PIANCIANI, Luigi
PIANCIANI, Luigi. – Nacque a Roma il 9 agosto 1810, primogenito di Vincenzo e di Amalia Ruspoli, figlia del principe Ruspoli di Cerveteri.
Discendente da una famiglia patrizia di origine spoletina, legata alla Curia romana, il padre entrò giovanissimo nell’amministrazione pontificia, ricoprendo a lungo il ruolo di direttore generale del bollo, registro, ipoteche e tasse riunite. Eletto consigliere comunale sia a Spoleto che a Roma, nella capitale pontificia fu tra i fondatori nel 1836 della Cassa di Risparmio, di cui fu direttore in occasioni successive (1842-44 e 1851-56). Allo stesso tempo il conte Vincenzo gestiva l’economia della famiglia, amministrando sia le numerose tenute sia un grande lanificio a Spoleto. Lo zio paterno, Giambattista, era un membro autorevole della Compagnia di Gesù, noto soprattutto per i suoi meriti scientifici e filosofici.
Fu in quell’ambiente sociale, fra la dimora di Terraja, nei pressi di Spoleto, e l’eco continua della Roma pontificia dove il padre aveva la residenza e gran parte della famiglia viveva, che crebbe Pianciani, insieme ai suoi sette fratelli: Laura (1812), Carlo (1815), Leopoldo (1817), Camillo (1819, morto a dieci anni), Francesco (1821), Alessandro (1824) e Adolfo (1826), che fu generale delle Armi pontificie. Laureatosi in legge nel 1830, Pianciani entrò nel 1834 alle dogane, fino ad acquisire, nel 1842, la carica di ispettore generale, prima di dimettersi nel 1845 per dedicarsi alle proprietà di famiglia. Non prese parte ai moti rivoluzionari che nel 1831 riguardarono anche l’Umbria e in particolare Spoleto, ma si fece promotore di importanti iniziative modernizzatrici in campo economico e sociale. Alla fine di dicembre del 1836, appena ventiseienne, fu tra i fondatori e quindi il primo presidente della Cassa di Risparmio di Spoleto, la seconda dopo quella di Roma.
Benché impegnato a fronteggiare una lunga malattia che lo colpì dal 1843, Pianciani partecipò intensamente delle attese che investirono lo Stato pontificio con l’elezione, nel giugno 1846, di Pio IX. Ancora a Napoli per farsi curare, saputo dell’elezione di Giovanni Maria Mastai Ferretti, amico di famiglia da quando era stato arcivescovo di Spoleto fra 1827 e 1832, Pianciani scrisse le Considerazioni sullo Stato Pontificio, rimaste inedite come il loro sottotitolo che precisava il contesto della redazione: Scritte nell’estate dell’anno 1846 (Archivio di Stato di Roma, Carte Pianciani, b. 61, f. 8). Si trattava di un atto di fede nella nazionalità italiana e della prefigurazione di un preciso indirizzo sul piano dell’azione politica; pronunciando una ferma condanna dei metodi settari, egli si espresse a favore di profonde riforme istituzionali e amministrative. Dopo aver rinunciato, per l’incalzare degli eventi, alla stampa del manoscritto, Pianciani pubblicò il Saggio sulla riforma delle prigioni nello Stato Pontificio (Bologna 1847), in cui, allargando il discorso all’Italia, confidava nel papa come sovrano da emulare e come fonte spirituale della costituenda nazione italiana.
In quanto riformista e confidente nell’azione liberale di Pio IX, il 3 dicembre 1847 fu eletto gonfaloniere di Spoleto. Il 3 aprile 1848, senza chiedere il permesso al padre, partì per il Veneto, nel gruppo di volontari spoletini che accorsero alla guerra antiaustriaca sotto la guida del generale Andrea Ferrari. In quel contesto maturò definitivamente l’idea dell’unificazione italiana. Dopo il mutamento di rotta di Pio IX con l’Allocuzione del 29 aprile, allo sbandamento della colonna pontificia corrispose il passaggio di Pianciani con i democratici a difesa della Repubblica di S. Marco. Rientrato nella capitale pontificia alla fine del novembre 1848, venne eletto, in rappresentanza del collegio di Forlì, deputato all’Assemblea costituente che, dopo la fuga del pontefice a Gaeta, proclamò la Repubblica Romana. Il 25 febbraio 1849 fu mandato ad Ancona per la difesa della città e quindi al passo del Furlo per impedire il congiungimento degli austriaci, in marcia verso Roma, con i francesi. Richiamato in seguito nella capitale, l’11 giugno fu arrestato dai francesi e incarcerato a Civitavecchia; con la caduta della Repubblica, non potendo godere dell’amnistia, fu condannato a un lungo esilio, durato undici anni.
