NONO, Luigi
NONO, Luigi. – Nato il 29 gennaio 1924 a Venezia, secondogenito di Mario e di Maria Manetti, già nell’ambito familiare ebbe i primi stimoli per la sua formazione artistica e culturale.
Il nonno paterno, Luigi, era un pittore della scuola veneziana di fine Ottocento; il prozio Urbano uno scultore; la nonna paterna, discendente dell’antica famiglia veneziana Priuli Bon, si dilettava col pianoforte e col canto spaziando dalla musica del passato alla produzione liederistica più recente (tra i suoi spartiti Nono trovò una delle prime edizioni degli Italienische Lieder di Hugo Wolf accanto al Montezuma di Antonio Sacchini: Un’autobiografia..., 1987, p. 480). La madre e il padre, ingegnere, erano pianisti dilettanti che amavano cimentarsi con brani di repertorio (tra questi il Boris Godunov di Musorsgkij, ricordato tra i primi ascolti della fanciullezza; ibid.) e, frequentatori assidui del teatro La Fenice, erano inseriti nei circoli culturali e musicali della migliore società veneziana. Grazie alla fornita discoteca del padre, Nono poté conoscere presto Beethoven, Wagner, Mahler nelle prime incisioni di Toscanini o Mengelberg. Di non minore importanza furono le prime letture condotte nell’imponente biblioteca paterna (conservata in parte nel lascito del compositore), dalle prime traduzioni italiane di poeti e scrittori russi e americani, a Pavese, Gogol’, Rilke e vari altri autori che sarebbero riaffiorati tra le selezioni testuali delle proprie opere.
Intorno ai 12 anni intraprese privatamente lo studio del pianoforte con un’amica della madre (la signora Alessandri). Fin da ragazzo cominciò ad assistere agli spettacoli della Fenice e del Festival internazionale di musica contemporanea della Biennale di Venezia; attratto dall’unicità della sua acustica, prese inoltre a visitare abitualmente la Basilica di S. Marco. Svolse gli studi nel ginnasio-liceo classico Marco Polo di Venezia dove conseguì la maturità nel 1942. Per assecondare i desideri del padre, nello stesso anno si iscrisse a giurisprudenza nell’Università di Padova. Sempre al 1942 risale l’amicizia col giovane pittore Emilio Vedova, legame durato fino alla morte del compositore.
La formazione scolastica e musicale di Nono si svolse negli anni cruciali del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra, in un clima familiare e intellettuale di stampo tradizionale e borghese benché perlopiù ostile al fascismo. Non partecipò attivamente alla guerra né alle successive fasi della Resistenza: dispensato dal servizio militare per motivi di salute, privilegiò il contatto con giovani socialisti veneziani e personalità dell’opposizione locale, coltivando ideali politici e culturali non allineati con il regime.
Nel 1941 il padre gli procurò un incontro con Gian Francesco Malipiero, compositore che gli «aprì tutti gli orizzonti della musica» (Duo con Luigi Nono..., 1961, p. 3). Con il grande maestro scoprì Monteverdi, la tradizione rinascimentale italiana (polifonica e madrigalistica), i trattati di Zarlino, Gaffurio e Vicentino, nonché la musica di Schönberg, Webern e Bartók. Per qualche anno seguì come studente esterno i suoi corsi di composizione nel Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia; dal 1943, dopo il ritiro di Malipiero dall’insegnamento, continuò a frequentare da esterno la classe di contrappunto e fuga di Raffaele Cumar (ex allievo di Malipiero e Luigi Dallapiccola), approfondendo privatamente lo studio del pianoforte con Gino Gorini. Per l’indole curiosa e irrequieta, non riuscì mai ad adattarsi a piani di studio imposti e nutrì una palese avversione per vincoli formativi legati a programmi ministeriali considerati noiosi e spesso inutili. Conseguito il compimento inferiore e medio di composizione – sostenuti nel 1947 e nel 1949 nel Conservatorio veneziano –, non reputò necessario coronare la formazione musicale col diploma.
Grazie a Malipiero, nel 1946 entrò in contatto col giovane compositore e direttore d’orchestra veneziano Bruno Maderna. All’incirca nello stesso periodo conobbe di persona Dallapiccola, tra i musicisti più stimati e punto di riferimento per vari artisti della sua generazione. Delle prove compositive portate a termine prima dell’incontro con Maderna resta la traccia di un ricordo (Intervista di Renato Garavaglia, 1979-80): nel 1945, influenzato dai discorsi di Malipiero sulla musica dei secoli XV e XVI, compose La discesa di Cristo agli inferi, brano (disperso) forgiato sul modello delle sacre rappresentazioni. Dopo circa otto anni di studi musicali parziali e insufficienti, lo stimolo per il primo decisivo mutamento di rotta sembrerebbe esser stato fornito proprio da una critica avanzata da Dallapiccola su questa partitura perduta: «capisco che lei ha qui dentro nel cuore molto da esprimere, soltanto deve studiare ancora molto per poterlo esprimere» (ibid., p. 242). Queste parole fornirono a Nono l’impulso per ricominciare gli studi musicali pressoché da zero con Maderna. Conclusa l’università – conseguendo nel 1947 la laurea in giurisprudenza con una tesi sul concetto giuridico dell’exceptio veritatis – poté dedicarsi solo alla musica, indirizzandosi verso un sentiero di conoscenza autonomo e responsabile condotto al di fuori di ogni istituzione accademica. Di questo periodo 1946-47 non sono note composizioni, salvo un progetto vocale su liriche tratte da L’allegria di Giuseppe Ungaretti.
