteri di diplomazia nazionale, tipico dell’età giolittiana.
Il M. ebbe un ruolo importante nella politica coloniale italiana in Somalia, in quanto si trovò a gestire il passaggio della colonia all’amministrazione diretta dello Stato. Nel marzo 1905 venne nominato commissario generale della Somalia italiana, con l’incarico di ricevere in consegna la colonia. Al M. si deve la stesura del Progetto di ordinamento della Somalia italiana meridionale (Roma 1905), che costituisce il primo tentativo di riorganizzare la presenza italiana nella regione.
Lo sforzo del M. fu quello di consolidare la colonia in modo graduale, cercando di non accentuare i conflitti con i settori tradizionali della società somala e affermando il primato del potere civile sull’elemento militare. Egli tentò di dar vita a un modello che conservasse forme di indirect rule, introducendo una legislazione ispirata al diritto italiano e lasciando l’amministrazione dell’ordinamento consuetudinario ai tribunali indigeni. Nei riguardi della schiavitù – la cui mancata soppressione era stata all’origine di un’inchiesta che aveva indotto il governo a togliere la delega per l’amministrazione della colonia alla Società anonima commerciale italiana del Benadir – intese adottare un atteggiamento gradualistico, sopprimendola all’interno delle zone urbane, ma tollerandola nelle aree a economia agricola, in cui il lavoro servile era prevalente. Sul piano della politica religiosa il M. portò avanti una linea filoislamica, impedendo l’insediamento nella colonia di missioni cattoliche italiane, il cui piano era stato stabilito dalla S. Sede sin dal 1903.
Gli intenti riformatori suscitarono reazioni apertamente ostili nei riguardi del M., la cui azione in Somalia – tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 1905 – fu al centro di un’interrogazione parlamentare e poi di un’inchiesta disciplinare del ministero degli Esteri. Le accuse si concentrarono sull’anomalo cursus honorum del console, giunto a ricoprire tale carica senza seguire la consueta carriera del corpo diplomatico, su irregolarità commesse nell’attribuzione del valore dei nichelini in colonia, sulla proscrizione dalla Somalia del prefetto cattolico inviato dalla S. Sede con il consenso del governo. L’affaire, che trovò ampio spazio anche sugli organi di stampa, fu costruito da ambienti conservatori, a vario titolo toccati dalla linea adottata dal M. in colonia: la vecchia Società del Benadir, una serie di ufficiali della Marina, alcuni settori del mondo cattolico. Il 29 maggio 1906 il Consiglio del ministero degli Affari esteri assolse il M. da tutte le accuse presentate a suo carico, ma nel mese di aprile egli era stato comunque richiamato a Roma.
Il M. proseguì la sua carriera in campo consolare senza distinguersi, per un certo periodo, per particolari iniziative. Dal 1906 al 1908 fu a Calcutta con patente di console generale e nel medesimo incarico fu a Melbourne dal 1908 al 1911. Il 5 giugno 1911 venne trasferito nella carriera consolare, con il grado di console generale di prima classe e destinato a Tripoli. Pur trattandosi di una collocazione particolarmente delicata che coincideva con la preparazione diplomatica della conquista della Libia, il M. non esercitò le sue funzioni poiché, nel novembre dello stesso 1911, venne chiamato nuovamente da Giolitti presso la presidenza del Consiglio, con funzioni di capo del servizio stampa. Per conto di Giolitti, dopo i primi successi militari italiani, il M. partecipò nell’ottobre 1911 a trattative extraistituzionali per la pace con l’Impero turco.
Nel 1913, con l’uscita di scena di Giolitti, il M. venne trasferito nella carriera diplomatica e posto a disposizione per qualche mese del neocostituito ministero delle Colonie. Dopo un anno trascorso al Cairo come agente diplomatico e console generale, nel 1914 il M. fu nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario della legazione italiana a Rio de Janeiro (di questo incarico è frutto la relazione Il commercio dell’Italia col Brasile, Roma 1914).
Il 1° ag. 1920, poche settimane dopo la formazione del quinto governo Giolitti, il M. venne nominato governatore della Tripolitania. Giunto in colonia il 26 agosto, si trovò a gestire una situazione complessa e confusa, in cui azioni di resistenza antitaliana si sovrapponevano alle irrisolte contese arabo-berbere. In Tripolitania il M. portò avanti una prudente linea di pacificazione, tentando di favorire la composizione dei conflitti tra Arabi e Berberi e aprendo colloqui con i capi arabi più influenti. Tra il novembre 1920 e l’aprile 1921 favorì le trattative tra la commissione libica del Garian e il governo di Roma per ottenere la liberazione dei circa 200 prigionieri italiani di Misurata in cambio di una revisione dello statuto concesso dall’Italia nel 1919. Una volta ottenuto, nell’aprile 1921, il rilascio dei prigionieri – anche grazie all’intermediazione del Partito socialista italiano (PSI) – il governo non assecondò le richieste avanzate dai Libici optando per una linea dura in Tripolitania che, dopo la crisi di governo del mese di luglio, si concretizzò nella sostituzione del M. con G. Volpi.
Nel 1921 il M. fu nominato ambasciatore a Rio de Janeiro, dove morì il 4 apr. 1922.
Fonti e Bibl.: Il curriculum vitae del M. in Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell’Africa italiana, Governo generale, ex governo della Somalia, b. 75/7, f. 83; necr., in L’Illustrazione italiana, 16 apr. 1922, p. 450; e in Almanacco italiano, XXVIII (1923), p. 527. Si vedano, inoltre: L’Illustrazione italiana, 7 giugno 1903, p. 463; F. Martini, Il Diario eritreo, Firenze 1942, ad ind.; G. Pascoli, Lettere agli amici lucchesi, a cura di F. Del Beccaro, Firenze 1960, pp. 74, 86-89; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 262; C. Zoli, Nel Fezzan: note e impressioni di viaggio, Milano 1926, p. 49; A. Sapelli, Memorie d’Africa (1883-1906), Bologna 1935, pp. 239-245; M.L. La Malfa, Orientamenti politici della «Tribuna», I, in Nord e Sud, 1962, n. 9, pp. 98-122; R.L. Hess, Italian colonialism in Somalia, Chicago-London 1966, ad ind.; R. Pasi, Il socialismo patriottico di Giovanni Pascoli nel carteggio con l’alfonsinese L. M., in Studi romagnoli, XIX (1968), pp. 209-232; F. Malgeri, La guerra libica (1911-1912), Roma 1970, pp. 103, 117, 305; L. De Courten, L’amministrazione coloniale italiana del Benadir. Dalle compagnie commerciali alla gestione statale (1889-1914), I, in Storia contemporanea, IX (1978), 2, pp. 115-154; F. Grassi, Le origini dell’imperialismo italiano: il «caso somalo» (1896-1915), Lecce 1980, ad ind.; A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, I, Tripoli bel suol d’amore, 1860-1922, Roma-Bari 1986, pp. 382-390; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del ministero degli Affari esteri, Roma 1987, pp. 492-494; A. Aquarone, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, a cura di L. De Courten, Roma 1989, ad ind.; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, I, Dall’Unità alla marcia su Roma, Milano 1992, ad ind.; L. Goglia - F. Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all’Impero, Roma-Bari 1993, pp. 59 s., 101-107; R. Pasi, Storia di Alfonsine, Cesena 2002, pp. 190, 198, 500; L. Ceci, Il vessillo e la croce. Colonialismo, missioni cattoliche e islam in Somalia (1903-1924), Roma 2006, ad indicem.
L. Ceci