MORENO, Luigi
MORENO, Luigi. – Nacque a Mallare, presso Altare, in provincia di Savona, il 24 giugno 1800, da Giambattista (che svolgeva la professione di notaio) e da Veronica Moriconi, in una famiglia agiata e numerosa (ebbe cinque sorelle e quattro fratelli).
Crebbe in un ambiente profondamente cattolico, anche per l’influenza dello zio paterno Isidoro, arciprete a Murazzano, località nella quale tutti i ragazzi Moreno erano soliti trascorrere i mesi estivi. Come tre dei suoi fratelli (Ottavio, Paolo e Ugo), scelse la vita religiosa. Trasferitosi a Torino per compiere gli studi, entrò in contatto con Carlo Tommaso Arnosio, allora vicario della chiesa metropolitana. Quando questi fu nominato arcivescovo di Sassari, lo seguì come segretario e, nella città sarda, nel maggio 1823, fu ordinato sacerdote. Negli anni successivi concluse gli studi in utroque iure e si laureò a Genova nel 1828. Nel 1829, alla morte di Arnosio, rientrò in Piemonte. Destinato al capitolo della cattedrale di Alba (dove già prestavano servizio, come canonici, i fratelli Paolo e Ugo), dal 1835 ricoprì gli incarichi di penitenziere, prefetto degli studi e provicario generale. Nel 1838 venne proposto da re Carlo Alberto alla cattedra vescovile di Ivrea.
Alla promozione di Moreno – al quale era stata proposta in alternativa a quella eporediese anche la sede di Sassari – non fu estranea l’influenza esercitata nella corte sabauda dal fratello maggiore Ottavio (1777-1852). Quest’ultimo, già segretario particolare in età napoleonica dell’arcivescovo di Torino, Giacinto della Torre, e cappellano del governatore di Torino il principe Camillo Borghese, aveva vissuto con la Restaurazione una fase di sostanziale emarginazione, dalla quale era uscito solo durante gli anni Venti. A quell’epoca risale infatti la nomina ad applicato dei regi archivi, alla quale seguirono quelle di canonico della cattedrale di Torino e, nel 1835, di economo generale regio-apostolico dei vescovadi e abbazie vacanti, «carica che, per il carattere che rivestiva, appariva più legata agli interessi dello Stato che a quelli della Chiesa» (Merlotti, 1995, p. 370). La lealtà di Ottavio al governo e la tendenza a propendere per le sue ragioni, se da un lato avrebbero provocato forti tensioni con la Chiesa torinese (e pure con Luigi), dall’altro gli avrebbero consentito di acquisire credito e prestigio nella corte, al punto da favorire la sua promozione a cavaliere dell’Ordine mauriziano, e, nel 1848, la nomina a senatore del Regno.
Recatosi a Roma, dove il concistoro confermò la sua nomina il 13 settembre 1838, il 23 settembre Moreno ricevette la consacrazione episcopale; poco meno di due mesi dopo, il 18 novembre 1838, fece solenne ingresso a Ivrea, della cui Chiesa sarebbe stato pastore per quarant’anni. Vescovo energico e zelante, nella primavera del 1839 avviò la visita della diocesi e inaugurò una feconda produzione di scritti (con oltre 220 titoli fra lettere pastorali, circolari e trattati di teologia), mostrando una particolare attenzione agli aspetti della catechesi e della formazione (religiosa e pedagogica) del clero. Portata a termine agli albori del suo episcopato la realizzazione del seminario minore, si impegnò negli anni seguenti – anche nell’intento di valorizzare l’esperienza da poco introdotta in Piemonte dal pedagogista e sacerdote Ferrante Aporti – per l’apertura di una scuola di metodo nel seminario maggiore, nella prospettiva di dotare i futuri sacerdoti della diocesi di strumenti didattici e pedagogici funzionali a un loro reclutamento nel corpo docente. Assai concretamente il nuovo vescovo non mancò neppure di affrontare l’annoso problema delle condizioni edilizie e strutturali della cattedrale (la cui capienza era da tempo ritenuta insufficiente), ordinandone l’ampliamento e accrescendo così la monumentalità della chiesa.
