Pirandello, Luigi
Commediografo e scrittore, nato a Girgenti (od. Agrigento) il 28 giugno 1867 e morto a Roma il 10 dicembre 1936. È considerato uno dei protagonisti del Novecento letterario, premio Nobel per la letteratura nel 1934. Logico, bizzarro, travolto da una paradossalità scettica quanto metafisica e venata dall'irresistibile cortocircuito dell'acribia psicologica (i molti 'pazzi lucidi' del suo mondo fantastico) ebbe con il cinema un rapporto contraddittorio, di attrazione e rifiuto: di accettazione sul piano del guadagno pratico, di contestazione sul piano conoscitivo. Non credette mai a pieno nel senso espressivo del cinema. L'identità di Serafino Gubbio (il protagonista del suo romanzo più emblematico, Quaderni di Serafino Gubbio operatore) è quella di "una mano che gira la manovella": che è come dire un attestato di "impassibilità di fronte all'azione che si svolge" e dunque di assoluta impossibilità espressiva e rappresentativa del reale. Il sospetto possiede un che di apocalittico ("Non dubito, però, che col tempo, sissignore, si arriverà a sopprimermi. La macchinetta girerà da sé": Tutti i romanzi, 1973, 1990⁸, 2° vol., p. 522); una condizione questa che finisce per sottrarsi del tutto persino allo strumento di controllo maggiore di P., l'umorismo.
Se l'interesse teorico di P. verso il cinema lo portò, per esempio, a non sposare la rivoluzione del sonoro (sebbene, per un gioco della sorte, il primo film sonoro italiano fu La canzone dell'amore, 1930, di Gennaro Righelli, tratto proprio da una novella di P., In silenzio) è anche perché già nel cinema muto lo scrittore intravedeva la coerenza di un sentimento vissuto, in fondo, con repulsione. Anche per lui, oltre che per gli attori, la macchina da presa sembra "l'avvilimento del lavoro stupido e muto a cui essa li condanna. […] E l'azione viva del loro corpo vivo, là, su la tela dei cinematografi, non c'è più: c'è la loro immagine soltanto, colta in un momento, in un gesto, in una espressione, che guizza e scompare" (p. 585). Nel 1913, quando era già narratore noto e importante (oltre a poesie e novelle erano usciti i romanzi L'esclusa, Il turno, Il fu Mattia Pascal, Suo marito), P. scrisse due soggetti che rimasero irrealizzati: Nel segno e un secondo lavoro del quale è ignoto persino il titolo (sappiamo solo che avrebbe avuto come protagonista Giovanni Grasso e per produzione la Morgana Film di Nino Martoglio il quale, in quanto direttore del Teatro minimo di Roma, gli aveva già messo in scena alcuni drammi giovanili). Un anno dopo cominciò a lavorare al romanzo Si gira... (comparso a puntate su la "Nuova antologia" dal 1° giugno al 16 agosto 1915 e in stampa nel 1916; dal 1925 in una nuova edizione poi con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore). Nel 1915 elaborò una versione cinematografica, mai realizzata, di Confessioni di un italiano di I. Nievo. Nel 1918 (e P. era già un drammaturgo di rilievo: solo in quell'anno le 'prime' di Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, La giara, Il piacere dell'onestà e, nel 1919, Il giuoco delle parti) sembra, secondo i ricordi di Lucio D'Ambra, che P. collaborasse ad alcune scene ed episodi di Papà mio, mi piacciono tutti! di D'Ambra e Amleto Palermi, mentre nel 1919, pare che desse una consulenza per il soggetto di Pantera di neve di Arnaldo Frateili. Senza dubbio, poche cose. Più rilevante, invece, fu l'impegno da parte del cinema a realizzare film tratti da novelle, romanzi o drammi dello scrittore. Del 1919 è il film Lo scaldino di Augusto Genina, dell'anno successivo Il lume dell'altra casa di Ugo Gracci, tratto dall'omonima novella giovanile. Del 1921 Ma non è una cosa seria di Augusto Camerini (adattamento e cura di Camerini e Frateili), Il viaggio di Righelli e La rosa di Frateili, con l'adattamento di Stefano Landi, il figlio di P., e l'interpretazione di Lamberto Picasso oltre alla presenza straordinaria sullo schermo dello scrittore Bruno Barilli. Il 1922 fu l'anno di svolta per Pirandello. La sua opera teatrale raggiunse il massimo successo di pubblico e di critica: Sei personaggi in cerca d'autore andò in scena nel 1921; Enrico IV nel 1922 (Palermi ne realizzerà l'adattamento cinematografico nel 1926). P. diventava una figura internazionale. Con una conseguenza importante. A parte un nuovo e ancora una volta non realizzato soggetto cinematografico (Il pipistrello, 1925), fu certo l'adattamento brillante quanto 'infedele' di Marcel L'Herbier, Feu Mathias Pascal (1925; Il fu Mattia Pascal), con scenografie di Alberto Cavalcanti e l'interpretazione di Ivan Mosjoukine, il segno maggiore dell'incontro di P. con il cinema. Se si vogliono tralasciare, negli ultimi anni, ulteriori e, rispetto a P., periferici progetti di lavoro (il copione di un film irrealizzato e tratto da Sei personaggi in cerca d'autore, scritto nel 1929 con Adolf Lantz; un viaggio di P. per seguire, senza mansioni precise, le riprese del film As you desire me, 1932, Come tu mi vuoi, di George Fitzmaurice; un divertente adattamento di Ma non è una cosa seria, 1936, di Mario Camerini, in collaborazione con Mario Soldati ed Ercole Patti; Pensaci, Giacomino!, 1936, di Righelli, tratto dall'omonima novella), la relazione di P. con il cinema finì per ridursi alla più complessa e interessante impresa del primo decennio del sonoro in Italia: Acciaio (1933) di Walter Ruttmann. P., insieme al figlio Stefano, scrisse la sceneggiatura Gioca, Pietro!. Il film, voluto da Emilio Cecchi (al tempo direttore generale della Cines), affidato a Ruttmann anche per la sceneggiatura insieme a Soldati e allo stesso Cecchi, uscì nel 1933. Fu per l'epoca un grande film. Eppure, anche questa esperienza fu segnata dal disagio e dalla distanza rispetto alle vere intenzioni drammaturgiche di P., il quale, alla fine, ottenne che i titoli di testa recassero 'liberamente tratto da un soggetto di L.P.'. Sarà forse per un ennesimo gioco pirandelliano del caso, ma P., che amava poco il cinema, morì in una fredda mattina di dicembre del 1936, dopo aver seguito le ultime riprese, presso gli stabilimenti romani di Cinecittà, di un nuovo adattamento di Il fu Mattia Pascal (1937) questa volta di Pierre Chenal, e per il quale il commediografo aveva scritto i dialoghi.