PAMPALONI, Luigi
PAMPALONI, Luigi. – Nacque a Firenze, nella parrocchia di S. Lorenzo, il 7 ottobre 1791 da Antonio, modesto negoziante di generi coloniali, e Maddalena Cocchi, terzogenito dopo Francesco (nato da un precedente matrimonio del padre) e Giovanni, architetto-agrimensore.
Nel 1806 frequentò i corsi di disegno tenuti da Giuseppe Piattoli presso l’Accademia di belle arti di Firenze e si dedicò allo studio di John Flaxman e della pittura fiorentina del Cinquecento. Dopo un tirocinio presso il fratello Francesco, scultore e formatore a Pisa, con il quale apprese la tecnica di lavorazione dell’alabastro, intorno al 1810-11 la sua educazione artistica proseguì presso l’Accademia di belle arti di Carrara, in un ambiente animato dal mecenatismo di Elisa Baciocchi. Qui frequentò la scuola di scultura di Lorenzo Bartolini e quella di disegno sotto la guida del francese Fréderic Jean-Baptiste Desmarais partecipando, nel 1811, ai concorsi di disegno e di scultura. Nel 1812, in seguito alla morte di entrambi i fratelli e alle difficoltà economiche della famiglia, dovette rientrare a Firenze dove proseguì il suo tirocinio accademico, prima sotto la guida di Francesco Carradori e, a partire dal 1821, di Stefano Ricci, mentre contemporaneamente frequentava il privato atelier di Lorenzo Bartolini. Presso quest’ultimo egli svolse l’attività di scultore commerciale fornendo piccole statue da salotto. Tra queste, nel 1815, la riproduzione in alabastro del Narciso conservato agli Uffizi (Archivio storico delle Gallerie fiorentine [ASGF], Affari, 1815, filza XXXIX, ins. 39, lettera di Pietro Benvenuti a Giovanni degli Alessandri del 10 maggio 1815) e, nel 1819, un vaso istoriato con Ulisse combatte i Proci (Missirini, 1882, p. 12).
Nel corso del tirocinio accademico, nella primavera del 1812, ottenne il premio maggiore con un bassorilievo, oggi perduto, raffigurante Teti che consegna ad Achille che piange la morte di Patroclo le armi divine (Archivio Accademia di belle arti di Firenze [ABAF], filza 1811-12, ins. 47); nel settembre dello stesso anno presentò al concorso accademico una statua «di mezzana grandezza» raffigurante il Mercurio del Giambologna (Ibid., filza 1811-12, ins. 70) e, al concorso triennale del 1819, vinse il primo premio con un bassorilievo in gesso di invenzione, raffigurante Achille condotto dal centauro Chirone da Peleo suo padre ch’è per muovere cogli altri Argonauti all’impresa del vello d’oro (Firenze, Accademia di belle arti, depositi). Lodato per «uno stile che si avvicinava alle massime degli antichi Greci» (ABAF, filza 1819, ins. 25), e per la bellezza della figura di Ercole, il rilievo è la prima opera esistente dello scultore.
Fin dai primi decenni del secolo, godette della benevolenza granducale e ottenne diverse commissioni per l’esecuzione di stucchi decorativi nelle residenze lorenesi.
Nel 1817, quando era ancora allievo di Bartolini, partecipò all’ornamentazione plastica della nuova cappella della villa del Poggio Imperiale, con un bassorilievo raffigurante il Vello di Gedeone; nel 1822 lavorò accanto a Giuseppe Spedolo al piano nobile della stessa villa, con due bassorilievi raffiguranti la Primavera e l’Estate, impreziositi da cornici di ghirlande, pigne, frutti e foglie selvatiche, di stile neoquattrocentesco, nei rimandi a Ghiberti e al Verrocchio. Intorno al 1820, sotto la direzione dell’architetto di corte Giuseppe Cacialli e a fianco dell’ornatista Vincenzo Marinelli e dello scultore Domenico Bernardini, partecipò alla decorazione plastica della sala dell’Iliade, a palazzo Pitti, composta, nella volta e lungo le pareti, da medaglioni in stucco bianco e dorato raffiguranti, entro clipei, Ritratti della famiglia Lorena, Eroi greci, Satiri, aquile, scimmie, cigni, cigni, teste di leone, ippogrifi e rilievi esagonali con Storie di Giove.
