POLETTI, Luigi
POLETTI, Luigi. – Nacque a Modena il 28 ottobre 1792 da Giuseppe e da Domenica Carretti. Nella città natale frequentò il ginnasio e il liceo e, al tempo stesso, i corsi dell’Accademia di belle arti. Nel 1811 si iscrisse alla facoltà di scienze matematiche dell’Ateneo di Bologna, conseguendo il baccellierato nel 1812 e la licenza nel 1813; l’anno seguente si laureò «a pieni voti con menzione al governo» (Luigi Poletti architetto, 1992, p. 35). Di ritorno a Modena, nel 1816 fu supplente alla cattedra di meccanica e idraulica di Paolo Ruffini, e quindi, in virtù della menzione, nel 1817 fu inviato in Garfagnana in qualità di ingegnere provvisorio del Ducato modenese. L’anno successivo gli venne conferita una pensione da parte del marchese Luigi Rangoni, ministro dell’Istruzione del Ducato, perché perfezionasse i propri studi a Roma. Qui frequentò la scuola di specializzazione per gli ingegneri diretta da Giuseppe Venturoli, suo docente a Bologna. L’erogazione della borsa di studio ebbe termine l’anno successivo. Poletti continuò a frequentare i corsi come uditore fino al 1821, conseguendo un attestato di merito; dal 1818 prese a seguire, seppure con frequenza non regolare, i corsi dell’Accademia di S. Luca. Sono testimonianza di quegli anni numerosi progetti e disegni: lo studio per un battistero (1819; Modena, Biblioteca civica Luigi Poletti, Fondo disegni Poletti, nn. 109-111), i progetti di riduzione della palazzina dei giardini pubblici in Modena (1820; Luigi Poletti architetto, 1992, p. 35) e di un grande teatro (1821); quest’ultimo, costituito da sette tavole, fu esposto all’Accademia di S. Luca e menzionato nel Giornale arcadico (Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti, 1821, vol. 10, pp. 138 s.).
A Roma Poletti conobbe Raffaele Stern, Giulio e Giuseppe Camporese: da questi venne indirizzato allo studio delle antichità romane. Suoi appunti riguardanti questioni tecniche (1820) ne testimoniano la sua presenza piuttosto assidua presso alcuni tra i più importanti cantieri romani del periodo, il Braccio nuovo dei Musei Vaticani di Stern e del più giovane dei Camporese, e il teatro Valle, diretto dal secondo su progetto di Giuseppe Valadier.
Nel 1821 prese parte al concorso per lo Sferisterio di Macerata con due differenti progetti: il giudizio, formulato dapprima da un organismo locale e in seguito dall’Accademia di S. Luca, premiò Ireneo Aleandri, anch’egli allievo delle scuole accademiche.
Tra il 1822 e il 1827 si dedicò allo studio dei ponti sospesi in ferro. In una dissertazione pubblicata nel 1824, in cui dava mostra della sua solida preparazione sull’argomento, appare chiaro l’intento di favorire l’innovazione tecnica in un contesto culturale ancora di stampo conservatore (Intorno la costruzione dei ponti sospesi sulle fila di ferro…, in Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti, 1824, vol. 22, pp. 195-222).
Tra i progetti si segnalano, in Roma, quello del ponte di Ripetta, «che anticipava di almeno un trentennio quello che, sotto il pontificato di Pio IX, verrà realizzato a S. Giovanni dei Fiorentini» (Spagnesi, 2000, p. 69), e del ripristino del ponte Senatorio, più noto come ponte Rotto.
Nel 1824 Poletti si cimentò nella realizzazione di un ponte sull’Aniene nei pressi di Castel Madama commissionatogli dal marchese Alessandro Pallavicini, non ultimato a causa di alcuni inconvenienti di natura strutturale, occorsi in fase di esecuzione, che avevano compromesso la stabilità dei piloni.
