Poeta (Firenze 1432 - Padova 1484), fratello di Luca e di Bernardo. Protetto da Lorenzo de' Medici, passò nel 1473 al servizio del principe Roberto di Sanseverino. Il suo capolavoro è il poema cavalleresco Morgante, caratterizzato dal registro parodico e da audaci sperimentazioni linguistiche.
Di nobile e agiata famiglia, nel 1459 dovette, in seguito a dissesti finanziari, occuparsi come scrivano e contabile; negli anni seguenti le sue condizioni di vita si fecero ancora più gravi a causa del fallimento del fratello Luca coinvolto in pericolose speculazioni bancarie. Esiliato da Firenze, poté tornarvi nel 1466 con l'aiuto di Lorenzo de' Medici. Questi gli affidò alcune missioni diplomatiche e lo ebbe carissimo almeno sino al 1473, quando, per cause non bene accertate, P. si allontanò dal suo protettore per passare al servizio del principe Roberto di Sanseverino, che seguì in tutti i suoi viaggi; rimase peraltro devoto a Lorenzo, al quale lo legarono per tutta la vita amicizia e riconoscenza profonde. Altra missione ebbe presso il signore di Camerino nel '70, quando Lorenzo col fratello Giuliano era a capo del governo; più importante quella a Napoli presso gli Aragonesi, mentre ferveva l'agitazione per una impresa contro i Turchi. Nel '73 sposò Lucrezia degli Albizzi, col favore di Lorenzo, ed entrò in relazione con Roberto Sanseverino conte di Caiazzo, relazione durata poi sino agli ultimi suoi giorni. Roberto era uno dei più ricercati capitani nelle guerre d'Italia, e, per l'amicizia con Lorenzo, P. serviva benissimo a mantenere attivi i rapporti fra i due. Ma egli amava di starsene quando poteva in Firenze, e rifiutò (1481) per questo l'ufficio di capitano di Val di Lugano, feudo che il Sanseverino ebbe con altri dal duca di Milano. Luigi però non poté sottrarsi al dovere di stare presso al conte durante il servizio di questo al soldo dei Veneziani, e così avvenne che egli nel 1484 si trovasse a Padova, dove morì tra l'ottobre e il novembre. Pare che non fosse sepolto in terra consacrata a cagione della fama di empietà che anche a Padova doveva essere arrivata, possibilmente con molte esagerazioni.
Di sentimenti di devozione nei confronti di Lorenzo de' Medici sono testimonianza viva e arguta le Lettere, dalle quali la personalità di P., beffarda, amara, scanzonata, vien fuori in tutta la sua suggestiva ricchezza. Se l'uomo si specchia limpidamente in queste lettere, l'artista si rivela, nella variatissima coloritura del suo mondo comico, soltanto nel Morgante, poema iniziato, su richiesta di Lucrezia Tornabuoni, nel 1461 e composto in due tempi (la prima redazione era in 23 canti; l'ed. defin., comparsa nel 1483 e nota come Morgante maggiore, ne comprende 28). Nei primi 23 canti P. segue, nell'orditura della vicenda e nel taglio delle scene, un cantare anonimo, il cosiddetto Orlando laurenziano, ch'egli varia, arricchisce, sintetizza secondo il suo estro comico e il suo audace ingegno stilistico; gli ultimi 5 canti risentono invece largamente della Spagna in rima: tutto il poema, peraltro, nasce da una felice e personalissima elaborazione dei dati offerti dalla tradizione canterina trecentesca. Nel Morgante le figure del vecchio mondo cavalleresco, che P. riprende e riscatta, divengono nulla più che inesauribili pretesti comici, intorno ai quali il poeta intreccia le sue fantasie ponendo al centro del suo gioco le figure di Morgante e Margutte. E qui è appunto il nucleo vitale dell'ispirazione di P., che non si propone di comporre un poema nel senso tradizionale del termine, ma vuole soltanto abbandonarsi a una felice avventura di linguaggio e di stile, con un impegno eminentemente verbale, con rarissime concessioni all'umanità dei personaggi, con scarso interesse alla loro qualificazione poetica. Ma qui è anche il limite dell'opera, che nei momenti felici raggiunge toni di altissima comicità, per scadere poi nella formula o nella fredda stratificazione di motivi e di temi comici. Tra le opere minori di P. vanno ricordati i sonetti in tenzone con M. Franco, nei quali la felicità espressiva fa dimenticare la fredda violenza della polemica, la Beca da Dicomano (canta l'amore di un rozzo montanaro, Nuto, con un rude realismo che ritrae la mentalità alpestre. Non c'è ombra della sublimazione che avveniva negli amori pastorali delle ecloghe virgiliane; ché anzi qui tutto è realtà bassa e materiale), poemetto rusticale che è ben lontano dalla finezza poetica della Nencia da Barberino di Lorenzo de' Medici, le Frottole e la fredda Giostra, poemetto in ottava rima composto per celebrare la vittoria del giovane Lorenzo, in una giostra del 1469. Esso ha il principale pregio del brio e della vivacità della descrizione che attenua la monotonia della lunga enumerazione degl'intervenuti; manca interamente d'invenzione, se si paragona al leggiadro analogo componimento di Poliziano.