L’incontro con Maderna segnò in modo indelebile lo sviluppo musicale e umano di Nono, che fino alla fine riconobbe all’amico il ruolo di primo vero e grande maestro di vita. Durante lunghe giornate trascorse tra l’abitazione di Maderna e la Biblioteca nazionale Marciana, approfondì lo studio della musica dei secoli XIV-XVI, dall’ars antiqua all’arsnova francese, dai fiamminghi alla polifonia rinascimentale italiana, in un continuo confronto tra teoria e pratica. Tra gli autori più amati e analizzati Machaut, Dunstable, Ockeghem, Josquin, Willaert, Andrea e Giovanni Gabrieli. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio del decennio successivo, l’analisi di quel periodo divenne lo stimolo per un’indagine comparata dei vari processi compositivi nella storia: data la comprensione di una tecnica musicale, il fine era scoprirne la ‘funzione’ in relazione al momento storico, ricercandone nuove possibili trasformazioni o applicazioni nella musica delle epoche successive fino alla contemporaneità. Fu grazie a questa peculiare ricerca che Nono maturò la convinzione, mai più abbandonata, che il linguaggio artistico deve svilupparsi di pari passo con i grandi movimenti politici e sociali del proprio tempo, arrivando a essere una possibilità (o un mezzo) per intervenire all’interno di essi.
Fu sempre Maderna a far scoprire a Nono il manuale di tecnica compositiva di Hindemith (Unterweisung im Tonsatz, 1937) e a suggerirgli – prima del comune approdo alla scrittura seriale – l’esistenza di soluzioni alternative nei confronti di un linguaggio armonico ormai in crisi da decenni.
Su suggerimento di Malipiero, nel 1948 frequentò insieme a Maderna un corso internazionale di direzione d’orchestra tenuto a Venezia da Hermann Scherchen. Questo nuovo importante incontro segnò l’inizio di un lungo sodalizio tra i due giovani compositori e l’anziano direttore che, per circa cinque anni, divenne il loro mentore. Nono cominciò a seguire Scherchen durante i suoi concerti, a soggiornare per lunghi periodi presso di lui a Zurigo, Rapallo, Gravesano, e a collaborare dapprima come copista, poi come autore con la sua casa editrice Ars Viva (acquisita nel 1953 da B. Schott’s Söhne, Magonza). Grazie a Scherchen, attraverso le sue esecuzioni e i suoi racconti, entrò idealmente in contatto con le esperienze vissute dal direttore in Germania fin dal 1912, dalle prime esecuzioni assolute degli amati Schönberg e Webern alla realtà sociale e culturale tedesca prima dell’avvento del nazismo. Tra il 1948 e il 1949, su impulso di Scherchen compose le Due liriche greche (La stella mattutina e Ai Dioscuri, testi di Ione di Ceo e Alceo nella traduzione italiana di Salvatore Quasimodo, inedite), ispirate ai Canti di prigionia di Dallapiccola. Sempre dall’anziano direttore ricevette ulteriori stimoli allo studio di Bach, Beethoven, Schumann e, soprattutto, all’approfondimento analitico di Schönberg, Webern e Dallapiccola.
Nel 1950, su segnalazione di Scherchen e Maderna, per la prima volta Nono frequentò gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt – corsi estivi di musica contemporanea, punto d’incontro e confronto per i giovani musicisti del dopoguerra – e debuttò sulla scena internazionale col suo primo brano per orchestra, le Variazioni canoniche sulla serie dell’op. 41 di Arnold Schönberg (1949-50). Diretta da Scherchen, l’opera ebbe un’accoglienza non unanime ma rivelò la centralità di Nono nel contesto delle problematiche e delle discussioni dell’avanguardia musicale. L’esperienza di Darmstadt – luogo che frequentò per dieci anni (dal 1957 come docente) – costituì un momento di fondamentale importanza nella sua evoluzione artistica, umana e politica. Qui poté studiare più a fondo Schönberg e la dodecafonia; conoscere Edgard Varèse e accostarsi alla sua musica visionaria; instaurare importanti rapporti – ispirati di volta in volta alla consentaneità o al dissenso – con musicisti europei ed extraeuropei come Stockhausen, Boulez, Pousseur, Cage, Henze. Soprattutto, a Darmstadt si ebbero le prime di alcune tra le sue più importanti pagine degli anni Cinquanta: alle Variazioni canoniche seguirono Polifonica-Monodia-Ritmica (1951), l’Epitaffio per Federico García Lorca I. España en el corazón (1952), La victoire de Guernica (1954), Incontri (1955), Cori di Didone (1958), Composizione per orchestra n. 2 – Diario Polacco ’58 (1959).