Nel 1823, con Giuseppe Tambroni, l’abate Girolamo Amati, Filippo Agricola, Leopoldo Staccoli, erudito e letterato, e Salvatore Betti, Poletti partecipò a una campagna di scavo lungo la via Appia in località Frattocchie, luogo in cui anticamente si trovava l’insediamento urbano di Boville.
Ultimati nel 1828, gli scavi riportarono alla luce numerosi resti dell’antica città; nell’aprile 1825 fu rinvenuto un tempio in antis, da Poletti denominato «sacrario della Gente Giulia» (Luigi Poletti architetto, 1992, p. 129), di cui egli stesso eseguì il rilievo e la restituzione grafica: le incisioni furono riprodotte sul Giornale arcadico (Intorno alcuni edificii ora riconosciuti dell’antica città di Boville; lettera del cav. Giuseppe Tambroni al ch. Sig. Pietro de Lama direttore dell’I. e R. museo d’antichità in Parma…, in Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti, 1823, vol. 18, pp. 371-428 e tavv. I-II).
La partecipazione al concorso per la progettazione dello Sferisterio aveva dato modo a Poletti di entrare in contatto con alcuni rappresentanti della società del Giuoco del Pallone e notabili maceratesi, che di lì a breve divennero i suoi importanti committenti marchigiani. Per il conte Eutimio Carnevali, ispettore generale delle ipoteche dello Stato pontificio (Luigi Poletti architetto, 1992, p. 130), progettò l’intervento di ampliamento della sua residenza ad Appignano.
La prima stesura del progetto (1822), dalle nitide linee neoclassiche con un loggiato a colonne sulla sommità del corpo centrale, non soddisfece Carnevali: Poletti redasse dunque una differente versione, caratterizzata da un ribaltamento delle proporzioni originarie, nella quale l’edificio, qui racchiuso tra due corpi laterali di maggiore altezza, acquistava un maggiore movimento chiaroscurale in virtù del forte arretramento dei blocchi intermedi e dello stesso corpo centrale, concepito in forma di portico esastilo posto su un alto basamento accessibile da una scalinata. Questa seconda redazione non convinse pienamente il conte, il quale nell’ottobre 1823, a lavori già iniziati, si consultò in via riservata «con un noto architetto di Ravenna […] che [espresse] un parere complessivamente positivo, a parte alcune riserve per l’assenza del vestibolo» (ibid., p. 130). Effettuata la modifica e apportate le ulteriori varianti prospettiche suggerite dalla locale commissione d’Ornato, fu lo stesso committente a decidere di abbandonare l’idea di ampliare l’edificio esistente in favore di un intervento ex novo, questo, sì, realizzato in breve tempo sulla base del progetto già concepito (1826).
Ancora in occasione del concorso di Macerata, Poletti conobbe il senatore conte Leopoldo Armaroli, presidente del tribunale di quella città e della Corte di giustizia di Fermo, per il quale predispose, in Appignano, i progetti di una facciata neoclassica per un casino (1823) e di un caffehaus: il secondo, ultimato nel 1826, venne ideato in forma di esedra «pel suo giardinetto con 8 colonne sul diametro», disposte in due file, sulla sommità di un alto podio.
Nel 1823 fu nuovamente a Modena, dove gli venne offerta una cattedra presso la locale Accademia di belle arti, che rifiutò. Di lì in poi prese dimora stabile in Roma, divenendo in breve una figura di spicco tra gli architetti dell’epoca.
La formazione tecnico-scientifica distinse subito Poletti rispetto agli architetti suoi contemporanei. Le esperienze professionali in Garfagnana e le prime opere romane gli avevano conferito un’impronta culturale già pienamente ottocentesca: «credibilità tecnologica, razionalismo metodologico (che tenterà di applicare invano anche agli studi storico-filologici), erudizione classicista e quindi fiducia assoluta nei sintagmi classici come certezza per il suo linguaggio architettonico, rimarranno sempre caratteristiche essenziali, ma anche limitative, di tutte le sue opere» (Spagnesi, 2000, p. 61).
