SABATELLI, Luigi
SABATELLI, Luigi. ‒ Nacque a Firenze nel 1772, figlio di Francesco, domestico presso la famiglia del marchese Pier Roberto Capponi, e di Francesca Falleri.
Fin da giovanissimo gravitò intorno a Benedetto Eredi, incisore tra i più attivi sulla piazza fiorentina, che lo avvicinò in maniera decisiva alla grafica.
L’alunnato presso l’Accademia di belle arti di Firenze, reinaugurata dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena nel 1784, si svolse dapprima al seguito di Santi Pacini, professore di disegno, poi con Pietro Pedroni, professore di pittura. Il periodo trascorso all’Accademia permise a Sabatelli di mettere in mostra la propria abilità di disegnatore. Ottenne da un viaggiatore inglese l’incarico di eseguire una serie di studi grafici delle sculture esposte nell’istituto e conseguì il primo premio per il disegno e il premio per il nudo.
Il rapporto con la famiglia Capponi fu sempre particolare ed esclusivo; fu il marchese Pier Roberto, intuendo le potenzialità del giovane, a sovvenzionare i suoi primi studi nonché il suo trasferimento a Roma (1788), per fornirgli una formazione completa. Nella città pontificia Sabatelli entrò in contatto con i più brillanti pittori della nuova generazione (italiani come Felice Giani e Vincenzo Camuccini e stranieri quali Antoine-Jean Gros, François-Xavier Fabre, Jean-Baptiste Wicar) e con intellettuali ed eruditi, tra cui il pistoiese Tommaso Puccini. Nel fermento della Roma di fine Settecento, fu decisiva la frequentazione della cosiddetta Accademia de’ pensieri, un sodalizio composto da giovani artisti già formati. Durante questo soggiorno si colloca la sua prima opera pittorica, il soggetto ariostesco della Lotta tra Rodomonte e Orlando.
Dopo quattro anni Sabatelli ritornò a Firenze; e nel 1794 ripartì alla volta di Venezia. Il soggiorno veneziano, alla pari di quello romano, fu sostenuto, anche finanziariamente, dal marchese Capponi, nella speranza che Sabatelli apprendesse il «colorito veneziano». Risalgono a questo periodo alcuni ritratti a penna di personaggi locali (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea). La permanenza in laguna fu inframezzata da escursioni in terraferma, nello specifico a Padova, come testimonia uno studio derivato dal rilievo bronzeo con il Miracolo del cuore dell’avaro eseguito da Donatello per l’Altare del Santo (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi).
Con l’arrivo dei francesi a Venezia, Sabatelli fu costretto a riparare rapidamente a Firenze; qui iniziò un decennio fecondo (1795-1808). Progressivamente s’impose sia come interprete di opere a soggetto religioso per le chiese di Firenze e della provincia, sia come pittore profano di soggetti mitologici e allegorici per le decorazioni dei palazzi privati.
Nel 1795, attraverso l’intermediazione dello stuccatore Bartolomeo Casini, ottenne dai monaci certosini l’incarico di eseguire per la certosa del Galluzzo due piccoli quadretti a olio, da collocare sulle pareti laterali della cappella di S. Giovanni Battista: La nascita di s. Giovanni Battista e S. Giovanni Battista che indica Cristo ai discepoli, oggi scomparsi.
Nel 1797 si misurò per la prima volta con la tecnica dell’affresco in casa del marchese Giovanni Gerini. Eseguì il Ratto di Ganimede in un piccolo gabinetto del palazzo e, nella volta del salone, due Putti e quattro medaglioni con Danzatrici.
Insieme all’incremento delle commissioni crebbe anche il suo ruolo all’interno dell’Accademia fiorentina; partendo da alcuni incarichi minori, giunse alla nomina a professore il 19 marzo 1799.