Queste opere rivelarono Nono come uno dei maggiori rappresentanti dell’avanguardia europea e del linguaggio seriale, con Stockhausen e Boulez. Da questi stessi compositori, e dall’ambiente dei Ferienkurse, prese nondimeno le distanze in modo dichiarato nel 1959, allorché con la conferenza Geschichte und Gegenwart in der Musik von heute (reso in italiano come Presenza storica nella musica d’oggi) polemizzò apertamente contro alcuni rappresentati della cosiddetta «Scuola di Darmstadt» (espressione da lui stesso coniata; cfr. Lo sviluppo della tecnica seriale, 1957, p. 34), denunciandone incoerenze e aporie. L’inconciliabilità delle posizioni riguardava tanto alcune derive iperdeterministiche dei seguaci della serialità integrale (primo tra tutti Stockhausen), quanto esperienze di segno opposto riconducibili all’alea e all’indeterminazione (Cage fu citato come pars pro toto). Entrambe le tendenze furono additate da Nono come fuga dalla storia e sintomo di un’irresponsabile volontà di evitare prese di posizione nei confronti di problematiche artistiche del presente. La rottura da Darmstadt fu sancita nel 1960 con la conferenza Text-Musik-Gesang (Testo-musica-canto), dove la distanza da un’ortodossia seriale ormai vissuta come gabbia assunse i toni dell’attacco aperto.
Nel 1954 ad Amburgo, in occasione della prima esecuzione in forma concertistica del Moses und Aron di Schönberg, Nono conobbe la figlia del compositore austriaco, Nuria, che sposò l’anno successivo (dal matrimonio nacquero due figlie, Silvia nel 1959 e Serena Bastiana nel 1964). Tra fine 1958 e inizio 1960 compì un’importante esperienza di docente con Helmut Lachenmann, che soggiornò per lunghi periodi a Venezia.
Negli stessi anni Cinquanta fu di grande importanza la scoperta o l’approfondimento delle esperienze politiche e culturali d’oltralpe, della Rivoluzione sovietica e della cultura della Repubblica di Weimar, delle avanguardie storiche russe e tedesche e delle innovazioni teatrali di Mejerchol’d, Majakovskij, Piscator: a queste sollecitazioni si aggiunse in parallelo l’entusiasmo per la rivelazione dell’insegnamento di Gramsci, del pensiero filosofico di Sartre, di una produzione poetica ancorata alle problematiche del proprio tempo e rappresentata da autori quali Lorca, Neruda, Éluard, Pavese, Ungaretti. Soprattutto da questi scrittori selezionò i testi per le opere vocali degli anni Cinquanta, al cui centro campeggia uno dei suoi capolavori, Il canto sospeso (1955-56), basato su lettere di condannati a morte della Resistenza europea (raccolte da Giovanni Pirelli).
Abbandonato l’uso di materiali ritmici pre-esistenti – praticato nelle pagine composte tra il 1950 e il 1953 – e approfondita quella personale elaborazione della tecnica seriale avviata in campo strumentale con Canti per 13 (1955), Nono perfezionò le conquiste compositive nel campo della vocalità: con Il canto sospeso approdò a una peculiare tecnica di frammentazione del testo, enunciato nelle sue componenti vocaliche o fonetiche simultaneamente o in successione tra le singole voci.
Come testimoniano anche vari scritti teorici degli anni Cinquanta, in quel periodo si rafforzarono in Nono le idee circa la capacità comunicativa della musica e la necessità di dover esprimere attraverso l’arte le sfaccettate contraddizioni del proprio tempo. Gradualmente la selezione dei testi si andò orientando verso temi politicamente impegnati tratti dall’attualità o dall’immediato passato. Questo aspetto si rivelò in tutta evidenza con l’azione scenica Intolleranza 1960 (1960-61), prima concreta manifestazione di quel nuovo teatro musicale che Nono vagheggiava fin dagli esordi, e culminò nella prima metà degli anni Settanta con la seconda azione scenica Al gran sole carico d’amore (1972-74, seconda versione del 1977).
