PERSICO, Luigi
– Primogenito di Carmine, merciaio, e di Maria Del Giudice, nonché fratello del pittore Gennaro, con cui talvolta è stato confuso, nacque a Napoli nell’ultimo decennio del XVIII secolo. In una fonte documentaria è indicato l’anno 1795 (Marsiglia, Archives Municipales, Section État Civil, Registre des actes de décès. An. 1860, acte n. 401), in un’altra (Vecchj, 1847, p. 146), l’anno 1798.
Cresciuto nel borgo di Due Porte, collina della città natale, nel 1806 fu messo a bottega dal pittore e restauratore Melchiorre de Gregorio, che gli insegnò i rudimenti del disegno e, nel 1808, lo incoraggiò a frequentare l’Accademia di pittura (ibid.). Lasciati gli studi, aiutò il padre nella sua attività finché non decise di cercare fortuna negli Stati Uniti raggiungendo i fratelli minori, tra i quali Gennaro, a Baltimora. Si traferì nel 1818. Nel 1819 si spostò a Lancaster (PA) (Hensel, 1912, p. 74) dove cominciò a guadagnarsi da vivere come artista, specializzandosi inizialmente nella realizzazione di ritratti in miniatura. Il trasferimento a New York, forse già nel 1820, si rivelò per lui una svolta rilevante (Vecchj, 1847, pp. 147 s.). Le richieste di ritratti e i compensi aumentarono considerevolmente, e all’artista si presentò la prima occasione di cimentarsi con la scultura. Intuita la sua abilità nel disegno, lo scultore Enrico Causici lo coinvolse nel progetto di una statua equestre di George Washington. La collaborazione ebbe un esito infelice, ma Persico ne trasse una certa perizia nel modellare. Così, nell’estate del 1824, poté far fronte a una commissione del sindaco di New York, Philip Hone: un busto colossale del generale Gilbert du Motier marchese de La Fayette da esporre nella City Hall in occasione del tour celebrativo che questi stava per intraprendere negli Stati Uniti (una versione in gesso è a Filadelfia, Library Company of Philadelphia).
Il busto di La Fayette venne anche esposto nell’Athenaeum di Filadelphia (Scharf - Westcott, II, 1884), dove Persico scelse di trasferirsi accogliendo un invito del generale. In questa città, sull’onda del successo riscosso dal ritratto, ricevette numerose commissioni di busti in gesso: fra gli altri, quello del medico Nathaniel Chapman (Filadelfia, American Philosophical Society). Esortato da quest’ultimo, Persico partecipò al concorso bandito dal governo nel 1825 per un altorilievo che doveva figurare sul frontone orientale del Campidoglio di Washington (Vecchj, 1847, pp. 148-151). Vinse il premio di 500 dollari, ma il suo modello non fu così convincente da assicurargli la sua traduzione in marmo. Fu risolutivo, a quel punto, l’intervento di John Quincy Adams, da poco eletto sesto presidente degli Stati Uniti. Adams, a cui del resto si deve una parte sostanziale del programma decorativo del Campidoglio, instradò Persico verso un’iconografia più consona e s’interessò a lui anche successivamente (Memoirs, I-XII, 1874-1877, passim; Verheyen, 1996). All’artista furono dati quattro anni di tempo e condizioni vantaggiose, fra cui una sovvenzione di 1.500 dollari l’anno. Persico, che aveva già dato prova di saper disegnare e modellare, imparò a scolpire osservando gli sgrossatori impegnati sul frontone. Il risultato finale, noto sotto il titolo Il Genio dell’America, fu scoperto nel 1829 e si presentava come un’allegoria con tre figure femminili, personificazioni dell’America fra la Giustizia e la Speranza. Nello stesso anno, Adams concluse il suo mandato ratificando la commissione all’artista per due statue raffiguranti la Pace e la Guerra sotto le sembianze di Cerere e di Marte, e posò per lui (il busto, in marmo, già alla Library of Congress di Washington, fu distrutto in un incendio nel 1851; Oliver, 1970, pp. 160-165).