Il 25 luglio 1849 sbarcò a Marsiglia, per dirigersi alla volta di Parigi e quindi di Londra e Oxford, prima di approdare all’isola di Jersey. Peregrinò fra alcune delle principali capitali europee, con soggiorni anche in Belgio e in Svizzera. Divenne membro della mazziniana Associazione nazionale italiana, ma i rapporti politici con Giuseppe Mazzini cominciarono a deteriorarsi presto, a partire dal fallimento dei moti di Milano del 6 febbraio 1853.
La sua vita privata in esilio fu difficile, con ricorrenti problemi finanziari. Seppe lontano da casa della morte del padre, avvenuta il 6 ottobre 1856. Nel frattempo, fin dall’arrivo a Marsiglia, aveva conosciuto e quindi sposato Rose Dechorne, con la quale non ebbe figli.
Nell’isola di Jersey trascorse gli anni degli entusiasmi socialisti e degli slanci ideali. Suoi interlocutori, insieme a Mazzini, Aleksandr Ivanovič Herzen e Victor Hugo, furono anche Karl Marx, Lajos Kossuth, Arnold Ruge, Stanisław Gabriel Worcell, Louis Blanc, Félix Pyat, Alexandre-Auguste Ledru Rollin e Zeno Swietoslawski. A Londra, fra il 1852 e il 1853, aveva composto Della Rivoluzione, un testo inedito più in sintonia di altri con gli indirizzi mazziniani, mentre l’influenza dell’emigrazione sociale e politica europea sul suo pensiero si manifestò sulle colonne de L’Homme. Journal de la démocratie universelle, rivista settimanale, di cui, fra ottobre 1855 e giugno 1856, fu probabilmente anche il proprietario, dilapidando per essa i suoi pochi averi.
I suoi interventi patrocinavano un’idea di repubblica democratica e sociale, da fondare tramite un moto rivoluzionario. In esilio Pianciani pubblicò anche l’opera in tre volumi che lo rese famoso: La Rome des Papes. Son origine, ses phases successives, ses mœurs intimes, son gouvernement, son système administratif (Bale-London 1859), in cui prendeva in esame il sistema amministrativo pontificio in relazione al contesto storico-sociale. Nell’introduzione, ripercorrendo la sua formazione, sostenne che gli insegnamenti paterni lo avevano distolto dal destino che il padre aveva pensato per lui: «Egli mi aveva formato il cuore e lo spirito, la coscienza non poteva smentire i benefici di tale educazione. […] Ha voluto che prima di tutto io fossi un uomo onesto e per far ciò mi ha predestinato ad essere un rivoluzionario» (I, pp. VI-VII).
L’esilio durò fino al 1860. Tornò in Italia ancora in parte mazziniano, ma divenne e aderì presto all’universo di valori propri del mondo garibaldino e radical-progressita. Al rientro, ebbe da Mazzini l’incarico di guidare la spedizione, poi fallita, di Terranova, nel tentativo di ordire un moto all’interno dello Stato pontificio, per cui incontrò anche il re Vittorio Emanuele II. Il dirottamento sulla Sicilia lo indusse a non condividere l’impresa dei Mille con Garibaldi, pur partecipando alla campagna meridionale e guidando nell’agosto del 1860 una spedizione a sostegno delle truppe garibaldine.
In Umbria divenne l’animatore di associazioni e istituzioni impegnate nella mobilitazione politica patriottica e democratico-costituzionale, non considerando più pregiudiziale la forma repubblicana del futuro Stato nazionale.
