NARDI, Luigi
– Nacque a Savignano di Romagna (attuale Savignano sul Rubicone) il 17 agosto 1777 da Giuseppe e da Barbara Vesi.
Sebbene non provenisse da una famiglia facoltosa, fu avviato agli studi e frequentò con profitto le scuole comunali di grammatica, umanità e retorica, ove ebbe come insegnanti don Giovanni de Ossuna (ex gesuita spagnolo di Cordova), l’abate Eduardo Bignardi e il canonico Emanuele de Lubelza, che lo indirizzò allo studio dei trattatisti. Assecondando una precoce vocazione, si fece chierico nel dicembre 1792; l’anno successivo fu assunto come prefetto delle camerate presso il collegio degli scolopi di Ravenna, dedicandosi in modo particolare allo studio della filosofia. Nel 1795, cogliendo l’invito del patriarca di Antiochia monsignor Giovanni Francesco da Bagno, arcivescovo di Mira, si trasferì a Roma, dove arricchì ulteriormente (da autodidatta o, come nel caso della teologia, alla scuola di maestri quali lo scolopio padre Pietro Sala) quella enciclopedica base culturale «con eccezionale supporto classicista» (Piromalli, 1981, p. 42) che gli avrebbe consentito di padroneggiare le più disparate branche del sapere.
In seguito all’instaurazione della Repubblica Romana (febbraio 1798), preferì stabilirsi a Subiaco, ove il 20 luglio 1800 fu ordinato sacerdote da monsignor Vincenzo Marani, vescovo di Tivoli. Durante la permanenza nella cittadina laziale, si adoperò affinché fosse preservato l’inestimabile patrimonio della biblioteca dell’abbazia benedettina, svolgendo anche una delicata missione a Roma presso il concittadino Fabrizio Zanotti, ministro dell’Interno della Repubblica Romana.
Tornato a Savignano, fu tra i fondatori, con Bartolomeo Borghesi, Giulio Perticari e Girolamo Amati, della Rubiconia Simpemenia Accademia dei Filopatridi (nata il 3 aprile 1801), che riportò in vita l’Accademia degli Incolti, attiva soprattutto nel XVII secolo.
Conformandosi ai moduli arcadici invalsi nel Settecento, gli affiliati assunsero nomi greci; a Nardi toccò quello di Lipaulo Emonasteo. I promotori dell’Accademia dei Filopatridi (che teneva riunioni mensili) non intendevano solamente coltivare lo studio della poesia e delle lettere classiche, ma anche rivolgere l’attenzione a discipline quali l’archeologia, l’epigrafia e la numismatica, nell’intento di recuperare la storia e le tradizioni savignanesi e romagnole. L’Accademia, oltre a contatti con eminenti nomi della letteratura italiana e straniera, ebbe, in genere, buoni rapporti con le autorità francesi (i generali Lazare Carnot e Jean-Victor Moreau ne furono membri onorari): nel gennaio 1803 vennero dedicate le dodici tavole della Legge Pemenica (la legge fondamentale della Simpemenia) a Napoleone Bonaparte; due anni più tardi fu proprio Nardi a comporre l’iscrizione apposta nella sala del Municipio di Savignano in onore dell’imperatore dei francesi e re d’Italia. L’Accademia fu dunque per Nardi (che tra il 1803 e il 1813 ebbe anche un importante ruolo di intermediazione con Giambattista Bodoni, tipografo di fiducia della Rubiconia Simpemenia) la palestra capace di conferirgli quello slancio definitivo verso una vita consacrata agli studi.
Alla fine del 1801 si trasferì a Parma, in qualità di istitutore dei giovani della famiglia Bernini; nel settembre 1803 fece ritorno a Savignano per assumere la cattedra di lingua latina presso le scuole comunali, esperienza esauritasi due anni più tardi. Nel 1808 il vescovo di Rimini monsignor Gualfardo Ridolfi lo volle come istitutore del nipote Carlo, che Nardi accompagnò a Napoli, in Toscana e nel Veneto. Il 1808 fu anche l’anno in cui apparve la Difesa del titolo della Chiesa Cattedrale di Rimini (Rimini 1808), primo di una folta serie di saggi e articoli spesso rimasti inediti e diseguali quanto a valore scientifico. Da maggio a ottobre 1811 soggiornò, al seguito di monsignor Ridolfi, a Parigi, ove strinse proficui rapporti con l’erudito ed epigrafista Luigi Gaetano Marini e con l’archeologo Ennio Quirino Visconti.
