MERGANTINI, Luigi
Patriota e letterato, nato a Ripatransone il 20 settembre 1821, morto a Palermo il 17 novembre 1872. Abbandonati gli studî del seminario, si dedicò all'insegnamento in Arcevia e Senigallia, finché, eletto Pio IX al pontificato (1846), si accese d'entusiasmo per le riforme iniziate e per le idee di libertà e d'indipendenza, che esaltò nei suoi canti. Sottrattosi con l'esilio a temute persecuzioni austriache, nel 1849, visse a Corfù prima, poi a Zante ove pubblicò la raccolta dei suoi versi (1850) e attese all'insegnamento, finché nel 1852 tornò in Italia dapprima a Torino, indi a Genova, ove prese moglie, diresse il collegio femminile delle Peschiere e fondò la rivista La donna. Amico di Garibaldi, scrisse per invito di lui e suggerimento di A. Bertani quella Canzone italiana (1859), che musicata da A. Olivieri divenne notissima come Inno di Garibaldi. Segretario di Lorenzo Valerio dopo l'annessione delle Marche (1860), ottenne poco dopo la cattedra di storia e d'estetica nell'Accademia di belle arti di Bologna. Eletto deputato per l'VIII legislatura, la sua elezione fu annullata il 15 marzo 1861 per incompatibilità con il suo impiego. Nominato nel 1865 professore di letteratura italiana all'università di Palermo, ricoprì varî uffici scolastici, tradusse l'Ecerinide di A. Mussato (1868), pronunciò discorsi commemorativi e continuò a scrivere prose e versi fino alla morte.
I canti del M., che fu tra i più significativi rappresentanti della lirica patriottica (Versi, rist. Bologna 1864; poi ripubbl. da G. Mestica, Canti, Milano 1885) accompagnarono le vicende liete e tristi del Risorgimento, dal popolarissimo Patriotti all'Alpi andiamo (1848), uno dei più efficaci inni della prima guerra per l'indipendenza, a quella Fidanzata d'un marinaio della "Palestro" (1866), che suscitò ai suoi giorni tanta commozione popolare. Se oggi è difficile salvarlo da un giudizio di aurea mediocrità che lo accomuna a F. Dall'Ongaro, a F. Montanelli e a molti tra i minori "bardi" del Risorgimento, i contemporanei amarono il M. per la delicatezza del sentimento, per quel fare popolaresco delle sue poesie (anche se il fare popolaresco sapeva pur sempre di letteratura), per la sincerità della passione patriottica. Gran voga ebbero allora il Sospiro a Venezia, il poemetto in otto canti Tito Speri (1853), la Spigolatrice di Sapri (1857), Il buon capodanno del Pellegrino italiano (1858), vaticinio e promessa di giorni migliori, La madre veneta e Il soldato in congedo (1859), nei quali era espressa l'ardente protesta popolare contro Villafranca, e quell'inno a Vittorio Emanuele II (Finché l'iniqua soma - grava Venezia e Roma - non sei d'Italia il re), che gli procurò l'applauso del Cavour (1860).
Bibl.: G. Mestica, nel discorso premesso all'ed. dei Canti cit.; S. Topi, L. M., Macerata 1905; O. Perini, L. M. nelle lettere alla famiglia e agli amici (dal 1834 al 1860), Fabriano 1907; id., Rievocazione nazionale di L. M., Ascoli Piceno 191; A. Speranza, Cimeli e opere ignote di L. M., in Rass. stor. del Risorg. ital., XI (1924), pp. 1004-1007.