Il governo della diocesi fu tuttavia segnato, specialmente a partire dalla seconda decade del suo episcopato, dalle crescenti tensioni nei rapporti fra la Chiesa e lo Stato. Nel 1848 la concessione dello Statuto albertino (che, pur tollerando altri culti, riconosceva nel cattolicesimo l’unica religione ufficiale del Regno) aveva aperto un’aspra diatriba sulla legittimità dei provvedimenti di ispirazione liberale, interpretati dal clero e da parte del mondo cattolico come un attentato alla Chiesa e una violazione della carta fondamentale della monarchia sabauda. Questa situazione fu vissuta con profondo disagio da Moreno, la cui condotta ispirata a «un’ottica di lealismo dinastico e di rispetto istituzionale », non conobbe cambiamenti neanche «nel periodo di maggiori difficoltà» nei rapporti tra la Chiesa e il nascente Stato italiano (Guasco - Traniello, 2006, p. XX).
L’atteggiamento del vescovo nei confronti della politica piemontese venne fortemente condizionato dall’avventura editoriale di cui fu, insieme ad altre personalità di spicco della cultura subalpina (come Gustavo di Cavour, Giacomo Margotti, Antonio Rosmini), uno dei protagonisti sin dal 1848. A quell’anno risale infatti la fondazione dell’Armonia della Religione con la Libertà, periodico che perseguiva una strenua difesa della Chiesa nel nome degli indissolubili legami (storici, politici, morali) fra l’Italia e il cattolicesimo romano.
Nella redazione si andarono delineando due linee editoriali destinate ben presto a scontrarsi: la prima, tracciata da Gustavo di Cavour e avallata dallo stesso Rosmini, intendeva il giornale come uno strumento «di moderazione e di conciliazione» tra un liberalismo sempre più aggressivo e un cattolicesimo sempre più arroccato (Cozzo, 2000, p. 80); la seconda, capeggiata da don Margotti, vedeva invece nella testata il mezzo migliore per difendere la Chiesa e denunciare il complotto massonico-protestante da cui discendeva la politica di laicizzazione promossa dal governo sardo. La tensione, salita a partire dal 1850 con il «caso Fransoni» (l’arresto e poi l’espulsione dell’arcivescovo di Torino), le leggi Siccardi e il dibattito sul matrimonio civile, determinarono l’uscita di scena dei redattori orientati su posizioni conciliatoriste e il prevalere dell’intransigentismo incarnato da Margotti, sotto la cui direzione l’Armonia divenne la voce del cattolicesimo illiberale. L’irrigidimento del giornale non incontrò l’ostilità di Moreno, il quale aveva manifestato la sua netta opposizione alle leggi Siccardi, al matrimonio civile e ad altri provvedimenti che – come notava nelle sue lettere pastorali – non facevano che palesare il regime di «irreligione» nel quale stava precipitando il Piemonte «coll’aiuto di empii settarii e di libertini» (Sui fondamenti della religione e caratteri della vera Chiesa e intorno alle eresie de’ protestanti. Istruzione pastorale, Ivrea 1854, p. 110).
Per il vescovo di Ivrea il principio della separazione fra Stato e Chiesa era inaccettabile, sia dal punto di vista etico-morale, sia da quello storico-politico. «Quali empietà, quali stranezze, quali idee antisociali e barbare» – denunciava – si sarebbero verificate in un paese in cui «l’individuo, la comunità, lo Stato non guardino più alla Chiesa e a Dio», e dove «colla fallacia dell’indipendenza del potere civile dalla Chiesa medesima» si sarebbe giunti ad «ingannare i buoni, i semplici fedeli» (M. Margotti, 2006, pp. 28-29).