Dichiarò fin dal 1860, anticipando il linguaggio ripreso nel 1864 e reso ancor più deflagrante da Francesco Crispi: «Il più comune buon senso insegna che in fatto di unità nazionale non può oggi farsi altrimenti se non che con V. Emanuele […]. Converrebbe esser insensato per non vedere che un’altra bandiera, la bandiera repubblicana, dividerebbe invece che unire» (in appendice al volume Dell’andamento delle cose in Italia. Rivelazioni, memorie e riflessioni, Milano 1860, nuova ed. anastatica, a cura di F. Mazzonis, Spoleto 1981, p. 122).
Rispose alla chiamata garibaldina anche in seguito; se non partecipò alla spedizione di Aspromonte nel 1862, venne tuttavia a Bezzecca nel 1866 e a Mentana l’anno successivo.
Stabilitosi a Spoleto, i democratici lo avevano voluto candidare nelle elezioni politiche del 27 gennaio 1861, ma era stato sconfitto dal moderato e letterato piacentino Luciano Scarabelli. Forte fu l’eco di quel primordiale esempio di campagna elettorale postunitaria, risoltasi nella contesa fra il mondo laico-democratico e quello clerico-moderato. Pianciani ottenne l’accesso in Parlamento soltanto il 22 ottobre 1865, nel collegio di Spoleto, quando prevalse su un cattolico intransigente padovano, Eugenio Alberi. Nel maggio 1867 fu invece nuovamente sconfitto, al ballottaggio, per soli dieci voti, dal cattolico liberale conte Paolo di Campello, sostenuto dal governo.
Fu l’occasione più eclatante di una competizione che avrebbe incrociato a lungo i destini politici, locali e nazionali, delle due famiglie spoletine dei Pianciani e dei Campello (padri e figli). Neanche un mese dopo però venne eletto nella prova suppletiva indetta nel collegio mantovano di Bozzolo, strappato alla Destra e nel quale sarebbe stato confermato per tre legislature di seguito.
Esaurite le ultime esperienze della mobilitazione militare risorgimentale e fatto il suo ingresso alla Camera, Pianciani pensò che per l’universo radicale e progressista era ormai tempo di delineare un più ampio programma d’azione, sulla cui base confrontarsi, dall’opposizione, con i governi della Destra. Fu sempre più ostile ai clericali e ai conservatori reazionari, sostenendo una pervasiva secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Echeggiavano nei suoi propositi politici temi e aspirazioni del mondo massonico, di cui divenne parte con un ruolo autorevole.
Probabilmente si era avvicinato alla massoneria già nel 1856, durante l’esilio londinese e attraverso la loggia Les Philadelphes, fondata dai rifugiati politici francesi. L’inizio ufficiale della sua militanza massonica fu nell’estate del 1867, quando venne elevato dal grado di apprendista a quello, insieme, di compagno e di maestro, e quando a Firenze promosse l’atto costitutivo della loggia L’Universo. Delegato a risollevare le condizioni delle logge massoniche in Umbria e nelle Marche, fu eletto tesoriere del Grande Oriente all’assemblea costituente dell’aprile 1872 a Roma. Nel giugno del 1877 fu tra i fondatori della Propaganda massonica, la loggia che avrebbe dovuto riunire gli esponenti dell’establishment politico-economico e culturale italiano.
Nel frattempo si era dedicato alla riflessione giuridico-amministrativa, rivendicando un ordinamento che tutelasse le libertà e le autonomie dei comuni, sperimentandone la pratica attuazione e occupandosi in prima persona della vita politico-amministrativa. Propenso a estendere i diritti civili e politici, contemplò il riconoscimento del diritto di voto alle donne che avessero avuto l’amministrazione di loro proprietà e che pagassero una tassa municipale.
Compendiò una proposta organica di riforma nel volume Il disaccentramento e i bilanci per l’anno 1869 (Firenze 1869), laddove principi e mezzi operativi furono indicati nel dettaglio (come l’elettività di sindaci e presidenti delle deputazioni provinciali); essi divennero parte integrante del programma della Sinistra storica e trovarono in seguito attuazione con le riforme crispine alla fine degli anni Ottanta.