Risultato della ricognizione compiuta in quel frangente sui codici vaticani fu la Cronotassi dei Pastori della s. Chiesa Riminese (Rimini 1813). Nello stesso anno e luogo apparve la Descrizione antiquario-architettonica con rami dell’arco di Augusto, ponte di Tiberio e tempio malatestiano di Rimino. Una certa notorietà gli arrivò, in maniera inaspettata, dall’assai meno pregevole Porcus Trojanus o sia la porchetta, cicalata ne le nozze Ridolfi-Spina (Rimini 1813), sorta di scherzo letterario, composto in occasione delle nozze del discepolo Carlo Ridolfi, «bernesco elogio del porco, ricco di notizie curiose derivate da una astronomica erudizione» (Piromalli, 1981, p. 44).
Nel maggio 1813, parroco da due anni della chiesa dei Ss. Ansovino e Sisto presso Saludecio, fu trasferito a Rimini nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, che guidò fino al 1828.
Da parroco, ebbe nel 1818 l’incarico di segretario del sinodo diocesano (ove pronunciò un vibrante discorso sulla riforma dei costumi degli ecclesiastici), fu più volte coadiutore di vari vescovi nelle visite alle diocesi e deputato visitatore dei luoghi pii. Gli incarichi pastorali, svolti in maniera diligente, furono però sempre considerati secondari da Nardi, il quale già nel 1808 aveva scritto dolente all’amico Bodoni: «Quando sarò libero e padrone di me per immergermi tutto nello studio?» (Necchi, 2007, p. 166). Con comprensibile soddisfazione accolse quindi, nel 1815, l’assunzione presso la Biblioteca Gambalunghiana di Rimini come coadiutore del bibliotecario Lorenzo Antonio Drudi, al quale successe nel 1818: il Catalogo dei Codici manoscritti conservati nella Libreia Gambalunghiana e l’Indice delle Edizioni del XIV secolo, entrambi inediti, costituiscono testimonianza pregnante dell’impegno profuso come bibliotecario. L’11 marzo 1817 ottenne anche il diploma di nomina a socio della Pontificia Accademia romana di archeologia. L’incarico di bibliotecario alla Gambalunghiana gli consentì quell’ulteriore e decisivo approfondimento nella ricerca, di cui avrebbe raccolto i frutti nell’opera Dei Compiti, feste e giuochi compitali degli antichi e dell’antico Compito savignanese in Romagna (Pesaro 1827), scaturita «dalla tendenza del classicismo romagnolo a ricercare le radici del presente nel passato» (Piromalli, 1981, p. 44). Le origini di Savignano venivano individuate in un antico municipio romano (detto Compitum o Ad Confluentes), nato nel II secolo a.C. all’incrocio della via Emilia e del ramo della via Reginia detto decimano. Nardi rimarcava l’equivalenza delle parole Compitum, presente nell’Itinerario Gerosolimitano (carta geografica del II secolo d.C.), e Ad Confluentes della Tavola Peutingeriana (carta dell’Impero Romano fatta disegnare da Teodosio), «quest’ultimo termine vuol dire, infatti, per il Nardi tanto “confluenza di fiumi” che “incrocio di strade”» (A. Donati, Scienza e ricerca dell’Antico fra Sette e Ottocento, in Un Castello di Romagna, 1997, p. 301). Compitum, dunque, si chiamava l’antico insediamento romano, dal tempio compitale dedicato a Giano e ai Lari, fulcro attorno al quale si aggregarono le genti per onorare le divinità e le memorie degli antenati e regolare i vari aspetti della pubblica convivenza. Lo studio di Nardi, «esplorazione dell’antichità alla maniera vichiana» (Piromalli, 1981, p. 45), si spingeva (basandosi soprattutto sui risultati degli scavi fatti eseguire dallo stesso autore negli anni precedenti) attraverso i secoli fino alla distruzione dell’antico compito romano all’epoca dell’imperatore Giustiniano e alla edificazione della moderna Savignano all’inizio del XIV secolo. Due anni più tardi, negli Schiarimenti sull’antico Compito savignanese (Pesaro 1829) tornò sull’argomento, spinto anche dalla polemica con lo storico Giovanni Turchi, autore di una monografia su Longiano. Sebbene discutibili in numerosi aspetti, i saggi sulle origini di Savignano costituiscono ancor oggi per gli studiosi un valido punto di riferimento.
