SANVITALE, Luigi
– Nacque a Parma il 7 novembre 1799 dal conte Stefano e dalla principessa Luigia Gonzaga.
Apparteneva al ramo primogenito di una delle più antiche famiglie della nobiltà parmense e fu il sesto di otto fratelli: Amalia (1791), Isabella (1792), Ferdinanda (1794), Luigia (1795), Costanza (1797), Teresa (1802), Giovanni (1804); due fratelli morirono appena nati: Giacomo (1798) e Biagio (1805).
Luigi passò gran parte della fanciullezza nella rocca di famiglia a Fontanellato. In quel borgo il padre aveva fondato due istituti d’educazione e di lavoro per fanciulli indigenti: la Scuola delle figlie della carità (1801) per le femmine e la Scuola di S. Stefano (1802) per i maschi. Il conte Stefano, infatti, sensibile alle sollecitazioni di rinnovamento sociale e politico, si contraddistinse per l’attività filantropica e divenne, nel 1806, il primo maire della città di Parma.
La formazione di Sanvitale avvenne, dapprima, sotto la guida di un precettore: a questo ufficio il padre chiamò Vincenzo Mistrali, formatosi nello studio di Étienne Bonnot de Condillac, degli enciclopedisti e, in particolare, di Jean-Jacques Rousseau, e poi importante uomo politico sia sotto il governo francese, sia sotto il governo di Maria Luigia. In seguito, Sanvitale continuò i suoi studi nel Collegio di Monza e, dal 1815, a Siena, nel Collegio Tolomei, retto dai padri delle Scuole pie. Qui, tra gli insegnanti, ebbe Celestino Mazzucco per retorica, Massimiliano Ricca per fisica teorica e sperimentale, Santi Linari per matematica e astronomia.
Luigi fece ritorno a Parma nell’ottobre 1818. Gli anni successivi lo videro impegnato in numerosi viaggi: a Venezia e Milano (1819), Milano, Svizzera, Francia (1822), Svizzera (1823), Trieste (1824), Roma e Napoli (1825), Trieste (1832), Svizzera e Confederazione Germanica (1839) in compagnia del naturalista Giorgio Jan, Firenze (1842). In quelle occasioni si mostrò attento alle innovazioni tecniche, così come a coltivare gli interessi di carattere educativo: a Yverdon incontrò Johann Heinrich Pestalozzi e a Firenze visitò vari asili d’infanzia, tra cui quelli diretti dal marchese Carlo Torrigiani, suo compagno di studi a Siena.
Promosse istituzioni per l’istruzione dei fanciulli bisognosi, associazioni di mutuo soccorso fra lavoratori, sostenendo anche la necessità di un miglioramento delle condizioni dei carcerati. In particolare, nel 1839 fu eletto presidente della Pia unione di S. Bernardo, che sotto la sua guida venne trasformata in società di mutuo soccorso. Avversò, invece, ogni connotazione politica dell’associazionismo dei lavoratori.
Sul piano politico, Sanvitale espresse una posizione liberale moderata, «sottile» secondo un termine a lui caro. Ai suoi occhi si contrapponevano «due specie di politica», una che «mette radici» e una che «passa e non dura», la prima «previdente, paziente, silenziosa [...] intenta ad avere ogni mezzo d’usare a tempo forza e ardimento», l’altra «impaziente, loquace, fragorosa [...] pronta sempre ad intraprendere: piena di fiducia nell’avvenire e avversa alle sottili previdenze (Archivio di Stato di Parma, Archivio famiglia Sanvitale, b. 923, Memoriale n. 1).
Sostenitore di una forma di governo monarchico-costituzionale, nel 1848 mostrò una particolare sensibilità per la prospettiva dell’unità italiana, dapprima in ottica federalista – in quell’anno fu vicepresidente della Società nazionale della confederazione italiana che prese vita a Torino sotto la presidenza di Vincenzo Gioberti – e in seguito abbracciando la prospettiva unitaria sabauda.