Agli interventi nei palazzi fiorentini Bardi, Tempi, Martelli, Bartolommei, Spinelli e Guicciardini si affiancò una fitta produzione per le chiese di provincia: tra il 1801 e il 1802 eseguì il S. Giusto, pala d’altare ad affresco distrutta nell’Ottocento, nella chiesa di S. Giusto a Ema. Seguirono la decorazione della volta e dell’altare della piccola chiesetta di Doccia annessa alla villa del marchese Ginori, la tela di S. Bernardo degli Uberti strappato dall’altare dagli eretici per l’abbazia di Vallombrosa e l’affresco con S. Girolamo nel deserto nella chiesa di S. Girolamo a Fiesole.
Per il prestigio della committenza, testimonianza del sempre maggior favore goduto da Sabatelli, si devono ricordare i lavori per la basilica di S. Maria Novella, ove dipinse, nei primi anni del secolo, l’Assunta per l’altare maggiore, in loco fino alla metà del secolo, quando venne ritirata dalla famiglia Medici Tornaquinci, e, soprattutto, quelli per il duomo di Arezzo. Qui, tra il 1804 e il 1806, Sabatelli attese all’Abigaille ai piedi di David, grande tela per la cappella della Madonna del Conforto commissionata dal vescovo aretino Niccolò Marcacci.
Il pittore, operando all’interno di un progetto omogeneo che coinvolse anche Pietro Benvenuti, dispiegò una scena grandiosa e affollata, che tuttavia riscosse un successo modesto; la limitata fortuna spinse Benvenuti a difendere il dipinto.
Con La visione di s. Giovanni in Patmos per la parrocchiale di S. Giovanni Evangelista a Montale, Sabatelli affrontò nel 1807 un tema apocalittico su cui, nel corso degli anni, sarebbe successivamente ritornato. Il soggetto si riallaccia alla sensibilità religiosa dell’artista, attratto dalle correnti gianseniste che attraversarono il Granducato di Toscana fin dalla metà del Settecento.
L’attività pubblica di Sabatelli trovò il suo culmine nell’esecuzione di una medaglia per la sala da letto di Maria Luisa di Borbone nella palazzina della Meridiana – all’interno del complesso di palazzo Pitti – raffigurante il Sogno di Salomone, diretta commissione della regina d’Etruria, che ricompensò l’artista con la nomina a «pittore di camera».
Negli stessi anni Sabatelli intensificò la produzione grafica, seguendo un doppio registro; alla pratica disegnativa, che ne fece uno dei più autorevoli e raffinati ritrattisti della sua epoca, affiancò una prolifica attività di incisore, tanto da conseguire presso i contemporanei una fama consolidata.
A questi anni risale, infatti, la maggior parte dei ritratti a penna eseguiti dall’autore (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea), uno straordinario repertorio di volti dell’epoca. Il catalogo si compone di monaci, umili preti, familiari, cui si aggiungono le raffigurazioni di alcune delle più eminenti personalità dell’epoca: intellettuali, artisti, politici (Antonio Canova, Luigi Lanzi).
Tra il 1795 e il 1801 Sabatelli ideò le quattordici acqueforti dedicate alla Via Crucis, una serie che ebbe una notevole diffusione in Toscana e che superò i confini strettamente regionali. Nel 1801-02 eseguì una delle sue composizioni più celebri, La peste di Firenze, in cui il soggetto e la dedica della stampa, rivolta al suo protettore Pier Roberto Capponi, vanno ricondotti agli sconvolgimenti politici dell’epoca, con il crollo del Granducato di Toscana e la nascita del Regno d’Etruria. A questi fogli affiancò una nutrita serie di tavole a soggetto dantesco, in cui l’esibizione di soggetti ripresi dall’Inferno permise all’autore di dare libero sfogo alla sua fantasia e al suo gusto orientato ai toni del sublime e dell’orrifico.
