PEPE DIAZ, Luigi
PEPE DIAZ, Luigi. – Nacque a Napoli il 25 settembre 1909 da Augusto Pepe e Flora Diaz. La madre, di origine spagnola e maestra elementare come il padre, era cugina di Armando Diaz. Il cognome Pepe Diaz trovò origine, con la nascita di Luigi, da un errore dell’Ufficio anagrafe del Comune di Napoli.
Dopo gli studi classici, che non portò a termine, frequentò sedicenne lo studio di Vincenzo Gemito, sotto il cui magistero si formò come disegnatore e scultore. Dette presto prova del suo talento, e nel 1927 esordì all’Esposizione internazionale d’arte di Conegliano Veneto.
Giovanissimo strinse amicizia con l’avvocato e pittore comunista Antonio De Ambrosio e fu in contatto con Guglielmo Peirce e Paolo Ricci, anch’essi all’inizio del loro percorso artistico e già politicamente impegnati. Contestualmente aveva conosciuto anche Carlo Cocchia, Mario Lepore e Gildo De Rosa. Con gli ultimi due divise a lungo lo studio.
Sin dal 1928 frequentò l’ambiente antifascista campano e partecipò attivamente al clima di rinnovamento artistico locale, entrando in contatto con i circoli letterari e artistici della città e aderendo prontamente al circumvisionismo, movimento d’artisti napoletani d’avanguardia appoggiato da Filippo Tommaso Marinetti e fondato da De Ambrosio, Cocchia e Peirce in quell’anno. L’adesione al circumvisionismo, cui era accomunato da una profonda ansia di sperimentazione, da un forte desiderio di ribellione nei confronti del sistema ufficiale delle arti e dall’urgenza di volgere lo sguardo all’Europa, in particolare alla Francia, lo condusse rapidamente a una certa visibilità.
Dal gennaio del 1929 Pepe Diaz espose con i circumvisionisti nelle principali gallerie italiane del tempo, e in particolare fu presente all’esposizione «Futurismo. Terza mostra degli artisti circumvisionisti», voluta da Anton Giulio Bragaglia e presentata presso il teatro degli Indipendenti di Roma (gennaio); partecipò alla mostra organizzata al salone del Giornale dell’arte di Milano e inaugurata da Marinetti (aprile); fu invitato alla rassegna dal titolo «Trentatré futuristi», tenutasi alla galleria Pesaro, sempre a Milano (ottobre); ancora con i circumvisionisti prese parte alle Sindacali campane (prima e seconda edizione). Nello stesso 1929 fu commissario, con Marinetti, per la sala futurista della III Mostra marinara d’arte, allestita a Roma al palazzo delle Esposizioni. In quell’occasione, premiato con una medaglia dal ministero della Guerra, presentò un grande trittico dal titolo Pezzi di corazzata (1929, disperso; De Rosa, 2012, p. 311). Sempre con il movimento d’avanguardia napoletano fu invitato nel 1930 alla XVII Biennale di Venezia e nel 1931 alla I Quadriennale di Roma.
Nel volgere di poco tempo, mentre intesseva rapporti con l’ambiente futurista italiano e iniziava a scrivere su alcune riviste come Oggi e Domani, le sue opere varcarono i confini italiani: nel 1932 fu presentato a Parigi (Société des artistes indépendants) e a Londra (Bloomsbury gallery).
Indicato da Gerardo Dottori come «il primo, dopo Boccioni e qualche tentativo cubista di Prampolini, che oggi in Italia si slancia verso le nuove mete della scultura» (1929, p. 21, ora in Vergine, 1971, pp. 77 s.), Pepe Diaz si contraddistinse subito per la vocazione sperimentale delle sue sculture e dei suoi dipinti e si inserì precocemente nella corrente del cosiddetto neo-boccionismo, come dimostrano i ritratti dinamici dedicati a Lepore e a Luca Giacometti (1928; dispersi, D’Ambrosio, 1996a, pp. 305 s., 454; a tale testo si rimanda per le riproduzioni delle opere citate, ove non diversamente indicato) e opere come Velocità in curva (1929, dispersa), nelle quali si cimentò nella scultura come forma continua nello spazio, che si sviluppa e deforma. Spesso accostato anche a Mino Rosso e Thayaht (Prampolini, 1930) – dalla cui «poderosità […e] retorica celebrativa» rimase tuttavia estraneo (Trione, 2000, p. 345) – approdò a soluzioni plastiche che ricordano Archipenko, Jacques Lipchitz e Henri Laurens. Sull’esempio di questi ultimi costruì opere, oggi tutte disperse, come Donna 1929 (1929), Il carico e Il bacio (1930), che «accolgono al proprio interno incidenti minimi e vedute laterali, volte a produrre […] una convulsa agitazione», finché uno spostamento del centro prospettico «trasforma le situazioni meccaniche in situazioni dinamiche» (Trione, 2000, p. 345). Tale dinamismo lo condusse in pittura al neocubismo e a soluzioni che richiamavano Braque e Matisse (si veda per es. Balletto e Invitation au voyage. Omaggio a Charles Baudelaire; 1932, coll. priv.), pur non mancando suggestioni provenienti dalla metafisica e dalla fantascienza, come in Aurora lunare (1930, dispersa).