Le elezioni del 1857, che videro l’affermazione dei clerico-conservatori nelle cui fila fu eletto anche Margotti (l’elezione del quale fu tuttavia annullata l’anno successivo per irregolarità), segnarono un punto di svolta. La dura reazione del direttore dell’Armonia, che in quell’occasione coniò la celebre formula «né eletti né elettori», destinata a divenire il motto dell’astensionismo cattolico dalla vita politica attiva, aprì infatti una fase di aspri scontri con il governo che portarono a ripetuti sequestri del giornale. La forte intransigenza dell’Armonia cominciò a essere considerata eccessiva da Moreno «al quale non tutte le battaglie, o per lo meno non tutte le armi di don Margotti piacevano» (Lucatello, 1961, p. 312).
Proprio sull’astensionismo si consumò la frattura fra il direttore dell’Armonia e il vescovo di Ivrea: se per il primo le elezioni del 1857 avevano segnato, con la sua «morte» parlamentare, anche la fine del tentativo di collaborazione di tanti cattolici alla formazione di un nuovo Stato; per il secondo esse rappresentavano invece «uno stimolo per un rinnovato impegno di presenza nell’agone politico» (Bettazzi, 1989, p. 82). Secondo Moreno, infatti, la partecipazione dei fedeli alle elezioni non era solo un «obbligo giustificato da ragioni morali e religiose», ma anche un’opportunità politica da cogliere, specialmente a livello locale, nella prospettiva di rafforzare «un blocco conservatore agrario imperniato su esponenti dell’aristocrazia cattolica e inserito a pieno titolo nelle istituzioni rappresentative» (Guasco- Traniello, 2006, p. XXI).
Le divergenze fra Moreno e Margotti si fecero così nette da indurre quest’ultimo nel 1863 a lasciare la direzione dell’Armonia ed a fondare l’Unità cattolica, una nuova testata conservatrice e filopapale. La linea editoriale di Moreno, per il quale solo la partecipazione dei cattolici alla politica del nascente Stato italiano avrebbe potuto porre un freno al processo di laicizzazione che stava travolgendo la Chiesa e le sue istituzioni, si sarebbe presto rivelata minoritaria nel mondo cattolico, come il non expedit avrebbe ufficialmente sancito nel 1868. In questo nuovo clima, agli occhi dei cattolici più intransigenti l’irriducibile lealismo sabaudo di Moreno lasciava anzi trasparire uno spirito liberaleggiante vissuto con disagio nella Chiesa assediata di Pio IX. Ad accrescere sospetti e diffidenze nei confronti del vescovo di Ivrea fu anche la stima per Rosmini (che il prelato continuò a nutrire anche dopo la morte dell’abate roveretano, avvenuta nel 1855), la cui opera più celebre (le Cinque piaghe della santa Chiesa) era stata messa all’Indice sin dal 1849, e l’amicizia con Cesare Cantù, il letterato lombardo di tendenze (inizialmente) filoliberali che collaborò a lungo con l’Armonia.
La tensione fra il prelato eporediese e il cattolicesimo intransigente raggiunse l’apice in occasione del concilio Vaticano I, al quale Moreno partecipò attivamente, intervenendo cinque volte (tra il febbraio e il giugno 1870) sulle problematiche inerenti la fede, la vita dei chierici e la Chiesa. La questione più importante dibattuta dal Concilio (il dogma dell’infallibilità del pontefice) lo vide assumere una posizione diversa da quella proposta dalla curia romana e poi risultata vincente nell’assemblea conciliare. Insieme a una cinquantina di vescovi (fra i quali la maggioranza di quelli piemontesi) Moreno si rivolse a Pio IX per manifestare il proprio dissenso alla definizione dell’infallibilità (criticata in termini di rigore teologico e di opportunità politica) e annunciare la diserzione della seduta del 18 luglio 1870, nella quale il dogma sarebbe stato votato e approvato.
La scelta di Moreno ne determinò l’avvicinamento ad altri vescovi – non solo italiani – anti-infallibilisti (come quello di Orléans, Félix- Antoine Dupanloup), e l’allontanamento dagli esponenti del clero rimasti fedeli alla linea dettata da Pio IX. Ne furono influenzati anche i rapporti con don Giovanni Bosco, con il quale da tempo Moreno aveva stretto un’amicizia che le complesse vicende delle «Letture cattoliche» – la collana di libri apologetici «di stile semplice e dicitura popolare» (L’Armonia, 8 febbraio 1853, cit. in Bettazzi, 1989, p. 169) promossa a partire dal 1853 dai due prelati, ma presto egemonizzata dal sacerdote di Valdocco – avevano già progressivamente minato.