Il successo riscosso con le incisioni, in particolare quelle ispirate all’Inferno, e la grandiosa tela di Arezzo valsero a Sabatelli l’attenzione di Leopoldo Cicognara. Fu proprio l’intellettuale, allora incaricato di seguire la politica artistica del neonato Regno d’Italia, a suggerire, fin dal gennaio del 1807, al viceré Eugenio di Beauharnais di chiamare Sabatelli come professore di pittura nelle Accademie di Bologna o Venezia, riconoscendo il valore europeo della sua arte. Inizialmente indirizzato verso la cattedra di pittura storica presso l’Accademia di belle arti di Venezia, Sabatelli rinunciò all’incarico per subentrare all’Accademia di Brera, nel giugno del 1808, al posto dell’anziano Giuliano Traballesi.
Il secondo decennio dell’Ottocento, quasi esclusivamente consacrato all’insegnamento accademico, vide provenire poche commissioni dall’ambiente milanese: l’esordio fu sancito da una tempera monocroma raffigurante un Baccanale (Milano, Museo Poldi Pezzoli). L’artista, invece, ebbe modo di lavorare a Novara, dove si dedicò a temi mitologici (tre Baccanali per il marchese Tornielli) e religiosi, con l’esecuzione dei quattro Profeti per la cappella del Crocifisso nella basilica di S. Gaudenzio (1810).
I primi anni a Brera si segnalano anche per la presentazione di alcune tra le più famose incisioni del maestro. La visione di Daniele (1809) affonda le proprie radici in un filone già frequentato da Sabatelli, il cosiddetto «sublime visionario» (Spalletti, 1992). La composizione, per consonanze tematiche e stilistiche, nonché per l’adozione del medesimo grande formato, prelude alla serie delle sei Visioni dell’Apocalisse (1809-10), ultima sua grande impresa incisoria.
Solamente verso la fine del secondo decennio Sabatelli iniziò a imporsi anche presso le principali famiglie di Milano. Nel 1819 decorò la volta di una sala da pranzo di palazzo Annoni, con il soggetto di Giove con Giunone e Ganimede; a questo lavoro seguirono nel 1820 quello in casa Arconati e Il ballo delle ore davanti a Giove nel distrutto casino dei Nobili, eseguito in occasione della visita dell’imperatore Francesco I. Il successo di queste decorazioni valse a Sabatelli la chiamata a Cremona, dove concepì i grandiosi affreschi mitologici (Giove allattato dalla capra Amaltea e Prometeo che rapisce il fuoco dal carro del Sole, 1820 circa) per due sale del palazzo Mina-Bolzesi.
Anche durante gli anni milanesi Sabatelli non recise i legami con la patria di origine; fin dal principio del secondo decennio fu incaricato di pensare a un ciclo che ornasse la cosiddetta sala de’ Novissimi di palazzo Pitti (poi detta, per il tema delle scene, sala dell’Iliade). La scelta dell’iconografia fu frutto di un processo lungo e travagliato, legato a doppio filo alle vicende politiche del Granducato.
Nel 1812-13 nacque l’idea di una decorazione organica da realizzare all’interno della reggia di Pitti: i soggetti pittorici, tratti dalla storia antica, dalla mitologia, dai poemi omerici, furono assegnati a diversi pittori, che gravitavano soprattutto nell’orbita di Benvenuti e di Sabatelli, considerati i due capiscuola della moderna pittura fiorentina. Fu merito del nuovo granduca Leopoldo II se i contratti, stipulati all’epoca di Elisa Baciocchi, furono rispettati e «gran parte dei soggetti mitologici, allegorici, omerici o virgiliani rimasero inalterati, a conferma delle molteplici possibilità di lettura offerte da quei temi» (Spalletti, 1991, p. 301).
Sabatelli articolò gli affreschi, dipinti con un’accesa e vivacissima cromia di stampo neoveneto, in un tondo centrale – l’Olimpo, ovvero «Giove che ordina agli Dei di non immischiarsi nella guerra di Troia» (Cenni..., 1900, p. 31, n. 34) – e in otto lunette parietali, raffiguranti scene derivate dall’Iliade. Al ciclo partecipò anche il figlio Francesco, che coadiuvò il padre nel lavoro e attese autonomamente all’episodio di Ettore che mette in fuga i Greci.