L’esperienza teatrale di Nono si era inizialmente nutrita di un sentimento di rifiuto nei confronti dei modelli operistici fin de siècle, negazione in cui si rispecchiava un aperto dissenso verso l’organizzazione della società borghese. Fin dai primi progetti drammaturgici incompiuti degli anni Cinquanta – alcuni su testi di John Steinbeck, Anna Seghers e Anna Frank –, il teatro fu inteso come un luogo in cui temi attuali avrebbero dovuto essere rappresentati con mezzi espressivi e scenotecnici altrettanto originali. La ricerca in ambito scenico si concentrò in quegli anni sulle esperienze teatrali del primo ventennio del Novecento. Anche al teatro musicale approdò sull’onda di un’indagine storica di approfondimento delle esperienze artistiche che, proprio per essere state condannate o represse dai regimi totalitari, apparivano come modelli ancora potenzialmente attuali. Numerose e discontinue furono le letture condotte in quegli anni sul tema ‘teatro’: dalle esperienze di Gropius e del Bauhaus commentate da Giulio Carlo Argan (1951) alla Breve storia del teatro di Gaston Baty e René Chavance (1951), dai libri sul teatro russo e tedesco dei primi del Novecento (tra cui il fondamentale Das politische Theater di Erwin Piscator, 1929) a volumi su e di Majakovskij, Brecht ecc.
L’analisi degli approfondimenti teorici e dei primi progetti drammaturgici sembra suggerire che già dai primi mesi del 1952 il compositore avesse posto le basi di quella personale riflessione sulle implicazioni tecniche e le possibilità di una funzione politica del teatro che, nel 1960-61, condusse a Intolleranza 1960 (su testo proprio, rielaborato dal compositore a partire da un’idea di Angelo Maria Ripellino, con passi tratti da Henri Alleg, Brecht, Éluard, Julius Fučík, Majakovskij, Sartre e dallo stesso Ripellino; realizzato scenicamente con la collaborazione di Josef Svoboda ed Emilio Vedova).
Soprattutto a causa dei contenuti politici, in occasione della prima messinscena (Venezia, 1961) l’opera scatenò violente contestazioni in sala e divise il giudizio di pubblico e critica. Pressoché ignorata nella sua prima recezione fu la portata innovativa dei contenuti musicali: Intolleranza 1960 si poneva infatti come un’opera spartiacque, sia momento di sintesi sia laboratorio sperimentale in cui tecniche ormai collaudate si affiancavano a nuove procedure compositive. In essa convergevano le più recenti conquiste tecnico-linguistiche; tra queste forse la più importante in prospettiva futura: l’uso del nastro magnetico e degli strumenti di produzione elettroacustica del suono. Al 1960 risale infatti la prima composizione elettronica di Nono, Omaggio a Emilio Vedova, realizzata nello Studio di Fonologia della RAI di Milano, laboratorio elettronico frequentato per 19 anni, dove vennero prodotte tutte le opere per/con nastro magnetico composte fino al 1979. L’esperienza elettronica venne ben presto a costituire una costante nell’itinerario creativo del compositore: il mezzo tecnologico gli consentì di esprimersi in modi sempre più liberi e immediati, con soluzioni sonore e spaziali non più riconducibili a generi musicali codificati.
I temi di conflittualità e denuncia sociale, il rifiuto della psicologia individuale a favore dell’amplificazione collettiva del dramma – tutti elementi propri all’orizzonte testuale di Intolleranza 1960 – divennero una costante nel corso degli anni Sessanta e Settanta, nel corso dei quali il concetto di ‘impegno’ acquisì per Nono il valore di un ‘imperativo morale’ (inteso sartrianamente) da affiancare a quello estetico. Il rapporto tra arte e attualità divenne sempre più intrecciato e profondo: ogni brano, compiuto o progettato, era concepito come un mezzo per partecipare attivamente, e con i propri strumenti specifici, a un più ampio processo di trasformazione della realtà sociale. Spogliato il termine ‘ideologia’ dell’accezione negativa propria della concettualizzazione marxiana, ricondusse questa categoria di pensiero al significato gramsciano di ‘idea del mondo’, esaltandone le caratteristiche di ‘strumento di verità’ e di ‘funzione sociale’, inscindibili dal messaggio artistico. A queste funzioni collegava senza mediazione lo sviluppo di un proprio peculiare linguaggio musicale, di una tecnica compositiva intesa ‘anche’ come mezzo per arrivare a una testimonianza eticamente consapevole del proprio presente. La fabbrica illuminata (1964), per esempio, presenta una voce dal vivo che, preregistrata su nastro magnetico, interagisce con sé stessa, nonché vari materiali sonori (rumori, voci di operai ecc.) registrati nella fabbrica dell’Italsider di Genova Cornigliano, indi elaborati elettronicamente in studio. La denuncia, implicita nei testi documentari rielaborati da Giuliano Scabia sulla condizione operaia, è bilanciata in chiusura da un’apertura verso l’amore e la fiducia nel futuro, in un chiaroscuro tra dramma e speranza caratteristico di molte opere vocali di Nono. Impegnate in una dimensione internazionale e terzomondista sono le successive A floresta é jovem e cheja de vida (1965-66), su testi documentari curati da Pirelli, e Y entonces comprendió (1969-70), su testi di Carlos Franqui ed Ernesto ‘Che’ Guevara. In queste opere si radicalizzano alcune problematiche di prassi compositiva ed esecutiva determinanti nella poetica musicale noniana degli anni Settanta-Ottanta.