Per il conterraneo Lazzaro Ceccopieri, che nel 1818 aveva presentato il giovanissimo Poletti, da poco giunto a Roma, a Giuseppe Valadier, curò il consolidamento e la risistemazione del palazzetto di via dei Montecatini (1823-26).
Negli anni in cui Paul-Marie Letarouilly pubblicava i suoi esempi di edifici ‘moderni’, «cioè rinascimentali […] per la diffusione del Neorinascimento nelle sue diverse declinazioni europee» (Giovanetti, 1986, p. 47), la facciata riattata da Poletti, con bugne lisce, ordine gigante di paraste e ornati di stucco, fissava i tratti della sua idea di classicismo, mutuato insieme dalla tradizione romana e dai modelli palladiani riveduti da Inigo Jones (Spagnesi, 2000), ponendosi al tempo stesso come modello della ripresa edilizia in atto nella Roma del periodo, caratterizzata da «una intensa e diffusa attività di modificazione e completamento di fabbriche grandi e piccole» (Giovanetti, 1986, p. 47). Caratteristiche in certo modo analoghe avrebbero presentato la casa Tenerani in via delle Quattro Fontane (1838) e le ‘facciatine’ acconciate per la sistemazione di piazza Pia (1857).
Ancora per il tramite del suo maestro Venturoli, Poletti era entrato in rapporti con l’amministrazione dell’ospizio di S. Michele a Ripa Grande: nel 1827 venne designato direttore della cartiera e della tipografia della Camera apostolica e titolare della cattedra di «architettura, geometria, prospettiva e ornato» presso la scuola dell’ospizio (Luigi Poletti architetto, 1992, p. 131). Per l’istituto Poletti progettò e realizzò un impianto per la distribuzione dell’acqua potabile che riscosse notevole fortuna in virtù della sua possibilità di applicazione anche in caso di pozzi situati in profondità. Minor successo accolse l’intervento di manutenzione e adattamento del complesso (1833-35), drasticamente effettuato a danno di una sua pregevole parte.
In queste opere Poletti si avviava a definire i concetti posti alla base del proprio rapporto con l’antico e della concezione di ‘restauro’, laddove, in coerenza peraltro con i tempi, il monumento, dapprima rigorosamente analizzato, sarebbe dovuto essere «riutilizzato e interpretato, per definire un linguaggio architettonico strettamente conseguente» (Spagnesi, 2000, p. 71).
Nel corso degli anni Trenta e per parte del successivo decennio, su incarico del cardinale Agostino Rivarola, fu impegnato nei territori dello Stato pontificio in interventi di una certa rilevanza: tra questi, i consolidamenti e i successivi ‘restauri’ eseguiti a seguito di vari eventi sismici sul tempio della Consolazione di Todi, gravemente danneggiato dal terremoto del 1815, sulla basilica di S. Maria degli Angeli in Assisi successivamente alle ripetute, violente scosse verificatesi tra il 1831 e il 1832, e sulla chiesa di S. Venanzio a Camerino (1834-69). Degne di nota le architetture teatrali in Terni (1836-49), Rimini (1842-57) e Fano (1845-63).
Nel marzo 1833 il pontefice Gregorio XVI designò Poletti, in quell’anno nominato segretario dell’Accademia di S. Luca, della quale era membro dal 1829, quale coadiutore di Pasquale Belli nella direzione dei lavori presso la basilica di S. Paolo fuori le Mura, seriamente compromessa dall’incendio del 1823. Venuto a mancare Belli, nell’ottobre dello stesso 1833, fu Poletti di fatto a cimentarsi nell’elaborazione del definitivo progetto di ricostruzione della chiesa.
L’intervento, svolto nell’arco di tre pontificati, da Leone XII a Pio IX, ebbe esito poco apprezzato allora, come ai tempi attuali: «abbandonato il rifugio sicuro del restauro archeologico, proposto dall’Uggeri e accettato dal Belli, la meccanica riproposizione della tipologia basilicale diveniva subito, e soltanto, la struttura di un linguaggio irrigidito» (ibid., p. 146).