Nonostante il febbrile impegno sul fronte artistico, dopo una lunga serie di fermi e arresti, nel 1935 Pepe Diaz fu inserito nel novero dei sovversivi del Casellario politico centrale, come comunista. In quello stesso anno, espatriato, fu iscritto in Rubrica di frontiera per attività antifascista.
Si trasferì in Svizzera, dove lavorò come decoratore; successivamente riuscì a raggiungere la Francia, soggiornando ad Annemasse. Spinto dall’impegno politico e dalla volontà di confrontarsi con l’ambiente artistico parigino, sul finire del 1935 raggiunse Parigi, stabilendosi a Montparnasse. Assiduamente sorvegliato in Svizzera come in Francia, fu in contatto con ambienti antifascisti e frequentò, tra gli altri, Lionello Venturi e Giorgio Amendola. A Parigi, in particolare, fu vicino agli artisti dell’École de Paris e si accostò, soprattutto, a Roger Bissière e ad Alfred Manessier.
Inizialmente poté sostenersi realizzando disegni per parati, ma a partire dal 1936 le sue opere, soprattutto dipinti vòlti a un essenziale realismo di contenuti e forme, iniziarono a circolare in gallerie private e a essere presentate al pubblico (Salon d’Automne, Salon des Tuileries e galerie du Niveau). Entrò pure in contatto con il sindacato degli artisti italiani a Parigi ed espose nel padiglione dedicato alle mostre italiane.
Nell’estate del 1937 su Il Merlo (165, 22 agosto) uscì un suo scritto dal titolo Germania senza futurismo. Il parere dei giovani, in cui discusse il problema dell’arte degenerata e la posizione assunta da Marinetti. Invero, pur tra alterne vicende politiche, il legame con Marinetti e Bragaglia era rimasto fondamentale, e nel 1938, proprio con l’aiuto di quest’ultimo, organizzò la mostra «Artisti italiani di Parigi», tenutasi al Bragaglia Fuori Commercio – dove espose accanto a Gio Colucci, Francesco Cristofanetti, Temistocle De Vitis, Adolfo Saporetti e Gabriele Varese – presentando quattro dipinti dedicati alla guerra di Spagna (De Rosa, 2012, pp. 312 s.).
Nel 1940, durante l’occupazione di Parigi, le truppe naziste distrussero il suo studio e catturarono la compagna Brigitte Staberow, rifugiata politica, con la quale riuscì tuttavia a fuggire. Di ritorno in Italia, nel novembre 1940, fu arrestato al confine e mandato a Napoli nel carcere di Poggioreale; nel giugno del 1941 nacque la figlia Ludovica.
Uscito dal carcere, partecipò all’XI Sindacale campana e lavorò con lo pseudonimo di ‘Silvio Silvani’ come illustratore di libri e cinegiornali per bambini; fu identificato durante un censimento degli scrittori e illustratori di pubblicazioni giovanili del Minculpop.
Si riconobbero come sue opere una serie di lavori, tra cui: Missione eroica, un cinegiornale in venti puntate pubblicato nel 1942; Alla difesa di Pisa, un album per ragazzi dello stesso anno; il Mozzo, un racconto di soli disegni pure del ’42. A questi titoli, nel 1943, si aggiunsero il racconto Due italiani in India, che narrava di due prigionieri scappati da un campo di concentramento inglese in peregrinazione verso l’India, e ulteriori cinegiornali in più puntate, che intitolò L’isola degli squali, Il sommergibile, L’eroico messaggero, Lohengrin il vittorioso, Folgore e Marcia di eroi: tutti titoli che ritenne potessero evitargli le maglie della censura (De Rosa, 2012, p. 289).
Caduto il regime, nel 1944 pubblicò con l’editore Morano il romanzo E poi?, dove raccontò le sofferenze di una comunità meridionale sconvolta dalla guerra.
Subito iscritto al partito comunista, che abbandonò nel 1956 a seguito dei fatti d’Ungheria, dal 1946 si trasferì a Milano e per lungo tempo si dedicò soprattutto all’editoria e alla grafica.