A partire da opere come La fabbrica illuminata e A floresta il processo creativo di Nono venne infatti a definirsi sempre a più stretto contatto con interpreti specifici (tra cui Carla Henius, Kadigia Bove, Elena Vicini, Liliana Poli), selezionati per le peculiarità timbriche ed espressive. Gradualmente Nono cominciò a non sentire più l’esigenza di fissare in modo unico e definitivo la propria volontà in un’edizione a stampa (è il caso di A floresta, ricostruita ed edita post mortem nel 1998): soggetta a variabili ambientali, microfoniche o di proiezione spaziale del suono in sala, l’opera cominciò a essere intesa come prodotto di un processo in continuo divenire, spesso lasciata allo stadio di istruzione, appunto o schizzo e definita in forma conchiusa nelle sole direttive date all’interprete, la cui memoria poteva coincidere in parte o in toto col testo dell’opera.
Le scelte testuali o performative operate in questi anni testimoniano l’incessante volontà di Nono di intendere la musica come un mezzo di lotta per denunciare ingiustizie e assurdità del presente. Nella sua biografia artistica e umana, la problematica relativa al concetto di ‘impegno’ ha rappresentato il nodo più complesso, dibattuto ed equivocato. Iscritto al Partito comunista italiano dal 1952 (dal marzo 1975 membro del Comitato centrale), amico di esponenti e vertici del partito o critici marxisti militanti (Luigi Pestalozza tra questi), non venne mai meno a un ideale di artista d’avanguardia engagé anche quando, nelle ultime fasi della sua vita, l’impegno e la denuncia assunsero forme meno dirette. Il periodo più fecondo sul piano politico furono gli anni Sessanta-Settanta, in cui i dati artistici spesso coincisero con quelli biografici (si pensi ai vari viaggi condotti nei paesi dell’Est dal 1958, nell’URSS nel 1963 e negli anni Settanta, negli USA nel 1965 e nel 1979, in America Latina a partire dal 1967; e ancora al confronto con teoria e prassi del marxismo internazionale, alla partecipazione ai movimenti studenteschi del Sessantotto e alle lotte operaie degli anni Settanta).
In quegli anni più volte Nono parlò della propria musica come del prodotto di un’unione tra tecnica e ideologia; nondimeno, le testimonianze contenute in varie interviste o in testi degli anni Sessanta (Il musicista nella fabbrica, 1966; Contrappunto dialettico alla mente, 1968 ecc.) si sono rivelate spesso fuorvianti in sede critica, dove si è spesso dato più peso alle qualità ideologiche che alla portata innovativa e al valore artistico della sua musica. Sul doppio terreno della politicizzazione delle opere e di un uso ‘rivoluzionario’ dell’elettronica si consumò inoltre, nel 1964, la rottura col suo primo editore, Ars Viva (Schott), e il conseguente passaggio alla Ricordi.
Se si legge il dato in retrospettiva, la relazione tra arte e ideologia affonda le radici nell’apprendistato condotto con Maderna e costituisce una tra le premesse creative dell’opera d’esordio, le Variazioni canoniche sulla serie dell’op. 41 di Arnold Schönberg, intese come «conseguenza dei miei primi studi dei canoni enigmatici ma […] anche una scelta ideologica» (Intervista di Renato Garavaglia, 1979-80, p. 242). Il coinvolgimento politico procurò evidenti impulsi alla creazione. Nel testo di presentazione per Composizione per orchestra n. 2 - Diario polacco ’58 (1960, p. 433) Nono dichiarò: «sempre la genesi di un mio lavoro si basa su una provocazione umana: un avvenimento, una esperienza, un testo della nostra vita provoca il mio istinto e la mia conoscenza a dare la testimonianza di me musicista-uomo». Queste ‘provocazioni’ sono spesso palesi nelle scelte dei materiali e dei collaboratori.
