RATINI, Luigi
(Luigi Camillo Maria). – Nacque a Trento l’8 maggio 1880 da Costante e da Anna Ducati in una tipica casa della città vecchia, nel popolaresco rione della Portella. Il padre era litografo presso la tipolitografia fondata a Trento da Giovanni Zippel e Augusto Godermajer.
La famiglia di Ratini, proveniente dalla Valle del Primiero, precisamente da Canal San Bovo nel Trentino Orientale, cercò di assecondare il talento del giovane facendolo studiare presso la Scuola industriale di Trento, dove seguì i corsi nel triennio compreso fra il 1892 e il 1895.
Fu dopo questa importante esperienza che maturò in lui la decisione di dedicarsi alla pittura, aiutato dalla munificenza di Giovanni Pedrotti, che gli consentì di iscriversi nel 1898 all’Accademia di Monaco di Baviera nella classe di Johann Caspar Herterich. Qui studiò per tre anni fino al 1901, seguendo anche le lezioni di Karl von Marr. Quindi si iscrisse all’Accademia di belle arti di Vienna, dove poté frequentare la classe di Christian Griepenkerl dal 1901 al 1902, grazie agli aiuti di un gruppo di sostenitori facenti capo alla locale Lega nazionale. Tra il 1903 e il 1904 fu infine a Roma, come Ratini stesso ricorda nella sua biografia redatta nella lettera inviata a Ezio Bruti, segretario dell’Accademia roveretana degli Agiati, il 6 marzo 1929, in occasione della sua nomina a socio ordinario (Bruti 1935, pp. 45 s.). Nella stessa egli rammenta che «finiti gli studi, apersi il mio atelier in patria, in Via delle Orne, poi in Via Oss Mazzurana […]. Ho fatti in tutto il Trentino molti ritratti dal vero, ramo in cui mi si ritiene specialista», come conferma del resto la moglie Armida al suo biografo Riccardo Maroni: «In tutte le case signorili d’ante guerra 1914 vi erano dei suoi lavori, specie in casa baroni Salvadori e baroni Salvotti» (ibid., p. 45). Fra questi spicca quello dell’amico pittore Attilio Lasta, eseguito durante la prima guerra mondiale nel 1917 a Wels (Alta Austria), e caratterizzato da un interessante arabesco di gusto secessionista, un dettaglio che avrebbe connotato successivamente anche alcuni dei ritratti più riusciti di Ratini.
Dario Wolf, nel testo introduttivo alla biografia dell’artista, redatta da Maroni nel 1953, sottolinea l’acutezza di Ratini nella rappresentazione ritrattistica: «Accanto ai ritratti di impegno, dove la ricerca psicologica è valorizzata dalla ricerca stilistica, sia nella risoluzione dello spazio, sia nella tonalità, ammiriamo quelli resi con un’immediatezza sorprendente, eseguiti quasi sempre a pastello in poche sedute, i quali mettono soprattutto in evidenza le sue alte doti naturali di pittore di razza» (p. 9).
Nonostante le numerose commissioni per ritratti e alcune imprese decorative (per la villa Salvotti a Trento e per la chiesa di Sardagna, vicino a Trento), Ratini dovette attendere il 1906 per poter esordire come pittore anche a livello nazionale. L’occasione fu fornita dalla sua partecipazione, insieme ad altri artisti trentini, all’Esposizione internazionale del 1906 svoltasi a Milano in occasione dell’apertura del nuovo valico del Sempione, dove presentò un grande trittico, La tomba di Segantini, oggi di ubicazione ignota, «ispirato alle nostre Dolomiti Occidentali colla Tosa, dove – ci dice il Ratini – servendomi anche del vicino Chegul svolsi tutto il poema di luci e colori della levata e del tramonto del sole, mentre il Genio dei monti piange nostalgicamente la dipartita del loro poeta: Segantini» (Bruti 1935, pp. 45 s.).
Tra il 1910 e il 1911 Ratini fu chiamato come docente di disegno alla Scuola Reale di Trento, l'anno successivo insegnò alla Scuola professionale e nel 1913 divenne docente presso la famosa Real Schule Elisabettina di Rovereto, succedendo al goriziano Luigi Comel. Negli stessi anni partecipava alle iniziative promosse dal Circolo artistico trentino fondato a Trento nel 1913 da Luigi Bonazza, appena rientrato da Vienna. Nel 1913 la sua passione per i grandi poemi dell’antichità romana e greca lo avvicinò a Giulio Benedetto Emert, latinista e grecista con cui avviò un progetto di illustrazione degli stessi, interrotto dallo scoppio della guerra.
Conclusosi il conflitto rientrò a Trento e riprese l’insegnamento; entrò a far parte del nuovo Circolo artistico tridentino e nel 1919 sposò Armida Cescotti di Isera, paese vicino a Rovereto.
Nel 1921 decise di dedicarsi esclusivamente all’arte, come ricorda lui stesso all’amico Bruti (lettera del 6 marzo 1929, presso Rovereto, Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Archivio del ’900, Fondo Maroni, I, 3) e pertanto abbandonò l’insegnamento. Fin dal 1920 attendeva infatti all’illustrazione dell’Iliade, per proseguire fra il 1921 e il 1923 con la serie di illustrazioni tratte dalle Metamorfosi di Ovidio, come le Leggende di Orfeo, di Apollo e Dafne, di Deucalione e Pirra.
Egli stesso riconobbe in seguito che, rispetto alla precedente produzione ritrattistica, «l’opera mia fondamentale fu l’illustrazione di opere e specialmente dei grandi poemi della classicità» (ibid.).
Fra il 1923 il 1924 realizzò le illustrazioni per Il racconto della Bibbia ai fanciulli e al popolo di Ostillo Lucarini per le edizioni Mondadori. Quindi nel 1925 avviò il progetto dell’illustrazione dell’Eneide, destinata, nel pensiero di Ratini, alle grandi celebrazioni virgiliane promosse dal Fascismo per il bimillenario della nascita del poeta del 1930. Purtroppo l’impresa non poté essere portata a compimento, infatti dopo le prime cinque serie costituite da sei tavole ciascuna, nel 1927, dovette interrompere per problemi di salute.
Morì a Trento il 1° dicembre 1934.
La produzione grafica di Ratini, frutto del suo grande amore per i poemi della classicità, risponde ai dettami dell’estetica contemporanea, quella degli anni in cui si va affermando la retorica fascista: essa appare quindi dominata da una propensione al monumentalismo, derivato anch’esso dalla classicità aulica, ma reso attuale dai frequenti riferimenti stilistici al simbolismo di fine Ottocento, da Gustave Moreau a Ferdinand Khnopff, a Gustav Klimt.
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