Poletti vi lavorò con impegno ed entusiasmo, nel tentativo di elaborare soluzioni stilisticamente efficaci. Non vi riuscì, eccetto che nel campanile (1840) e nella cappella di S. Benedetto, autenticamente rappresentativi della sua ricerca figurativa.
Il primo, stilisticamente solidale al resto del complesso in virtù del basamento di bugnato che si svolge lungo l’intero perimetro, è caratterizzato dalla sovrapposizione di forme geometriche ciascuna con una propria valenza architettonica e spaziale, rivelando «un’attenzione contemporanea al neoclassicismo e alle esigenze della cultura inglese, che talvolta si ritrova nelle sue opere» (ibid., p. 147). Analogamente, nella cappella di S. Benedetto, dove è collocata la statua del santo di Pietro Tenerani, la spazialità delle terme romane rievocata dalla struttura voltata si configura come interessante e raffinata «astrazione intellettuale» (ibid.).
L’intensa attività professionale di quegli anni non fu mai disgiunta dalla didattica presso le scuole dell’Accademia di S. Luca, della quale fu presidente dal 1849 al 1853: supplente della cattedra di architettura pratica dal 1836, ne divenne titolare tre anni dopo. Dal 1850 prese a insegnare architettura teorica. I suoi trattati, Geometria applicata alle Arti belle e alle Arti meccaniche (1846) e Introduzione alle lezioni di Architettura Pratica (1849-1850), costituiscono una sorta di compendio delle sue conoscenze scientifiche applicate all’architettura.
Risale al 1850 l’esordio di Poletti, divenuto architetto municipale, quale progettista di allestimenti romani effimeri, le note ‘girandole’ in forma di archi trionfali o di architetture romaniche e gotiche; tra il 1855 e il 1857 realizzò il monumento commemorativo del dogma dell’Immacolata Concezione in piazza di Spagna, per il quale reimpiegò il fusto di un’antica colonna di marmo cipollino. Ancora degli anni Cinquanta è il ‘muro cieco’ del convento di S. Marta, in cui il lieve risalto delle bugne e delle partiture architettoniche rimanda a un’architettura «più disegnata che costruita» (ibid., p. 73).
Negli anni Sessanta attese all’ultima sua opera, che non avrebbe visto ultimata, il Collegio scozzese in via delle Quattro Fontane, adiacente al palazzo Tenerani realizzato fin dal 1838. Nel 1863 presentò, nella sua duplice veste di ingegnere capo municipale e ispettore del corpo d’arte pontificio, la propria relazione al ministro Pier Domenico Baldini-Costantini in merito a un progetto di regolamentazione dell’arte muratoria, dicendosi favorevole all’istituzione di una patente di capomastro per l’esercizio delle arti, da rilasciarsi a cura del Comune (Giovanetti, 1986).
Nel 1859 Poletti istituì un concorso, che portava il suo nome, per il perfezionamento nell’arte dell’architettura, riservato ai giovani studenti delle scuole accademiche, che costituì il primo banco di prova per numerosi architetti delle successive generazioni (Catini, 1999).
Nel 1866, in precarie condizioni di salute, nominò per testamento suo erede universale il Comune di Modena, ponendo tra le clausole l’istituzione di un concorso quadriennale riservato agli allievi della modenese Accademia di belle arti (Martinelli Braglia, 1979-80; Catini, 1999). Con il medesimo istrumento volle devolvere un capitale di tremila scudi romani in cartelle di consolidato all’Accademia di S. Luca, «perché coi 150 scudi annui di frutto […] [potesse] di biennio in biennio premiare la migliore memoria intorno alle belle arti scritta da qualunque italiano che le eserciti» (ibid., p. 12).