Per le fonti testuali, gli anni Sessanta-Settanta furono segnati dalla ricerca di autori o soggetti storici che fossero simboli di lotta, di forza, di speranza e di sacrificio per la collettività (Brecht, Castro, Guevara, Marx, Rosa Luxemburg ecc.). Per le fonti sonore, sovente fece ricorso a suoni concreti delle realtà operaie o di rivolta, fissati in opere con/per nastro magnetico dove violenza umana e sonora s’intrecciano (La fabbrica illuminata; Non consumiamo Marx, seconda parte del dittico Musica-Manifesto n. 1, 1969, ecc.). Sul fronte delle collaborazioni si pensi al lavoro condotto con Piscator, nel 1965, per la realizzazione delle musiche per Die Ermittlung (L’istruttoria) di Peter Weiss; ai sodalizi col direttore Claudio Abbado e col pianista Maurizio Pollini, conosciuti rispettivamente nel 1965 e nel 1966, legati alla genesi di alcune tra le pagine più importanti (per Pollini fu ideata la parte pianistica di Como una ola de fuerza y luz, 1971-72, e ... sofferte onde serene..., 1976, mentre Abbado diresse le prime di Como una ola, Al gran sole carico d’amore, Prometeo); e ancora al lavoro col Living Theatre nel 1966 per il nastro di A floresta o alla collaborazione con Jurij Ljubimov e David Borovskij per Al gran sole carico d’amore. Dedicata alle lotte di liberazione del mondo intero, questa seconda azione scenica segnò l’acme del periodo politico di Nono: dalla Comune di Parigi alla rivoluzione russa del 1905 a quella cubana ecc., varie sommosse per la libertà vi vennero lette attraverso il ruolo svolto dalle donne, simbolo di speranza forza amore. Tuttavia, in una parabola compositiva quasi quarantennale, per ‘impegno’ bisogna intendere anche una visione ‘responsabile’ della ricerca implicita in ogni nuova composizione e nella messa a punto di un linguaggio la cui rivoluzione è nel risultato sonoro. In questa prospettiva va ridimensionata, o addirittura respinta, l’idea di una presunta fase ‘a-politica’ attribuita al Nono degli anni Ottanta: l’arte vissuta come responsabilità e impegno ‘soggettivo’ (che lega autore, esecutore e ascoltatore) è infatti una costante che accomuna l’intero itinerario artistico del compositore e trascende i messaggi politici, palesi o latenti.
Per la comunicazione dei propri messaggi sonori percepì come profondamente inadeguati sia i tradizionali luoghi di produzione e diffusione musicale, sia le procedure esecutive a essi sottesi. Nel corso degli anni Settanta il lavoro si proiettò sempre più verso una dimensione collettiva; spazi alternativi a quelli tradizionali (mense e circoli operai tra questi) divennero sale da concerto; la ricerca di un nuovo teatro musicale fu equiparata tout court a una condanna delle consuetudini d’ascolto inveterate. Il concetto di ‘impegno’ venne declinato anche nell’uso dello spazio: nei progetti e nelle opere sceniche compiute – da Intolleranza 1960 alla «tragedia dell’ascolto» Prometeo (1984, seconda versione: 1985) – si radicalizzò la volontà di abbattere la separazione tra scena e pubblico, vista da Nono come retaggio di una rappresentazione rituale «antidemocratica» (Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale, 1962, p. 122). Innovativa, in questo caso, non era l’idea in sé, bensì la dimensione sonora e visiva che Nono intendeva proiettare in uno spazio libero da barriere che ostacolassero la fruizione artistica. Lo spazio immaginato dal compositore – raggiunto negli anni Ottanta con la trasformazione, elaborazione e proiezione in tempo reale del suono – era inteso come un ambiente in cui i rapporti spazio-temporali si potessero infrangere in una dimensione totale sul piano sia acustico sia visivo.
A metà degli anni Settanta, dopo l’importante tappa teatrale rappresentata da Al gran sole, intervenne nella vita di Nono una profonda crisi creativa amplificata dal doppio lutto che, a distanza di pochi mesi, lo colpì con la morte del padre (ottobre 1975) e della madre (gennaio 1976).
Così rievocò quel particolare momento, denso di cambiamenti umani e artistici:«Subito dopo Al gran sole è venuto il silenzio, un silenzio inesprimibile: non avevo cioè i mezzi adatti ad esprimermi. Contemporaneamente è iniziato il mio rapporto di amicizia con Massimo Cacciari che pure conoscevo dal 1965. Ho sentito una necessità di studio non solo sul mio linguaggio musicale ma anche di analisi delle mie categorie mentali e ho ripreso a comporre con .....sofferte onde serene..., un lavoro che mi ha impegnato moltissimo» (Intervista di Renato Garavaglia, 1979-80, p. 245).
Le principali caratteristiche dello stile che inaugura gli anni Ottanta – manifestatosi col quartetto d’archi Fragmente - Stille, an Diotima (1979-80) – sono ora il silenzio, la pausa, il valore strutturale dello spazio, la giustapposizione di frammenti in cui i pianissimo al limite dell’impercettibile si alternano a esplosioni sonore. Sebbene questi elementi abbiano portato alcuni critici a parlare di repentine discontinuità o «svolte» – memorabile un articolo di Massimo Mila del 1988, intitolato appunto Nono, la svolta (ora in Nulla di oscuro tra noi, Milano 2010, pp. 324-333) –, è importante ricordare che questi elementi erano già presenti in nuce in diverse opere degli anni Cinquanta: silenzi e sonorità sulla soglia dell’inaudibile erano in Polifonica-Monodia-Ritmica, così come chiaroscuri dinamici e sonorità lacerate caratterizzavano Due espressioni per orchestra (1953), Il canto sospeso, La terra e la compagna (1957) o i Cori di Didone. In aperta contraddizione con interpretazioni tecniche o stilistiche che procedono per decenni, nella totalità dell’arco creativo di Nono si può rintracciare il filo di uno sviluppo continuo, di un’incessante elaborazione di elementi messi al servizio di un’idea sonora immaginifica e, talvolta, confinante con l’utopia.