Le peculiarità e nel contempo la solitudine di Pianciani si evidenziarono soprattutto in occasione del suo impegno nell’amministrazione della capitale, in due successivi mandati di sindaco, dal 26 novembre 1872 al 5 luglio 1874 e dal 30 settembre 1881 al 18 maggio 1882.
Non avvertiva il fascino del mito delle origini e della sua gloriosa storia: Roma doveva essere capitale poiché era la sola città ad avere una storia che non fosse prevalentemente municipale e in quanto tale riconoscimento le veniva dalla gran parte degli italiani. Elaborò l’idea di Roma capitale in controluce rispetto a Quintino Sella, il quale avrebbe voluto farne la ‘città della scienza’, mentre egli pensava a una città anche industriale, per dare lavoro ai ceti popolari e favorire l’integrazione sociale.
L’attenzione crescente alla vita amministrativa andò a discapito di una presenza propositiva in Parlamento. Rimase in Consiglio comunale dal 1871 al 1881 e contestualmente fu consigliere provinciale di Roma dal 1870 al 1877, quindi membro della deputazione provinciale dal 1871 al 1873 e ancora fra il 1876 e il 1877. Il suo impegno politico-amministrativo si riflesse anche in Umbria, dove il 26 agosto 1878 fu eletto presidente del Consiglio provinciale di Perugia, una carica che ricoprì fino al 1890. Il decadimento del governo amministrativo della capitale aveva reso realistica, nell’autunno 1872, la candidatura di un esponente democratico come Pianciani, anche se privo del sostegno della maggioranza moderata e clericale presente in Consiglio.
Assai conflittuali furono i rapporti con le capillari istituzioni cattoliche, laiche e religiose, nonché con la diffusa stampa clericale. Pur promuovendo un programma di laicizzazione e di secolarizzazione della vita pubblica, non mancarono occasioni di incontro, anche tramite la mediazione del fratello minore Adolfo, che ricopriva la carica di presidente della Società romana per gli interessi cattolici; e, non a caso, nel 1873 il Comune stipulò il compromesso per le nuove case operaie con una società di costruzioni di ascendenza cattolica.
Le dimissioni da sindaco nell’estate 1874 e i contraccolpi che ne seguirono comportarono per Pianciani un momentaneo ritiro dalla scena pubblica che durò quasi due anni, nel corso dei quali la sua vita privata registrò mutamenti importanti. Morta la prima moglie nel 1871, conobbe e sposò nel 1877 Letizia Castellazzi. Non avendo eredi legittimi, nel 1874 aveva adottato la giovane Ines Testi (nata nel 1855), la quale si dedicò alla professione del canto e che, trasferitasi a Roma, gli rimase accanto negli ultimi anni della sua esistenza.
Mettendo a frutto la propria popolarità, nell’autunno del 1876 fu eletto nel collegio di Roma V, nel quartiere di Trastevere. Negli anni successivi assurse alla massima visibilità politica, anche come vicepresidente della Camera dei deputati, una carica attribuitagli nel corso sia della XIII (29 marzo 1879 - 2 maggio 1880) sia della XV legislatura (30 gennaio 1883 - 27 aprile 1886). La conflittualità sociale nel frattempo emersa nella capitale e la maggioranza clerico-moderata che in Consiglio continuava a prevalere furono il difficile contesto della sua seconda sindacatura, voluta personalmente, alla fine dell’estate del 1881, dal presidente del Consiglio Agostino Depretis allo scopo di arginare l’influenza clericale.