Persico rientrò quindi a Napoli (Boston, Massachusetts Historical Society, The Adams Family Papers, letter 272329: Persico ad Adams, Naples 24 Sept. 1829). Le sculture appena citate furono ultimate in questa città entro il giugno 1834, quando Persico chiese di poterle esportare insieme a tre busti (Irollo, 2010, p. 143). Poco più tardi s’imbarcò insieme ad esse per gli Stati Uniti (Diplomatic relations, I, 1951, p. 565), da dove, nel marzo 1835, si diresse in Gran Bretagna (Memoirs, IX, 1876, p. 216). Le due statue gli furono pagate 20.000 dollari (Vecchj, 1847, p. 151; Fairman, 1927, pp. 76 s.) e vennero collocate nelle nicchie ai lati dell’ingresso che si apre sul prospetto orientale del Campidoglio di Washington.
In sostanza, Persico fu l’artista che lasciò l’impronta più evidente su quel prospetto. A esso furono destinate anche altre due sue sculture in marmo: le statue di Colombo e di un’Indiana, commissionategli nel 1836 e note anche come il gruppo de La scoperta dell’America. Questa volta fu James Buchanan, rappresentante della Pennsylvania al Congresso, a intercedere per lo scultore, che aveva conosciuto a Lancaster (Filadelfia, Historical Society of Pennsylvania, The Buchanan Papers, box 5, fold. 7: Persico a Buchanan, March 29, 1837; March 31, 1837; box 5, fold. 9: April 10, 1837; The works of James Buchanan, III, 1908; Hensel, 1912, pp. 79 s.; Fryd, 1989, p. 142). L’artista, intanto, aveva avuto anche occasione di ritrarre Andrew Jackson, settimo presidente degli Stati Uniti (Memoirs, IX, 1876, p. 194; il busto è a Nashville, The Hermitage, Home of the President Andrew Jackson).
A metà del 1837 Persico tornò in Europa. Probabilmente, si mise prima sulla rotta della Spagna, dove aveva intenzione di copiare un’effigie di Colombo (Fairman, 1927, p. 48), poi si diresse a Napoli, dove, grazie all’intercessione del console degli Stati Uniti, Alexander Hammett, poté accedere all’armeria privata di Ferdinando II di Borbone e studiare le armature del XV secolo in essa conservate (Archivio di Stato di Napoli [ASNa], Ministero della Pubblica Istruzione [Min. Pubbl. Istr.], b. 477 II, f. 8).
La scoperta dell’America fu spedita da Napoli nel 1843 (ASNa, Min. Pubbl. Istr., b. 399, f. 25), e fruttò al suo autore 21.000 dollari con una gratifica di 4.000 (Vecchj, 1847, p. 151). Come già nel 1834, Persico s’imbarcò sulla stessa nave su cui viaggiavano le sue opere e ritornò negli Stati Uniti (Diplomatic relations, I, 1951, pp. 556 s.). Il gruppo fu posto sul lato sinistro della scalinata della facciata orientale del Campidoglio e a fronte di esso, sull’altro lato della scalinata, fu poi collocato il gruppo de La liberazione (1851), realizzato da Horatio Greenhough.
Al principio del 1845, Persico si adoperò per ottenere la commissione di una statua equestre di George Washington, destinata alla fusione in bronzo (Washington, Smithsonian Institution, Archives of American Art, The R.C. Graham Collection, box 1, fold. 21: Persico al Committee..., Jan., 1845; Abridgment, XV, 1861, p. 188). Di questa scultura non si hanno ulteriori notizie e anzi, nello stesso anno, Persico è attestato in Gran Bretagna, prima a Liverpool e poi a Londra (Vecchj, 1847, p. 151).