I mutamenti politici e sociali, la consapevolezza della progressiva perdita di un soggetto collettivo e dell’illusorietà di una rivoluzione sociale si palesano nelle scelte testuali delle opere degli anni Ottanta, in cui risulta evidente l’influsso di Cacciari. Hölderlin, Rilke, Musil, la mistica ebraica, Walter Benjamin, Edmond Jabès, Giordano Bruno, Nietzsche, il pensiero della tragedia e della mitologia greca: questi gli autori o i testi rielaborati da Cacciari per Das atmende Klarsein (1981), Quando stanno morendo - Diario polacco n. 2 (1981), Guai ai gelidi mostri (1983), tutti brani intesi come studi ‘verso’ il Prometeo. A questi nuovi stimoli letterari si affiancarono le risorse tecniche offerte dagli strumenti di trasformazione del suono in tempo reale (live electronics), sperimentate e approfondite in Germania nello Experimentalstudio della Fondazione Heinrich Strobel di Friburgo, frequentato da Nono dal 1980, dopo l’addio all’ormai vetusto Studio di Fonologia della RAI sancito dopo la messa a punto di Con Luigi Dallapiccola (1979).
Il pensiero sotteso alle creazioni dell’ultimo decennio – caratterizzate da un procedere per ‘scelte’ e dalle costanti trasformazioni degli eventi sonori in sede di esecuzione – ricorda l’immagine dello scultore che «nel fare la sua opera fa per forza di braccia e di percussione a consumare il marmo, od altra pietra soverchia, ch’eccede la figura che dentro a quella si rinchiude» (Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, par. 32). Questo procedere per sottrazione modellando il suono in tempo reale è evidente nel cammino che conduce al Prometeo (tra le cui tappe preliminari va annoverato anche Io, frammento dal Prometeo, 1981). Sebbene incluso tra le opere teatrali di Nono, nel Prometeo si consuma una totale scarnificazione dell’elemento scenico o narrativo: in un orizzonte sonoro in cui la ‘vista’ lascia il campo al puro ascolto, l’azione è ora nel suono, entità mobile avulsa da qualsivoglia apparato visivo e drammaturgicamente proiettata in uno spazio risonante edificato anche grazie alla struttura di legno (Arca) espressamente concepita da Renzo Piano per gli spazi della chiesa veneziana di S. Lorenzo (che ne ospitò la prima nel 1984). Sul piano dei contenuti testuali il Prometeo mirava non già a rileggere la figura mitologica quanto piuttosto ad affermare la portata ‘rivoluzionaria’ del Prometeo, intravvista nell’incessante anelito a ordini nuovi che sovvertissero i precedenti (Un’autobiografia, 1987, p. 559).
La ricerca di realtà sonore inaudite e di nuove tipologie di ascolto è alla base dell’ultima produzione di Nono, che proietta l’ideale di un’arte tanto umana quanto impegnata nelle sfere interiori dell’‘indicibi-le’ (tema centrale in quest’ultima fase, insieme a quello dell’‘utopia’). All’indomani del Prometeo, conclusasi la collaborazione con Cacciari, Nono scrisse le opere orchestrali più visionarie: A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili (1984) per orchestra a microintervalli; Caminantes… Ayacucho (1986-87); «No hay caminos. Hay que caminar»... Andrei Tarkowskij (1987). Queste pagine per grande orchestra furono affiancate da brani con organico ridotto e live electronics – tra questi i due omaggi a Boulez e Cacciari, A Pierre, dell’azzurro silenzio, inquietum (1985) e Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari (1986) – e da brani solistici con o senza trasformazione del suono in tempo reale: Post-Prae-Ludium per Donau (1988), La lontananza nostalgica utopica futura. Madrigale per più «caminantes» con Gidon Kremer (1988-89) e «Hay que caminar» sognando (1989).
La genesi e la realizzazione di queste opere era strettamente legata a singoli interpreti di fiducia – Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi, Giancarlo Schiaffini, Susanne Otto, Stefano Scodanibbio, Hans Peter Haller ecc. – spesso depositari di una volontà d’autore sempre più refrattaria ai limiti imposti dalla scrittura musicale tradizionale.