Rimase in carica per soli nove mesi, ma senza rinunciare al suo stile politico: un’azione che declinava l’esercizio del potere in modo accentrato, la ricerca di un rapporto diretto con il popolo, l’insofferenza verso i vincoli e i controlli istituzionali. Nel suo indirizzo programmatico assunse rilevanza la proposta di un piano regolatore per l’ampliamento della città e la richiesta di interventi straordinari per la capitale. Moltiplicò le scuole elementari (un dato caratterizzante nel passaggio dallo Stato pontificio allo Stato unitario) e i ricoveri di mendicità, creò i dormitori pubblici e le cucine economiche, avviò su larga scala la costruzione di case popolari sul modello belga, incentivò la partecipazione dei cittadini alla vita municipale attraverso circoli, associazioni e comitati elettorali permanenti, istituì una scuola superiore femminile e una società per l’istruzione della donna, si occupò del patrimonio archivistico-bibliotecario, avviò la festa civile in ricordo del 20 settembre 1870.
Con l’entrata in vigore della riforma elettorale e del collegio plurinominale, nel 1882 e nel 1886 Pianciani fu eletto deputato nella circoscrizione urbana di Roma I (quartiere Monti). Nell’ultima fase della sua vita pubblica si dedicò appassionatamente alla diffusione degli ideali laici, quando non anticlericali, dopo che nella sua veste di sindaco, nel corso del secondo mandato, aveva promosso la costruzione di un impianto crematorio presso il cimitero del Verano. Fautore del libero pensiero, nel 1885 fu parte del comitato per l’erezione della statua alla memoria di Giordano Bruno e quindi, nel giugno 1889, presenziò alla sua inaugurazione a Roma, in piazza Campo de’ Fiori. Tenne l’ultimo suo discorso pubblico nel maggio 1890, commemorando Aurelio Saffi, da poco scomparso nella sua Forlì.
Ormai molto ammalato e curato dalla seconda moglie, Letizia, e dalla figlia adottiva Ines, morì a Spoleto il 17 ottobre 1890.
Pianciani volle un funerale laico e civile; la salma fu trasportata a Roma e il suo corpo, come da espressa volontà testamentaria, fu cremato; le ceneri vennero deposte al Pincetto del Verano, presso la tomba della prima moglie. Nella commemorazione che il 12 dicembre 1890 la Camera dei deputati gli tributò, il presidente Giuseppe Biancheri poté affermare che «Pianciani riassumeva in sé tutta la storia del Risorgimento» (Furiozzi, 2008, p. 10).
Scritti e discorsi. Oltre ai testi citati si segnalano: Discours prononcé par le citoyen L. P. à l’occasion du 24ème anniversaire de la révolution polonaise, célébré à Jersey, le 29 novembre 1854, Jersey 1854; Le congrès de 1860, Genève 1860; Abbiamo guadagnato o perduto? La convenzione e il traslocamento della sede del governo, Firenze 1864; Progetto di legge sull’ordinamento dei comuni e delle provincie e discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella seduta 13 marzo 1866 da L. P., Firenze 1866; Al collegio elettorale di Spoleto, Firenze 1867; Discorso pronunciato dal sindaco L. P. nella tornata del Consiglio comunale di Roma il 6 ottobre 1873 sul piano regolatore, Roma 1873; Diciotto mesi di amministrazione municipale, Roma 1874; Della amministrazione italiana. Un modo di pagar meno e star meglio. Sei capitoli, Milano 1876; Relazione e discorsi intorno alla legge della tassa sul macinato, Roma 1879; Dell’amministrazione municipale di Roma. Lettera ai romani, Roma 1882; Discorso pronunziato alla Camera nella seduta dell’11 dicembre 1868 dal deputato L. P. nella discussione dello schema di legge per il riordinamento dell’amministrazione centrale e provinciale, Firenze 1888.