Tra le architetture funerarie si rammentano le tombe del fratello Geminiano (1789-1836), professore di matematiche applicate nell’Università di Pisa, e di Giuseppe Tambroni (1824). Il suo più illustre allievo fu Virginio Vespignani (1808-1882).
Nel luglio 1869 si recò da Roma a Baveno, sul lago Maggiore, «per ivi fare la inspezione di alcune colonne di granito rosso» da collocare nella basilica Ostiense (Stefanucci Ala, 1869, p. 223); colto da malore improvviso – le fonti dell’epoca parlarono di apoplessia capillare –, fu trasportato a Milano dove morì il 2 agosto.
La Biblioteca civica di Modena Luigi Poletti, istituita per sua volontà, custodisce le sue memorie, i progetti e i disegni; la documentazione riguardante l’attività didattica e di accademico è conservata presso l’Archivio storico dell’Accademia di S. Luca. Un carteggio del 1823 con Ireneo Aleandri si trova presso la Biblioteca comunale di Macerata (Fondo Aleandri, ms. 1052/1, b. LVIII, nn. 554-558; Marchegiani, 1999).
Fonti e Bibl.: G. Rossini, Cenni biografici sul professore Geminiano Poletti, Pisa 1837; C. Campori, Notizie biografiche del commendatore prof. L. P. modenese, architetto di S. Paolo di Roma, Modena 1865; A. Stefanucci Ala, In morte del prof. L. P.: ricordo del suo discepolo…, in Il Buonarroti, s. 2, IV (1869), pp. 213-224; I disegni di architettura dell’archivio storico dell’Accademia di San Luca, a cura di P. Marconi - A. Cipriani - E. Valeriani, Roma 1974, pp. 47-58.
G. Martinelli Braglia, Il premio Poletti per la pittura dal 1872 al 1904: un capitolo di ‘accademia’ fine Ottocento in Modena, in Musei Ferraresi, IX-X (1979-80), pp. 229-250; F. Giovanetti, Temi di manutenzione e miglioria nelle fabbriche romane nel corso del secolo XIX, in Bollettino d’arte, suppl. ai nn. 35-36 (1986), I, pp. 47, 49, 51; L. P. architetto. 1792-1869 (catal., Modena-Fano-Terni, 1992-93), a cura di M. Dezzi Bardeschi, Carpi 1992, con ampia bibliografia e regesto completo degli scritti; A.M. Racheli, Ersoch, Gioacchino, in Dizionario biografico degli Italiani, XLIII, Roma 1993, p. 265; Id., Restauro a Roma 1870-1990. Architettura e città, Venezia 1995, pp. 34, 413; Il teatro della Fortuna in Fano. Storia dell’edificio e cronologia degli spettacoli, a cura di F. Battistelli - G. Boiani Tombari - L. Ferretti, I, Fano 1998, passim; R. Catini, I concorsi Poletti (1859-1938), Roma 1999; C. Marchegiani, La lezione di Raffaele Stern sul teatro. Regole e idee sulla sala di spettacolo dal carteggio Poletti-Aleandri (1823), in Opus. Quaderno di storia dell’architettura e restauro, VI (1999), pp. 387-416; G. Spagnesi, L’architettura a Roma ai tempi di Pio IX (1830-1870), Roma 2000, pp. 59-62, 67-75, 146-148; A. Còccioli Mastroviti, L’accademia Atestina e l’architettura a Modena nell’età della Restaurazione, in La cultura architettonica nell’età della Restaurazione, a cura di G. Ricci - G. D’Amia, Milano 2002, pp. 228-231, 235-239; R. Catini, s.v. Innocenzi, Angiolo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXII, Roma 2004, p. 410; A. Montironi, L’attività di L. P. nelle Marche: il tema della villa, in Per Franco Barbieri. Studi di storia dell’arte e dell’architettura, a cura di M.E. Avagnina - F. Barbieri - G. Beltramini, Venezia 2004, pp. 223-240.