L’artista rientrò a Napoli durante l’estate del 1847, allorché stava per intraprendere un’opera non meglio precisata per «una grande nazione europea» (ibid.). Fu allora che il ministro degli Interni del Regno delle Due Sicilie, Nicola Santangelo, concesse a Persico di servirsi di un locale del Real Museo Borbonico (ASNa, Min. Pubbl. Istr., b. 344, f. 7; Archivio storico della Soprintendenza archeologica di Napoli [ASSAN], I A3.8). L’artista lo ottenne per un uso temporaneo e anche in ragione della fama che aveva raggiunto, ma verosimilmente non smise mai di servirsene come studio (ASSAN, XIX A2 33.5).
I moti rivoluzionari del 1848 spinsero le istituzioni napoletane verso una stagione di riforme, e nel 1849 Persico partecipò ai lavori della commissione istituita per l’ordinamento dell’Istituto di belle arti (Irollo, 2010, p. 157), di cui era già socio corrispondente.
Negli anni Cinquanta, le sue energie furono assorbite soprattutto da due opere monumentali: una statua di Francesco I di Borbone e una statua raffigurante la Religione. La prima faceva parte di un insieme di quattro sculture celebrative della famiglia regnante poste nel 1855 nel foro Borbonico di Palermo (poi foro Italico) in sostituzione di quelle che erano state distrutte durante i moti del 1848 (Amico, II, 1856; Irollo, 2011, pp. 294 s.). Pagate 7.500 ducati ciascuna, le statue furono divelte a loro volta nel 1860, quando la Sicilia fu coinvolta nel processo di unificazione della Penisola. Mentre Persico realizzò il Francesco I, Gennaro Calì il Carlo III, Antonio Calì il Ferdinando I, e Tito Angelini il Ferdinando II.
Nel 1853 questi quattro artisti, dopo essersi recati a Palermo, sono attestati a Messina, città in cui avrebbero tutti ambito eseguire la statua di Ferdinando II in sostituzione di quella realizzata da Pietro Tenerani e andata distrutta durante i suddetti moti (Fiorito, 2011, pp. 330, 528); ma la commissione fu data allo stesso scultore carrarese. Interessatosi in quest’occasione alla formazione degli artisti locali, Persico fece poi pervenire presso le Scuole di disegno e di pittura dell’Università di Messina, dirette da Michele Panebianco, alcune copie in gesso di statue antiche (Parole dell’Intendente, 1854; La scultura a Messina, 1997).
La statua della Religione, invece, era destinata ad essere collocata al centro della scalinata monumentale che conduce alla chiesa di S. Francesco d’Assisi a Gaeta, in quel periodo il principale cantiere decorativo del Regno delle Due Sicilie. Presumibilmente, la scultura fu posta in situ nel 1858, anno in cui l’edificio venne completato.
Persico morì, celibe, a Marsiglia il 14 maggio 1860 (Marsiglia, Arch. Municip., Sec. État Civil, Registre… 1860, cit.). Stava per compiere o aveva appena ultimato un soggiorno di sei mesi in Spagna (ASSAN, XIX A2 33.5); le ragioni sono ancora da indagare, come del resto quelle dei suoi precedenti soggiorni in Gran Bretagna.
Quasi un secolo dopo la sua morte, il gruppo de La scoperta dell’America, che Persico aveva realizzato per il Campidoglio di Washington, divenne un caso politico. Per la sua iconografia, insieme al gruppo de La liberazione scolpito da Greenhough, si era prestato sin dalla collocazione in situ alle interpretazioni politiche di quanti erano favorevoli all’espansione degli Stati Uniti verso Ovest. Nel 1958, tutte le sculture del prospetto orientale del Campidoglio furono rimosse in occasione dei lavori per l’ampliamento di quest’ultimo; Il Genio dell’America e le statue della Pace e della Guerra, a causa del loro stato di conservazione, vennero poi sostituiti da copie; i gruppi de La scoperta dell’America e de La liberazione, invece, non furono rimpiazzati. Alcuni membri del Congresso, infatti, si adoperarono per la loro definitiva rimozione, da lungo tempo richiesta dai nativi americani, perché i soggetti apparivano offensivi (Fryd, 1987, 1997).