Il rinnovato prestigio spinse i francescani della basilica di S. Croce ad avvalersi dell’artista per l’esecuzione della decorazione della cappella Ricasoli, intitolata a S. Antonio. Coinvolti anche i figli Francesco e Giuseppe, Sabatelli raffigurò ad affresco, nella lunetta sinistra, S. Antonio che risana la moglie di un soldato (1825-26) e preparò il grande modello per Il miracolo della mula, trasposto su tela dal figlio Giuseppe.
Il terzo decennio si chiuse con un gran dipinto a olio, incentrato su un soggetto di particolare valenza storica e civica: Pier Capponi che straccia i capitoli davanti a Carlo VIII (1830), oggi noto solamente attraverso incisioni, e acquistato dal marchese Gino Capponi. Il marchese, figlio dell’antico mecenate, proseguì la vocazione del genitore: alla sua collezione appartennero un piccolo dipinto di Sabatelli raffigurante il Duello fra Arunte e Bruto e il bozzetto della Difesa di Volterra fatta da Ferruccio (1840).
Fino alla fine della sua carriera Sabatelli alternò ai numerosi impegni artistici l’attività di insegnante di pittura all’Accademia, avvalendosi di Francesco Hayez come sostituto durante i periodi di assenza.
Su richiesta del granduca Leopoldo II eseguì nel 1830 il proprio Autoritratto (Firenze, Galleria degli Uffizi). A Milano lavorò per la contessa Luigia Busca Serbelloni, decorando con le Nozze di Amore e Psiche in presenza di Giove una sala da pranzo del palazzo di famiglia, opera celebrata da Giuseppe Sacchi.
Nella seconda metà di quel decennio fu attivo in due grandi cantieri. Per il duomo di Milano fu incaricato di preparare il modello dell’Assunta (1834-35), dipingendo su seta il bozzetto preparatorio della vetrata eseguita da Giuseppe Bertini. A Valmadrera affrescò nella cupola della parrocchiale la Visione dell’Apocalisse, accompagnata nei pennacchi dalle quattro Virtù cardinali, una commessa del ricco industriale Giuseppe Gavazzi.
A Firenze fu coinvolto nella decorazione della Tribuna di Galileo, di recente edificazione nel Museo della Specola, raffigurando alcuni episodi della vita dello scienziato: Galileo che osserva la lampada nel duomo di Pisa; Galileo che presenta al Senato veneziano il suo cannocchiale; Galileo cieco in conferenza con Viviani e Torricelli. Negli stessi anni si distinse per alcuni lavori nelle ville della provincia: tra questi, spicca il Bramante che presenta il giovane Raffaello al pontefice Giulio II (1840), che Sabatelli affrescò nella villa di Scornio per Niccolò Puccini, nipote del mecenate Tommaso.
Gli ultimi anni furono improntati all’esecuzione di piccoli quadri da cavalletto, con l’eccezione dell’impresa decorativa per i padri filippini della chiesa di S. Firenze (1841-46), dove, con l’aiuto dei figli Giuseppe, Luigi junior e Gaetano, Sabatelli affrescò la Gloria della Vergine nella calotta della cappella del Sacramento. In questi anni si collocano gli otto quadroni con Storie della Passione (1846-50) per il santuario del Ss. Crocifisso dei Miracoli a Borgo S. Lorenzo, dipinti in collaborazione con gli allievi.
Sabatelli si dedicò anche al restauro. A Pistoia è documentato l’intervento sugli affreschi di Giovanni da San Giovanni nella cappella di S. Caterina in palazzo Rospigliosi (1829), mentre a Mantova intervenne, su richiesta del viceré del Lombardo-Veneto Ranieri d’Asburgo, sugli affreschi di Giulio Romano in palazzo Te (1845).
Morì a Milano il 29 gennaio 1850.
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