Negli ultimi anni di vita Nono intensificò i rapporti con la Germania, vivendone dall’interno le fasi che precedettero la caduta del Muro di Berlino. Altri viaggi decisivi per la genesi di alcune opere furono condotti in Spagna: proprio a Toledo, nel 1985, lesse sul muro di un convento la parafrasi di un verso di Antonio Machado – «Caminantes: no hay caminos, hay que caminar» – fonte d’ispirazione per il ciclo dei Caminantes che chiude il suo catalogo. Nel 1986-87 soggiornò per un lungo periodo a Berlino grazie a una borsa del DAAD (Deutscher Akademischer Austauschdienst); nel 1987-88 fu membro del Wissenschaftskolleg zu Berlin; nel marzo 1990 vinse il Grosser Kunstpreis Berlin, importante onorificenza conferita annualmente dalla Akademie der Künste a personalità di spicco in campo artistico.
Gravemente ammalato di una disfunzione epatica, morì a Venezia due mesi dopo, l’8 maggio 1990, nella dimora natale alle Zattere.
Oltre alle opere citate nel testo, il catalogo di Nono comprende: Composizione per orchestra (1951); tre Epitaffi per Federico García Lorca (1951-53; testi di García Lorca e Pablo Neruda); Der rote Mantel, balletto in tre quadri di Tatjana Gsovsky dal Don Perlimplin di García Lorca (1954); Liebeslied (1954; testo dell’autore); Varianti, musica per violino solo, archi e legni (1957); Sarà dolce tacere (1960; Cesare Pavese); «Ha venido». Canciones para Silvia (1960; Machado); Canti di vita e d’amore. Sul Ponte di Hiroshima (1962; Günther Anders, Jesús López Pacheco, Pavese); Canciones a Guiomar (1963; Machado); Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz (1966); Per Bastiana – Tai-Yang Cheng (1967); Musica-Manifesto n. 1: Un volto, del mare (Pavese) e Non consumiamo Marx (testi documentari; 1969); Ein Gespenst geht um in der Welt (1971; Karl Marx, Celia Sánchez, Haydée Santamaría); Für Paul Dessau (1974); ¿Donde estás, hermano? (1982); Omaggio a György Kurtág (1983, versione definitiva 1986).
La quasi totalità degli scritti teorici e delle interviste è in Luigi Nono. Scritti e colloqui, a cura di A.I. De Benedictis - V. Rizzardi, I-II, Milano 2001; da questa edizione sono stati citati: Lo sviluppo della tecnica seriale (1957), I, pp. 19-41; Composizione per orchestra n. 2 - Diario polacco ’58 (1960), pp. 433-436; Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale (1962), pp. 118-131; Il musicista nella fabbrica (1966), pp. 206-209; Contrappunto dialettico alla mente (1968), pp. 463-465; Duo con Luigi Nono. Intervista di Martine Cadieu (1961), II, pp. 3-6; Intervista di Renato Garavaglia (1979-80), pp. 235-248; Un’autobiografia dell’autore raccontata da Enzo Restagno (1987), pp. 477-568. Una selezione degli scritti più importanti è in Luigi Nono. La nostalgia del futuro, a cura di A.I. De Benedictis - V. Rizzardi, Milano 2007.
Fonti e Bibl.: I manoscritti e la biblioteca di Nono sono depositati nella Fondazione Archivio Luigi Nono ONLUS, Venezia. L. N. Texte. Studien zu seiner Musik, a cura di J. Stenzl, Zürich 1975; L. N., a cura di E. Restagno, Torino 1987; E. Schaller, Klang und Zahl. L. N. Serielles Komponieren zwischen 1955 und 1959, Saarbrücken 1997; S. Drees, Architektur und Fragment. Studien zu späten Kompositionen Luigi Nonos, Saarbrücken 1998; J. Stenzl, L. N., Reinbek 1998; La nuova ricerca sull’opera di L. N., a cura di G. Borio - G. Morelli - V. Rizzardi, Firenze 1999; S. Drees, L. N., in Komponisten der Gegenwart, a cura di H.-W. Heister - W.-W. Sparrer, VI, München 1999 e 2006 (con ampia bibliografia); G. Borio, L. N., in The new Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), XVIII, pp. 24-28; Archivio L. N. Le musiche degli anni Cinquanta, a cura di G. Borio - G. Morelli - V. Rizzardi, Firenze 2004; Gli anni giovanili di L. N. Tre relazioni dal Convegno L. N. Musica e impegno politico nel secondo Novecento, a cura di A.C. Pellegrini (Venezia 2004): http://static.luiginono.it/atti-convegno-2004/convegno04.html; J. Stenzl, L. N., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XII, 2004, coll. 1154-1171; M. Ramazzotti, L. N., Palermo 2007 (con ampia bibliografia); L. N. Carteggi concernenti politica, cultura e Partito Comunista italiano, a cura di A. Trudu, Firenze 2007; M. Mila - L. Nono, Nulla di oscuro tra noi. Lettere 1952-1988, a cura di A.I. De Benedictis - V. Rizzardi, Milano 2010; Presenza storica di L. N., a cura di A.I. De Benedictis, Lucca 2011.