Marcata, al contempo, fu l’avversione che Sanvitale nutrì nei confronti di Giuseppe Mazzini, accusato di sostenere una visione miope, violenta ed eversiva. All’indomani del 1861 tale giudizio subì una parziale attenuazione e, nel 1872, in occasione della morte del genovese, ne parlò nei termini di un «patriota [...] promotore della unità e della libertà del paese d’Italia» (ibid., n. 12). Vi contribuì il fatto che dal 1864 la fonte principale delle sue preoccupazioni politiche divenne la «società demagogica internazionale europea» (ibid.) e, con essa, il diffondersi delle istanze socialiste e comuniste.
Fino al 1847 era stato pienamente inserito nell’entourage della duchessa Maria Luigia, della quale fu uno dei ciambellani in permanenza di servizio; non mancarono voci anche di una loro presunta relazione. In occasione dei moti del 1831, che videro in primo piano il cugino Jacopo, Sanvitale restò fedele alla duchessa e fu tra il seguito che l’accompagnò quando lasciò Parma. Il 26 ottobre del 1833 sposò la figlia di Maria Luigia e del conte Adam Neipperg, Albertina di Montenuovo, allora sedicenne. Dalla loro unione nacquero quattro figli: Maria (1836) e Lodovica (1840), entrambe morte in tenera età, Alberto (1834-1907) e Stefano (1838-1914). Nel 1841 chiamò come precettore dei figli il senese Giovanni Caselli, studioso di fisica e inventore del pantelegrafo (1856), il quale avrebbe partecipato attivamente con lui ai moti del 1848.
Gli anni del governo luigino videro anche l’inizio del suo impegno filantropico, in particolare sul versante educativo: tra il 1843 e il 1844 presero avvio, sotto la sua cura, gli Asili d’infanzia per i fanciulli bisognosi, maschi e femmine, e la Casa di Provvidenza «pe’ fanciulli maschi, i quali man mano usciranno dagli Asili infantili» (decreto n. 22, 1844). Come esplicitò lo stesso Sanvitale, la ‘scintilla’ di queste iniziative fu l’opera di Ferrante Aporti, il quale, già nel dicembre del 1843, gli manifestò il proprio apprezzamento. Un rapporto su queste iniziative fu inviato a Milano nel settembre 1844, in occasione della sesta riunione degli scienziati italiani, durante la quale venne anche indicato il suo nome per una commissione di studio sul regolamento delle società di mutuo soccorso per gli artigiani.
La situazione mutò con il ritorno dei Borbone, con gli eventi del 1848 e, in particolare, con l’arrivo, nel 1849, per l’abdicazione del padre, di Carlo III «il quale per violenta natura, e per ferreo comandare fu avuto in odio dai sudditi» (Archivio di Stato di Parma, Archivio famiglia Sanvitale, b. 913, Commentario 1855). Morta nel dicembre 1847 Maria Luigia, il governo del ducato era passato a Carlo II di Borbone. Il 20 marzo 1848, con il propagarsi anche in città della rivoluzione nazional-patriottica, Sanvitale fu designato dallo stesso duca membro della «Reggenza dello Stato coi supremi poteri di dare le istituzioni e i provvedimenti necessari» (decreto reale n. 1, 1848). In aprile alla Reggenza subentrò, vedendo sempre la presenza di Sanvitale, un governo provvisorio, che intensificò il processo di annessione al Regno sardo. Questa venne sancita dai ‘liberi voti’ plebiscitari di maggio e Sanvitale fece parte della delegazione incaricata di presentare l’atto di dedizione a Carlo Alberto.
Il 6 giugno 1848 quest’ultimo lo nominò senatore del Regno di Sardegna, carica da cui Sanvitale si dimise nel dicembre del 1849. Con il ripristino del governo borbonico, venne condannato all’esilio e al sequestro dei beni. Trovò riparo nel Regno di Sardegna, fino a quando, a seguito dell’uccisione del duca, la reggenza fu assunta dalla vedova Luisa Maria, che decretò dapprima la restituzione dei beni e di lì a poco il suo rientro in patria, avvenuto il 17 ottobre 1854.