Nel 1820 sposò Carolina Donzelli. Raggiunse la notorietà nell’autunno del 1826, quando espose nelle sale dell’Accademia un Fanciullo in preghiera genuflesso sopra un cuscino, concepito in pendant con una Figura di bambina distesa, a formare un monumento funebre ordinatogli da un nobile signore polacco. Le due statue ebbero poi una fortuna autonoma, e furono ripetute un numero consistente di volte (Pontani, 1839, p. 5). In questo stesso anno ottenne l’incarico di eseguire tre Naiadi per la fontana di piazza Farinata degli Uberti a Empoli, disegnata dall’architetto Giuseppe Martelli, la cui lavorazione, che vide coinvolti anche Luigi e Ottavio Giovannozzi, si protrasse fino all’estate del 1828. Nel dicembre del 1826 l’Opera di S. Maria del Fiore gli affidò l’incarico di decorare le due nicchie sulla facciata del nuovo palazzo dei Canonici, posto lungo il fianco meridionale del duomo, con le statue di «Arnolfo di Lapo» e di «Filippo di ser Brunellesco», già previste ambedue sedute, secondo il progetto fornito dall’architetto dell’Opera Gaetano Baccani, autore del nuovo edificio (Archivio Opera S. Maria del Fiore, s. XI, Deliberazioni, filza 1, ins. 1, 6 dicembre 1826; Ibid., Negozi, filza 6, ins. 1, lettera dell’Uffizio della Deputazione al sovrano del 30 gennaio 1830).
I due modelli in gesso, tradotti in marmo, furono collocati nella posizione loro destinata fin dal 23 giugno 1830 e la critica elogiò lo scultore «per aver saputo cogliere l’indole dei due architetti», adattandola alle differenti epoche in cui vissero (Tommaseo, 1857).
Sempre nell’ambito della scultura celebrativa, gli fu affidata l’esecuzione del Monumento a Pietro Leopoldo in piazza S. Caterina a Pisa, nel quale la figura del granduca è rappresentata in atteggiamento di pacifico legislatore, abbigliato all’antica e coronato con una ghirlanda d’ulivo. Fin dal 1836 aveva preso parte alla decorazione del loggiato degli Uffizi, realizzando la statua di Leonardo da Vinci che fu inaugurata solo alcuni anni dopo, il 24 giugno del 1842.
Lo scultore si attenne scrupolosamente al presunto Autoritratto dell’artista conservato agli Uffizi, per esprimerne la bellezza austera, «resa veneranda dalla prolissa barba» (A.M. Izunnia [Numa Pompilio Tanzini], Quattro statue d’uomini illustri, in Giornale del commercio, 29 giugno 1842, p. 103).
Nuovamente impegnato sul versante della scultura monumentale, nel 1843 portò a compimento il Monumento a Leopoldo II inaugurato in quell’anno nella piazza Bonaparte di San Miniato al Tedesco.
Fin dal maggio del 1840 fu coinvolto in un’impresa a decorativa di alto valore civico, promossa dal granduca Leopoldo II: la decorazione della tribuna del Regio Museo delle scienze, per la quale eseguì il medaglione con il ritratto di Lorenzo Magalotti, uno dei dieci accademici del Cimento e il busto di Pietro Leopoldo, celebrato per il suo impegno nella fondazione delle principali istituzioni scientifiche cittadine.
Ciò che caratterizza il linguaggio di Pampaloni, come ricordava il suo principale biografo, Melchiorre Missirini (1882), è l’estrema duttilità mostrata nel saper alternare il registro grave e severo, più appropriato a uno stile monumentale, a quello leggiadro e gentile, confacente a soggetti di minor impegno, una caratteristica che gli valse l’appellativo di «Anacreonte della scultura» (Emiliani-Giudici, 1859, p. 42).
Fra le principali opere appartenenti a questo secondo genere, si ricordano: del 1827 per un collezionista inglese, un Fanciullo che scherza con un cane (Firenze, Galleria dell’Accademia, gesso; marmo in collezione privata a Edimburgo), elogiato dalla critica per la «la gentilezza, la verità e l’espressione» (I. e R. Accademia di belle arti di Firenze, in Gazzettadi Firenze, 30 ottobre 1827); del 1831 una Fanciulla con le tortorelle, o l’Innocenza, replicata più volte e della quale il granduca ordinò la traduzione in marmo collocata in un primo tempo nella sala della Stufa di palazzo Pitti e in seguito (1834) inviata a Vienna, come dono per il principe Klemens von Metternich (le uniche due versioni marmoree finora note si trovano a Torino, nel palazzo Falletti di Barolo e a Parigi, presso il Musée Jacquemart-André); Amore che getta insidie, presentata all’annuale mostra accademica del 1833.
Di quest’opera, commissionata dal marchese Cosimo de’ Conti, principe di Trevignano, esiste una notevole versione in marmo presso palazzo Cresci-Compagni, a Firenze, identificabile forse proprio con quella realizzata per l’architetto Luigi Cambray Digny il quale ne aveva fatto dono all’amico comune Melchiorre Missirini, insieme a un basamento in marmo di Pietrasanta da lui stesso disegnato.
Al 1834 risale la Cloe (Firenze, Galleria dell’Accademia, salone dell’Ottocento), tradotta in marmo su incarico di Missirini, il quale nel 1837 pubblicò un lungo articolo (La Cloe statua di L. P., in Giornale del commercio, 10 agosto 1837, pp. 195 s.), che ne descriveva l’iconografia, ispirata alle Bucoliche virgiliane e ne lodava il significato morale.