La presa di Roma e la fine del potere temporale della Chiesa acuirono i dilemmi di Moreno, sempre in bilico fra la fedeltà al papa e la lealtà al re che di Roma era divenuto il nuovo sovrano. Anche l’Armonia – la cui redazione si era intanto spostata a Firenze – risentì di questo clima d’incertezza, mostrando i segni di una crisi che si sarebbe consumata nel corso degli anni Settanta, quando la linea ‘minoritaria’ di Moreno (favorevole all’intervento dei cattolici nella politica italiana) contribuì a emarginare sempre più il giornale, la cui pubblicazione terminò il 31 luglio 1878, pochi mesi dopo la scomparsa del suo artefice.
Moreno era infatti deceduto il 4 maggio 1878.
Alla sua morte il decano dei vescovi piemontesi lasciava una diocesi che aveva per molti versi assunto un ruolo simbolico «di autonomia o addirittura di opposizione rispetto agli orientamenti romani», e nella quale si erano andate accumulando «considerevoli tensioni» destinate a manifestarsi pienamente negli episcopati successivi al suo (Guasco-Traniello, 2006, p. XXI).
Opere: fra le altre, Dell’unità della Chiesa: lettera pastorale di monsignor Luigi Moreno vescovo d’Ivrea pel giubileo del 1850, Ivrea 1850; A S.E. il conte Camillo Benso di Cavour presid. del Consiglio dei ministri: lettera di mons. Luigi Moreno vescovo d’Ivrea, Torino 1858; Lettera di monsignor Luigi Moreno vescovo d’Ivrea al sig. cavaliere Carlo Boncompagni presidente della Camera dei deputati, Torino 1855; Sulla leva militare dei chierici: lettera al cavaliere Alessandro della Rovere, ministro di Stato per la guerra, Ivrea 1875.
Fonti e Bibl.: A. Lucatello, Don Margotti direttore dell’Armonia, in Giornalismo del Risorgimento, prefazione di G. Pella, introduzione di G. Spadolini, Torino 1961, p. 312; L. Bettazzi, M. L., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. Le figure rappresentative, III, 2, Casale Monferrato 1984, pp. 575 s.; Id., Obbediente in Ivrea. Monsignore L. M. vescovo dal 1838 al 1878, Torino 1989; E. Passerin D’Entrèves, Religione e politica nell’Ottocento europeo, Roma 1993, pp. 235, 282, 303; A. Merlotti, Negli archivi del re. La lettura negata delle opere di Giannone nel Piemonte sabaudo (1748-1848), in Rivista storica italiana, CVII (1995), pp. 367-370; P. Cozzo, Protestantesimo e stampa cattolica nel Risorgimento. L’«Armonia» e la polemica antiprotestante nel decennio preunitario, in Rivista di storia e letteratura religiosa, XXXVI (2000), 1, pp. 77-113; G. Tuninetti, I cattolici, in Storia di Torino, VI, La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, pp. 810 s.; Gli epistolari dei filosofi italiani (1850- 1950), a cura di G. Giordano, Roma 2000, p. 59; M. Guasco - F. Traniello, Introduzione, in Storia della Chiesa di Ivrea in epoca contemporanea, a cura di M. Guasco - M. Margotti - F. Traniello, Roma 2006, pp. XVI, XX-XXII; M. Margotti, L. M. (1800-1878), ibid., pp. 63-66; Id., I vescovi di Ivrea dal 1805 al 1999: elementi biografici e spunti di analisi delle lettere pastorali, ibid., pp. 26-32; W. Canavesio, L’architettura sacra nella diocesi di Ivrea nell’Ottocento, ibid., pp. 477 s.