Nei confronti della reggente, Sanvitale ebbe un sentimento di vera gratitudine riconoscendole «animo generoso, benefico, e forte volontà perspicace, riparatrice dei mali» (Archivio di Stato di Parma, Archivio famiglia Sanvitale, Commentario 1855). Al tempo stesso, le sofferenze patite lo spinsero a isolarsi a Fontanellato, dove si dedicò in particolare alla famiglia e agli interessi letterari: attento alla produzione del suo tempo – per esempio fu estimatore di Gioacchino Belli – , egli stesso fu autore di vari componimenti poetici.
Il passaggio dal ducato al Regno d’Italia lo vide nuovamente protagonista sulla scena politica. All’indomani del plebiscito per l’annessione al Regno di Sardegna, il 18 marzo 1860 venne nominato senatore del regno; relatore della sua nomina fu Luigi Cibrario, al quale fu legato da una stretta amicizia. Tra marzo e settembre fu sindaco di Parma e in quella veste, il 6 giugno, accolse Vittorio Emanuele II in visita alla città; in novembre venne designato dal Consiglio provinciale tra i membri della delegazione incaricata di sostenere la necessità di una linea ferroviaria Parma-Spezia.
Tra i numerosi altri incarichi, mantenne la presidenza degli Asili d’infanzia e della Casa di Provvidenza. Seguì i lavori parlamentari, prima a Torino e poi a Firenze. La presenza nella città toscana favorì tra l’altro l’amicizia con il collega senatore Gino Capponi, con il quale condivise l’interesse per gli asili rurali.
Dopo la morte del cugino Jacopo, figura alla quale fu sempre legato, nell’ottobre 1867, accettò di subentrargli nella carica di presidente della Deputazione di storia patria. Quell’anno, infine, si chiuse con un lutto che segnò in modo profondo il resto della sua esistenza: la morte della moglie, appena cinquantenne, il 26 dicembre.
Tra i suoi ultimi incarichi pubblici vi fu la presidenza del comitato esecutivo del Primo congresso artistico italiano e relativa ‘esposizione d’arti belle’, che si tennero a Parma nel settembre-ottobre 1870. In quell’anno salutò positivamente l’annessione di Roma, ma il successivo trasferimento del Senato nella nuova capitale determinò la sostanziale interruzione della sua attività parlamentare. Sostenitore della centralità del sentimento religioso per la vita dell’individuo e della società, affermava tuttavia che «la reverenza delle sacre chiavi vietar non dee che sia l’Italia unita» (Archivio di Stato di Parma, Archivio famiglia Sanvitale, b. 923, Memoriale n. 5).
Morì a Parma il 3 gennaio 1876.
Vent’anni prima, in uno scritto ad Angelo Pezzana, così aveva tratteggiato il proprio epitaffio: «in solitudine malinconioso, pensieroso; in compagnia gioviale, conversativo, frizzante. Vide le Corti e vi ebbe onori, favori, disgrazie non superabili. Fervidamente amò la sua patria. Ad istituti benefici rivolse opera e cuore. Tenne in pregio l’italiana letteratura. Sfortunato il fecero politiche sovversioni, ed a’ suoi lunghi mali trasse risarcimento e conforto dagli studi, da moglie amorosa, provvidente, dai figliuoli, da pochi fedeli amici» (b. 913, Commentario 1855).
Fonti e Bibl.: Una ricca documentazione su Sanvitale è conservata presso l’Archivio di Stato di Parma, Archivio famiglia Sanvitale, in particolare si vedano i Memoriali e i Commentari. Inoltre: G. Adorni, Vita del conte Stefano Sanvitale, Parma 1840, pp. 84, 109-112, 132-134, 142, 160, 186 s., 246, 260 s., 309; L. Scarabelli, S. conte L. senatore, in A. Calani, Il Parlamento del Regno d’Italia, Milano 1860-1866, pp. 695-706; V. De Castro, Cenni biografici del signor conte L. S. senatore del Regno, Borgomanero 1873; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 400-403; R. Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, III, Parma 1999, pp. 319 s.; N. Antonetti, L. S. e Filippo Linati. Due nobili parmigiani, tra ducato e unità d’Italia, in Storia di Parma, VI, Da Maria Luigia al Regno d’Italia, a cura di N. Antonetti - G. Vecchio, Parma 2016, pp. 153-163; Archivio storico del Senato, I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, sub voce, http://notes9. senato.it/Web/ senregno.nsf/S_l?OpenPage.