Nel 1835, dopo aver eseguito, sulla scorta del prototipo canoviano, una Venere che entra nel mare inviata in America (Missirini, 1882, p. 22) e oggi ammirabile in una versione in gesso patinato (Firenze, Accademia di belle arti), realizzò il Monumento funebre a Lazzaro Papi, collocato nella chiesa di S. Frediano a Lucca. Del 1838 è il Monumento funebre di Virginia de Blasis, soprano marsigliese, collocato in S. Croce a Firenze.
La giovane defunta è raffigurata inginocchio, le mani raccolte al petto, lo sguardo rivolto al cielo, come se intonasse la celebre aria della Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini, incisa negli spartiti ai suoi piedi. Secondo la critica del tempo, il monumento rappresentava un modello eccellente di «scultura cristiana», sia per il significato morale, sia per la totale assenza delle usuali «personificazioni di esseri mitici [...] geni piangenti, muse o false deità» (A. Zobi, Monumento sepolcrale della contessa Krasinski, in Giornale del commercio, 30 ottobre 1839, p. 174).
Nel 1839 portò a termine il Monumento a Maria Radzville Krasinski (Opinogóra, Ciechanów, chiesa parrocchiale) e la Tomba di Wanda Wankowicz, concepita dallo scultore in pendant con quella dedicata al figlio Micha Tyskievicz, morto a pochi giorni dalla nascita (Czerwony Dwór, parrocchiale).
La fama internazionale ormai raggiunta, gli permise di ottenere due importanti commissioni, entrambe per la famiglia Bonaparte: nel 1846 terminò il Monumento a Luciano Bonaparte principe di Canino (Viterbo, chiesa dei Ss. Giovanni e Andrea) affidatogli alcuni anni prima dalla seconda moglie, Alexandrine de Bleschamp, nel quale il principe è raffigurato sul letto in attitudine benedicente, circondato dalla moglie e dalle figure allegoriche dell’Ambizione e dell’Opinione; nel 1847 concluse la Stele di Giulia Clary Bonaparte, nella cappella Giugni, poi denominata Bonaparte, in S. Croce, nel quale la defunta è ricordata attraverso un bassorilievo impersonante l’allegoria della Beneficenza.
Nel periodo della piena maturità si dedicò a temi di ispirazione religiosa (S. Giovannino, coll. priv.; Importanti…, 2004) o a soggetti moralmente edificanti, legati al clima filantropico proprio della Restaurazione in Toscana. In questo contesto culturale, rientra la commissione di un gruppo scultoreo intitolato gli Orfani della rupe (1838-42) ordinatogli dal mecenate pistoiese Niccolò Puccini per il giardino della sua villa di Scornio (oggi Pistoia, cappella Istituti raggruppati).
Nel 1847 si ispirò ancora una volta ad Antonio Canova per eseguire una Maddalena penitente, il cui modello in gesso si trova presso la Gipsoteca della Galleria dell’Accademia.
Morì a Firenze il 17 dicembre 1847. I suoi funerali furono celebrati con una cerimonia pubblica che si concluse nella chiesa di S. Croce, dove ebbe sepoltura.
Nel 1890 la figlia, Giuseppa Pampaloni Pontani, cedette ai Musei e alle Gallerie fiorentine i modelli originali in gesso rimasti invenduti nell’atelier paterno. Essi furono collocati assieme ai gessi di Lorenzo Bartolini e di Giovanni Dupré in deposito presso l’ex convento di Foligno, già sede del Museo egizio etrusco, poi a S. Salvi, da dove, in seguito ai danni causati dall’alluvione del 1966, furono trasferiti nella Gipsoteca della Galleria dell’Accademia, nella quale si trovano tuttora esposti.
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti citate nel testo, v.: Firenze, Archivio dell’Opera del duomo, Registro battesimi, maschi, a. 1791, n. 3292; C. Pontani, Delle opere del sig. L. P., in Tiberino, n. 49, Roma 1839 (estratto); P. Emiliani-Giudici, Correspondance particulière (Correspondance de Florence le sculpteur L. P.), in Gazette des beaux-arts, 1859, n. 2, pp. 40-46; N. Tommaseo, Statue di Arnolfo di Lapo e di Filippo Brunelleschi, in Bellezza e civiltà o delle arti del bello sensibile, Firenze 1857, pp. 287- 293; M. Missirini Memorie della vita e sui lavori dello insigne scultore fiorentino L. P. Firenze 1882; A. Caputo Calloud, Note su L. P., in Ricerche di storia dell’arte, 1981, nn. 13-14, pp. 57-69; A. Caputo Calloud, Niccolò Puccini, L. P. e gli Orfani sulla rupe. Cronistoria e significati romantici, ibid., 1984, n. 23, pp. 93-103; Importanti mobili e oggetti d’arte provenienti dalle gallerie antiquarie di Mario e Roberto Parenza e altre committenze private (catal.), Roma 2004, p. 108, n. 195; E. Marconi, L. P. (Firenze 1791-1847). Temi e significato delle sue opere, tesi di dottorato, Università degli studi di Firenze, 2007; Id., L. P. e la decorazione in stucco a Firenze al tempo di Ferdinando III e Leopoldo II di Lorena, in Artista, 2009, pp. 156-173.