Fonti e Bibl.: Autografi, lettere, documenti sono conservati nelle Carte Pianciani dell’Archivio di Stato di Roma e nel duplice Fondo Pianciani depositato sia presso l’Istituto centrale per la storia del Risorgimento di Roma, sia all’Archivio di Stato di Perugia (Sezione di Spoleto). Per le corrispondenze familiari (la madre Amalia Ruspoli, le mogli Rose Dechorne e Letizia Castellazzi, la figlia Ines), si rimanda a: Scritture di donne (secc. XVI-XX), P.L. Serie Carteggio familiare, http://212.189.172.98:8080/scritturedidonne/Pianciani/scritturedidonne.jsp (4 marzo 2015). Oltre un migliaio di lettere sono pubblicate in Vincenzo Pianciani al figlio Luigi. Carteggio 1828-1856, a cura di S. Magliani, I, 1828-1842, Roma 1993; II, 1843-1846, Roma 1993; III, 1846-1849, Roma 1994; IV, 1849-1856, Roma 1996. Per un profilo bio-bibliografico si veda G. Luseroni, I democratici dalla Restaurazione all’Unità, in Bibliografia dell’età del Risorgimento, 1970-2001, I, Firenze 2003, pp. 386 s. Inoltre: Frammenti storici riferibili alla rivoluzione del 1849 nello Stato pontificio: la Colonna Pianciani, Bologna 1852; C. Pavone, Le prime elezioni a Roma e nel Lazio dopo il 20 settembre, in Archivio della società romana per la storia Patria, s. 3, XVI-XVII (1962-1963), pp. 321-442 (ora in Id., Gli inizi di Roma capitale, Torino 2011, pp. 89-224); F. Bartoccini, La ‘Roma dei Romani’, Roma 1971, ad ind.; F. Orsini, Un socialista del Risorgimento: L. P., in Rassegna storica del Risorgimento, LVIII (1971), 1, pp. 48-52 ; F. Mazzonis, Le elezioni politiche a Spoleto nel 1867. Il deputato Paolo di Campello, Spoleto 1982, ad ind.; Vincenzo e L. P. ed il loro tempo, a cura di R. Ugolini, Spoleto 1988; V.P. Gastaldi, Alla scoperta di L. P. (con documenti inediti), in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi - F. Barcia, III, Milano 1990, pp. 427-466; G.B. Furiozzi, L. P. e la democrazia umbra dal 1861 al 1870, in Il modello umbro tra realtà nazionale e specificità regionale, a cura di S. Magliani - R. Ugolini, Perugia 1991, pp. 119-137; Id., L. P. e l’Umbria dopo l’Unità, Perugia 1992; F. Mazzonis, L. P.: frammenti, ipotesi e documenti per una biografia politica, Roma 1992; L. P. tra riforme e rivoluzione, a cura di R. Ugolini, Napoli 1992; A. Caracciolo, Parole al vento: L. P., democratico isolato, in Id., I sindaci di Roma, Roma 1993, pp. 7-14; L. Toschi, L. P. sindaco di Roma, Roma 1996; C.M. Fiorentino, Una nuova fonte a stampa per la storia della formazione della classe dirigente italiana: le lettere di Vincenzo Pianciani al figlio Luigi, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXXIII (1997), 4, pp. 529-544; F. Mazzonis, Padri e figli negli anni del Risorgimento. I «destini incrociati» dei Pianciani e dei Campello, in Percorsi e modelli familiari in Italia tra ’700 e ’900, a cura di F. Mazzonis, Roma 1997, pp. 41-133; A.M. Isastia, La laicizzazione della morte a Roma: cremazionisti e massoni tra Ottocento e Novecento, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, I (1998), 2, pp. 55-97; S. La Salvia, L. P. e la democrazia italiana dopo l’Unità. Contributo all’epistolario piancianino, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXXIV (1998), 1, pp. 17-60; G.B. Furiozzi, L’Umbria nel Risorgimento, Ellera Umbra 2002, ad ind.; S. La Salvia, L. P. e le elezioni politiche del 1861 nel collegio di Spoleto, in Partiti e movimenti politici fra otto e nocevento. Studi in onore di Luigi Lotti, a cura di S. Rogari, Firenze 2004, pp. 177-222; F. Conti, Storia della massoneria italiana dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2006, ad ind.; L. P. e la democrazia moderna, a cura di M. Furiozzi, Pisa-Roma 2008; L’Umbria e il Risorgimento. Rassegna bibliografica, a cura di V. Angeletti, saggio introduttivo di M. Tosti, Perugia 2011, ad ind.; M. Bucciantini, Campo dei Fiori. Storia di un monumento maledetto, Torino 2015, ad ind.; Camera dei deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/luigi-pianciani-18100810/organi#nav (4 marzo 2015).