Pirandello, Luigi
Controversa allo stato attuale delle ricerche risulta la notizia riguardante un lettorato d'italiano che il P. (Agrigento 1867 - Roma 1936) avrebbe tenuto all'università di Bonn durante il periodo in cui fu colà doctor candidatus o, secondo altri, subito dopo la laurea. In quell'occasione il giovane P. avrebbe svolto un corso sull'Inferno di Dante. Certo è, invece, che, divenuto più tardi insegnante di stilistica nell'istituto superiore di Magistero di Roma, tra i corsi da lui svolti occupa un posto notevole un gruppo di lezioni su " la commedia dei diavoli e la tragedia di Dante ", da cui successivamente fu tratta una Lectura Dantis, tenuta a Firenze il 3 febbraio del 1916.
Il P. rifiuta in essa l'opinione secondo la quale tutto Malebolge è il regno del comico dantesco e ribatte energicamente una per una le affermazioni del De Sanctis sull'argomento. Al grande critico che aveva affermato: " Manca spesso a Dante la caricatura e i suoi versi più comici non fanno ridere ", il P. ribatte: " Ma vogliono proprio far ridere quei versi? "; non ci può essere castigo di riso dove sono pene atroci per laidissime colpe. " Dove c'è lo strazio, il raccapriccio, l'orrore, la nausea, la paura, ci sarà lo scherno, il disprezzo, il sarcasmo, non il riso che castiga della commedia ". La parte più debole di questa lectura è forse da ricercare nella sottolineatura dell'elemento autobiografico dissimulato - a parere del P. - nei canti dei barattieri. " Accettabili sono invece - scrive B.T. Sozzi - le considerazioni sulla preminenza dell'attualità fantastica in confronto dello schema prestabilito; nell'alternanza di passione e distensione nella successione delle bolge " e soprattutto la tesi principale già detta.
Nel 1921 appare il noto saggio crociano su La poesia di D., e il P. coglie l'occasione - forse molto attesa - per sottoporre a un esame critico serrato tutta la posizione crociana: il tono aspro e sarcastico della lunga recensione si spiega con le punture polemiche di cui entrambi - Croce e P. - non fecero risparmio quando si trattò di giudicare l'uno gli scritti dell'altro.
Il P. rifiuta l'extrapoeticità della ‛ struttura ' voluta dal Croce (" e senza quelle arche... non vedreste più Farinata che è tutto in quel levarsi dalla cintola in sù "), e afferma che anche la cosiddetta ‛ struttura ' è essa stessa poesia. Gli è che, secondo il P., D. tutt'intero e uno ha il grave torto per il Croce di non poter entrare nella sua teoria estetica. L'ultima frecciata è riservata al concetto crociano di allegoria.
Al Leone de Castris sembra " non trascurabile " il valore di questo scritto pirandelliano in una storia delle questioni suscitate dal volume del Croce, in ispecie per certe impostazioni interpretative che anticipavano il canone del Russo di " generazione lirica ". E aggiunge (è tesi suggestiva, ma ci pare leggermente forzata) che si potrebbe vedere in questo scritto del P. una difesa appassionata che egli fa della ‛ sua ' struttura, della necessità nella sua opera dell'impianto ragionativo, della ‛ cornice '.
Sono scritti di occasione, e da considerarsi genericamente danteschi, due lunghe recensioni: al poema lirico di G.A. Costanzo, Dante (Torino-Roma 1903) e alla Francesca da Rimini di G.A. Cesareo (quest'ultima è riportata come prefazione al volume, Palermo 1906).
Al Costanzo, che aveva " riveduta " tutta l'opera dantesca in trecentododici sonetti, il P. obietta che l'argomento non si prestava alla trattazione poetica, e che il metro (sonetto settenario) non era felice. La tragedia del Cesareo gli dà invece il destro per la consueta frecciata antidannunziana (" Io non ho il minimo dubbio che l'ispirazione per questa nuova Francesca sia venuta al Cesareo leggendo appunto quella del D'Annunzio... A lui certamente dovette sembrare soffocata, sotto tutto l'ambizioso armamentario storico del poeta abruzzese, la tragica passione di Francesca e di Paolo; dovettero sembrargli incosistenti questi due personaggi oppressi da quella soverchia decorazione scenica "). Il Cesareo, invece, per il P., togliendo le anime dei due cognati dalla " sublime lirica di Dante " le aveva sapute mantenere vive a quell'altezza.