Fonti e Bibl.: per le notizie biografiche su Luigi Persico fino al rientro in Italia nel 1847, il testo più ricco e attendibile è C.A. Vecchj, L. P., in Museo scientifico, letterario ed artistico, IX (1847), 7, pp. 145-152. Per riscontri e altre notizie, occorre far ricorso soprattutto a fonti a stampa e a bibliografia moderna in lingua inglese, che sulle opere per il Campidoglio di Washington si rivelano cospicue (un censimento è in Washington D.C., Architect of the Capitol, Curator’s Art and Reference file Persico, Luigi).
Vedi inoltre: Parole dell’intendente della Provincia di Messina al Consiglio provinciale, Messina 1854, pp. 11 s.; V.M. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, II, Palermo 1856, p. 295; Abridgment of the debates of Congress, from 1789 to 1856, I-XV, New York 1857-1861, passim; Memoirs of John Quincy Adams, a cura di C.F. Adams, I-XII, Philadelphia 1874-1877, passim; J.T. Scharf - T. Westcott, History of Philadelphia. 1609-1884, II, Philadelphia 1884, p. 1067; The works of James Buchanan, a cura di J. Bassett Moore, III, Philadelphia - London 1908, pp. 56-59; W.U. Hensel, An Italian artist in Old Lancaster. L. P. - 1820, in Historical papers and addresses of the Lancaster County Historical Society, XVI (1912), pp. 67-101; C.F. Fairman, Art and artists of the Capitol of the United States of America, Washington 1927, pp. 47-49, 68 s., 75-78, 108 s.; Diplomatic relations between the United States and the Kingdom of Two Sicilies, a cura di H.R. Marraro, I, New York 1951, pp. 6, 430, 529 s., 541 s., 552, 554, 556 s., 563-565, 569; A. Oliver, Portraits of John Quincy Adams and his wife, Cambridge 1970, pp. 2, 160-165, 195; The Architect of the Capitol, Art in the United States Capitol (1976), Washington 1978, pp. 353, 356, 361, 413; V.G. Fryd, Two U.S. Capitol statues: Horatio Greenough’s Rescue and Luigi Persico’s Discovery of America (1987), in Critical Issues in American art, a cura di M.A. Calo, New York 1997, pp. 93-108; Ead., The Italian presence in the United States Capitol, in The Italian presence in American art. 1760-1860, a cura di I. Jaffe, New York-Rome 1989, pp. 132-149; Ead., Art and Empire. The politics of ethnicity in the U.S. Capitol, 1815-1860 (1992), Athens, OH, 2001, passim ; E. Verheyen, “Unenlightened by a Single Ray from Antiquity”: John Quincy Adams and the design of the pediment for the United States Capitol, in Internation Journal of the classical tradition, Fall 1996, vol. 3, n. 2, pp. 208-231; La scultura a Messina nell’Ottocento (catal.), a cura di L. Paladino, Messina 1997, p. 38; A. Irollo, Gli artisti, il mercato, le mostre, Roma 2010, pp. 64, 143 s., 157; V. Fiorito, Saro Zagari, Giuseppe Prinzi e la scultura in Sicilia dal Neoclassicismo al Realismo, tesi di dottorato in Scienze archeologiche e storico-artistiche, Università degli studi di Napoli Federico II, a. 2011, pp. 12, 330, 528; A. Irollo, Il mecenatismo dei Borbone dopo il 1848, in G. Capitelli, Il mecenatismo pontificio e borbonico alla vigilia dell’Unità, Roma 2011, pp. 285-297.