Ma Nardi, oltre che storico, archeologo, epigrafista e diplomaticista, fu anche attento alle questioni di diritto canonico e teologia dogmatica: già nel 1822 aveva dato alle stampe a Bologna una Introduzione breve e facile allo studio della Sacra Scrittura, che gli valse una lettera di elogio da parte del pontefice Pio VII. Di spessore assai maggiore fu però il trattato in due tomi De’ parrochi. Opera di antichità sacra e profana (Pesaro 1829), dove Nardi si scagliava contro quei tardi epigoni del giansenismo (bollati con il neologismo spregiativo di ‘parrochisti’) i quali, mettendo in discussione il vincolo di obbedienza dei preti rispetto ai vescovi, miravano in ultima analisi a subordinare la Chiesa al potere civile, mortificando il primato e l’autorità pontificali. Apparso nel momento in cui, dopo gli sconvolgimenti recati dalla Rivoluzione francese, si cercava di ricostituire le basi della disciplina ecclesiastica, il De’ parrochi (al quale Nardi avrebbe voluto aggiungere un terzo volume, di cui rimangono però le sole schede manoscritte) non passò inosservato: Pio VIII (breve del 17 novembre 1830) indirizzò un pubblico elogio all’autore, assegnandogli come premio un beneficio ecclesiastico nella marca di Ancona, la cui rendita fu valutata in 70 scudi annui. Il trattato, giudicato positivamente, tra gli altri, da Antonio Rosmini Serbati (che però ne criticò lo stile, ritenuto eccessivamente farraginoso), ottenne un discreto successo in Francia e in Germania, ove il canonico Aemilius Ludwig Richter lo recensì su alcuni periodici cattolici. Peraltro, il tema del giansenismo era già stato affrontato da Nardi nella Lettera miscellanea (apparsa nel 1825 sul Giornale ecclesiastico di Roma), ove, attenendosi in questo caso ad argomenti più strettamente dottrinari, faceva risalire al rigorismo dei seguaci del teologo francese Pasquier Quesnel la scaturigine della Rivoluzione francese. Avrebbe voluto portare un ulteriore contributo al dibattito su numerose questioni dottrinali con la Opinione sul maggior numero di cattolici adulti salvandi, della quale rimangono però un manoscritto incompleto e un gran numero di schede.
Nardi, esponente della scuola classica romagnola, compose un volume di Poesie (Cesena 1807), un sonetto, in coda alle Epistole per le nozze Laghi e Lettini (Pesaro 1825), un Idillio per le nozze Vesi-Crisolini (Cesena 1827) e numerosi altri versi in latino e in italiano rimasti inediti. Intervenne spesso su questioni letterarie, come attestano gli articoli Sopra alcune parole italiane, e spiegazione delle terzine di Dante... (in Giornale Arcadico di scienze, lettere e arti, t. XXIV), Commento sopra un sonetto inedito del Petrarca (in Dissertazioni della Pontificia Accademia romana di archeologia, t. V), Terzine inedite di Fazio degli Uberti (in Biblioteca italiana, t. XIII). Di notevole interesse è l’articolo Reazione antiromantica (traduzione di un testo apparso sulla Bibliothèque Universelle), pubblicato su La Voce della Ragione nel maggio 1834: nella premessa, Nardi chiosava: «Ci permettiamo di avvertire che il classicismo in letteratura è come il legittimismo nella politica, e viceversa il romanticismo equivale al liberalismo. [...]. E dal liberalismo letterario usciranno le più matte e bizzarre cose del mondo, simili a quelle tragedie le quali in due ore di rappresentazione aprono la scena in un luogo (per esempio a Brescia e nella Valle di Susa) e dopo alquanti anni passati, mentre si suona una sinfonia, tornano addietro tre o quattrocento miglia, per chiuderla in un’altra città (per esempio Verona)» (Palmieri, 1983-84, p. 63), con evidente riferimento all’Adelchi di Alessandro Manzoni.