Tra il 1946 e il 1947 disegnò e pubblicò una raccolta di fumetti dedicata ad Arsenio Lupin e nel 1948 fondò la casa editrice Seduzione e diede vita – anticipando anche più celebri esperienze americane – a un’omonima rivista mensile d’intrattenimento, con illustrazioni e fotografie dedicate al corpo femminile. Come prevedibile, le pagine di Seduzione furono presto censurate e si portarono a compimento solo otto numeri e un’antologia. Analoga sorte ebbe una successiva operazione editoriale che prese avvio nel 1950, anno in cui fu ideatore ed editore di un mensile, chiamato Scienza e vita sessuale, che raccolse saggi di autori italiani e stranieri di psicanalisi, di sociologia, di antropologia, di medicina e anche di teologia, che avessero come tema centrale la sessualità. Vi scrisse, tra gli altri, Dino Origlia. Dopo due anni, nel 1952, aprì un’ulteriore casa editrice, la Pepe Diaz, e pubblicò per la prima volta in Italia l’ultimo libro di Freud, Mosè e il monoteismo, con traduzione di Arrigo Ballardini e introduzione di Cesare Musatti.
Ritiratosi a vita privata – intanto, nel 1951, finita la relazione con Brigitte, aveva sposato Giuseppina Peloso – Pepe Diaz tornò a esporre nel 1967, invitato alla grande mostra dedicata all’«Arte moderna in Italia 1915-1935», tenutasi a Firenze a Palazzo Strozzi.
A seguito di tale riconoscimento, in soli tre anni, i suoi ultimi lavori, ormai orientati all’astrattismo, furono presentati alla galleria del Naviglio di Milano (1967, presentazione di Garibaldo Marussi), al Museo civico di Bormio (1967, presentazione di Garibaldo Marussi e Mario Lepore), alla galleria Il Bilico di Roma (1968, presentazione di Mario Valsecchi) e alla galerie Jeanne Wiebenga di Losanna (1969).
Sul finire degli anni Sessanta riprese a dipingere con costanza e provò a far uscire la sua arte dai circuiti ufficiali, programmando mostre all’interno delle fabbriche; contestualmente iniziò a raccogliere testimonianze di quanti avevano partecipato ai movimenti più rivoluzionari dell’arte a Napoli tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, al fine di pubblicare un libro dedicato all’esperienza circumvisionista con l’editore Scheiwiller.
Morì a Milano il 12 febbraio 1970, investito da un’automobile.
Fonti e Bibl.: G. Dottori, Futuristi circumvisionisti, in suppl. a Vesuvio, 17 (1929), p. 21; A. Lancellotti, Pittori e scultori alla Mostra marinara d’arte, in Il Mezzogiorno, 20 novembre 1929; L. P. D., Scultura e Futurismo, in Oggi e Domani, 1° febbraio 1930; E. Prampolini, I futuristi alla XVII Biennale veneziana, in L’Impero, 18 maggio 1930; E. Crispolti, Il mito della macchina e altri temi del Futurismo, Trapani 1971, pp. 687 s.; Napoli 1925/1933 (catal.), a cura di L. Vergine, Napoli 1971; P. Ricci, Arte e artisti a Napoli, 1800-1943. Cronache e memorie, Napoli 1981, pp. 162-174; Capri: 1905-1940. Frammenti postumi (catal., Anacapri), a cura di L. Vergine, Milano 1983, pp. 162-169; U. Piscopo, Futuristi a Napoli. Una mappa da riconoscere, Napoli 1983; M. D’Ambrosio, Emilio Buccafusca e il futurismo a Napoli negli anni Trenta, Napoli 1991; Il futurismo a Napoli. Atti del convegno… 1990, a cura di M. D’Ambrosio, Napoli 1995; M. D’Ambrosio, I Circumvisionisti. Un’avanguardia napoletana, Napoli 1996a; Id., Napoli e la Campania, in Futurismo e Meridione (catal.), a cura di E. Crispolti, Napoli 1996b, pp. 300-346; Arte a Napoli dal 1920 al 1945. Gli anni difficili (catal.), a cura di M. Picone Petrusa, Napoli 2000 (in partic. M. D’Ambrosio, Futurismo e Circumvisionismo, pp. 47-51; V. Trione, L. P. D., pp. 344 s.); D. Di Nardo, L. P. D., in M. Picone Petrusa, La pittura napoletana del ’900, Sorrento 2005, pp. 507 s.; M. D’Ambrosio, I circumvisionisti napoletani alla I Quadriennale, in I futuristi e le Quadriennali, Milano 2008, pp. 70 s.; Paolo Ricci (catal.), a cura di M. Franco - D. Ricci, Napoli 2008, pp. 5-7; M. Picone Petrusa, L’arte a Napoli nella prima metà del Novecento, in 9cento. Napoli 1910-1980. Per un museo in progress, a cura di N. Spinosa - A. Tecce, Napoli 2010, pp. 39 s.; F. De Rosa, Il sistema delle arti a Napoli durante il ventennio fascista. Stato e territorio, Napoli 2012, pp. 283-290 e passim.
Si ringrazia, per le notizie relative alla biografia di Pepe Diaz, la figlia Ludovica.