Osservazioni e considerazioni en passant di P. su D. nella conferenza Teatro nuovo e teatro vecchio, tenuta a Venezia nel luglio 1922 (" la voce di Dante dice cose eterne: parla dalle viscere stesse della terra "); in un'intervista a G. Caprin (" La Lettura " 1 marzo 1927), nella quale egli si dichiara della famiglia di D., Machiavelli, Leopardi, Manzoni, e nel noto discorso su Verga (Catania 1920; Roma 1931) ove D., scrittore " dallo stile di cose ", insieme con Machiavelli, Ariosto, Manzoni, Verga, è contrapposto al Petrarca, artista " dallo stile di parole ", seguito dal Guicciardini, dal Tasso, dal Monti, dal D'Annunzio.
Lo scritto Per uno studio sul verso di D. è una lunga recensione (accendendosi la polemica, seguì una Postilla) di un opuscolo di F. Garlanda (Il verso di D., Roma 1907, 79). Il P. discute la tesi garlandiana secondo cui in D. le numerose allitterazioni e suballitterazioni e quelle che egli chiama sinfonie (ripetizione della stessa vocale negli accenti metrici) siano deliberatamente volute e cercate dal poeta e non combinazioni inconsce e casuali. " Un poeta - obietta il P. - per quanto rigido, volontario, e presente sempre a sé stesso, sistematico, geometrico, ponderato, misurato, come Dante, non potrebbe assolutamente metter su un verso, se con animo deliberato, e non per ischerzo, volesse allitterarlo ". Ma importante è questo scritto per l'accenno che il P., partendo da premesse di origine sensistica, fa in " un passo memorabile " (lo definisce così il Leone de Castris) sulla ragione interna del ritmo e della metrica di D.: " La logica poetica è il libero movimento della passione co' suoi impeti e i subiti cangiamenti. E di qui la flessibilità d'una frase che si solleva e ricade, si slancia e s'arresta o si spezza o supera l'ostacolo e riprende il suo movimento aggirante. Nella passione, le idee tutte s'avventano, la più forte zampilla, le altre la seguono, secondo le alternative dello spirito interiore. E di qui certe scintille che si sprigionano, quasi al cozzo delle parole. Ai movimenti dell'animo rispondono certi movimenti del corpo: il suono della voce si altera, la respirazione diventa affannosa e le parole ora s'arrestano d'un tratto; ora precipitano. E di qui la misura del verso che ritma il sentimento e le modulazioni che rompono la continuità monotona del linguaggio comune ".
Infine - il fatto forse merita di essere ricordato - in Quando si è qualcuno, la commedia strettamente autobiografica in cui lo scrittore irride dolorosamente alla sua condizione umana, nel sogno visionario del secondo atto, il P. fa ritrovare gesticolanti " vivacissimamente " Dante " fosco e sdegnato ", e Ariosto, Foscolo e Leopardi. Sono poeti di " cose " come egli aveva detto nel discorso su Verga, e che egli ritiene a sé congeniali.
Note e scritti danteschi del P. sono compresi nel volume Saggi, Poesia, Scritti varii, a c. di M. Lo Vecchio Musti, Milano 1965. Si indicano qui luogo e data delle prime edizioni: Per uno studio sul verso di D., in " Nuova Antol. " 1 novembre 1907; Poscritta, che è la risposta a una nota di F. Garlanda contro lo scritto precedente, in " La vita letteraria " 42 (1907); La poesia di D., recensione al saggio crociano, in " L'Idea Nazionale " (Roma) 14 settembre 1921; La commedia dei diavoli e la tragedia di D., in " Rivista d'Italia " settembre 1918: è il testo, riveduto e ridotto in forma di saggio, di una lettura tenuta dal P. in Orsanmichele il 3 febbraio 1916 (rist. anche in Lett. Dant. 395-414); D., poema di G.A. Costanzo, in " Nuova Antol. " 16 gennaio 1904; La " Francesca da Rimini " di G.A. Cesareo, ibid. 1 febbraio 1905. Per altri richiami a scritti pirandelliani si veda il citato Saggi, Poesie, Scritti varii.
Bibl. - Alcune considerazioni critiche sulla lettura pirandelliana si possono leggere in B.T. Sozzi, Inferno XXII, in Lect. Scaligera I 765-766; sui rapporti P.-Croce, in particolare sulle questioni dantesche: A. Leone De Castris, Storia di P., Bari 1962; C. Vicentini, L'estetica di P., Milano 1970. Sulla polemica P.-Garlanda, cfr. A. Barbina, Sul primo P. recensore e recensito, in " Quaderni dell'Ist. di Studi Pirandelliani " I (1972).