Gli ultimi anni della vita di Nardi furono segnati da gravi difficoltà economiche e dall’affannosa ricerca, come scrisse all’amico editore Annesio Nobili nel maggio 1834, di un lavoro tranquillo e ben remunerato che gli permettesse la prosecuzione degli studi. A tale scopo, compì anche un viaggio a Roma nella primavera 1835, durante il quale ebbe contatti, destinati però a rivelarsi infruttuosi, con il cardinale Luigi Lambruschini, prefetto degli studi, e con Joannes Philippus Roothaan, preposito generale della Compagnia di Gesù.
Trovò un certo conforto nell’amicizia epistolare con Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, nonché fondatore e direttore de La Voce della Ragione, organo del cattolicesimo legittimista e reazionario al quale Nardi non disdegnò, come nel caso dell’articolo sul romanticismo, di offrire la propria collaborazione. D’altro canto, Nardi, che «per il fatto di essere vissuto in un periodo oltremodo difficile... aveva imparato a barcamenarsi fra i due estremi della rivoluzione e della reazione, riuscendo a mantenersi au dessus de la mêlée e ad avere amici tra chierici e laici, tra conservatori e progressisti» (Comandini, 1968, p. 49), era oramai ripiegato su posizioni grettamente conservatrici. L’articolo Il Progresso (apparso su La Voce della Ragione nel maggio 1835) espresse perfettamente l’astioso distacco dal tempo presente, caratterizzato, secondo l’autore, dalla perdita, risalente alla fine del Settecento, delle nozioni di vero e falso, giusto e ingiusto e dal continuo attacco alla religione cattolica, l’unica autentica. Effetto tangibile del progresso era così la nascita di un proletariato ignorante, misero e perennemente in agitazione.
Morì a Savignano il 5 giugno 1837.
Sepolto a Rimini, nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, fu commemorato dall’Accademia dei Filopatridi con una solenne cerimonia svoltasi nel palazzo comunale di Savignano.
Postumo venne pubblicato (a cura dell’amico Giulio Cesare Battaglini) il saggio Dell’epoca nostra (Torino 1854), nel quale, con la consueta erudizione e un pronunciato tono profetico, affrontò il tema, che lo aveva ossessionato negli ultimi anni della sua vita, della decadenza dei costumi foriera della fine del mondo e dell’avvento dell’Anticristo.
Fonti e Bibl.: F. Rocchi, Delle lodi del canonico L. N. savignanese. Orazione..., Forlì s.d. [1837?]; G. Giovanardi, Nel primo centenario della morte dell’umanista savignanese Can.co L. N. (1837-1937): appunti bio-bibliografici, Rimini 1938; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, XCVI, Forlì, Biblioteca comunale A. Saffi, Collezioni Piancastelli - Sezione Carte Romagna, M - O, a cura di P. Brigliadori - L. Elleni, Firenze 1980, pp. 262-266; R. Comandini, Tra due rivoluzioni. Mezzo secolo di vita religiosa in Val Conca (1797-1848), in Studi romagnoli, XVIII (1967), pp. 129-131, 133; Id., Appunti per una storia della fortuna del Rosmini in Romagna (1828-1846), in Rivista Rosminiana di filosofia e di cultura, LXII (1968), 1, pp. 48-51; D. Mazzotti, Rubiconia Accademia dei Filopatridi. Note storiche e biografiche, Santarcangelo di Romagna 1975, passim; A. Piromalli, Bartolomeo Borghesi e la scuola classica di Savignano di Romagna, in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Quaderno, XIII (1981), pp. 42-46; P. Palmieri, Carteggio Monaldo Leopardi - L. N., in Annuario 1983-84 dell’Istituto tecnico aeronautico “F. Baracca” - Forlì, Forlì 1983-84, pp. 59-86 (ristampato in Appendice a Id., Occasioni romagnole: Dante, Giordani, Manzoni, Leopardi, Modena 1994, pp. 183-229); I. Fellini, Savignano e la sua Accademia, Savignano sul Rubicone 1988, passim; Un Castello di Romagna. Savignano sul Rubicone, a cura di A. Varni, Villa Verucchio 1997, ad ind.; R. Necchi, L’Accademia e il tipografo. Notizie sulla corrispondenza fra L. N. e Giambattista Bodoni, in Atti della VI giornata Amaduzziana, Savignano sul Rubicone 2007, pp. 155-170.