SAVIGNONI, Luigi
– Nacque a Montefiascone (Viterbo) il 20 agosto 1864, da Venceslao, ingegnere, e da Amalia Piccioni.
Compiuti nella città natale i primi studi filologico-letterari sotto la guida di don Pietro Guidazio, tra i più dotti insegnanti del locale seminario vescovile, si trasferì diciassettenne a Roma per completare «la sua educazione classica col sussidio delle lingue moderne» (Pernier, 1918b, p. 116), laureandosi nel 1887 a pieni voti in lettere. Frequentò quindi con profitto, assieme ai pressoché coetanei Lucio Mariani e Giovanni Patroni, la Scuola di perfezionamento archeologico attiva da un ventennio presso l’Ateneo romano (1890-93), entrando in tal modo in più vivo contatto con diversi, importanti ‘maestri’ che plasmarono la sua personalità scientifica (Ettore De Ruggiero, Rodolfo Lanciani, Emanuel Löwy), ma soprattutto con quelle che devono considerarsi, a tutta prima, le autentiche figure-guida dei suoi Bildungsjahre: Luigi Pigorini e Federico Halbherr, ai quali rimase sempre devotamente legato. Fu proprio nelle vesti di alunno della Scuola al terzo anno di corso che poté, come previsto dal relativo statuto, soggiornare a lungo nella Grecia europea e asiatica ed essere di conseguenza cooptato dall’epigrafista roveretano nell’impresa cretese; impresa che, avviata nel 1884 su iniziativa di Domenico Comparetti e divenuta missione ufficiale governativa solo un quindicennio più tardi, ebbe il merito di conferire una dimensione scientifica internazionale – non disgiunta da quella politica – all’attività archeologica italiana nel Mediterraneo.
Dopo la propedeutica Peloponnesos und Inseln Reise del 1893, effettuata assieme ai colleghi antichisti ‘romani’, Savignoni ebbe parte attiva nella fervida stagione topografica delle ricerche halbherriane nell’isola egea, vedendosi affidata nel 1896 la compilazione del catalogo delle raccolte archeologiche candiote, dedicandosi con Gaetano De Sanctis alla metodica esplorazione del soprasuolo delle province occidentali cretesi (estate 1899) e, non ultimo, collaborando in prima persona allo studio metodico dei reperti rinvenuti nel corso degli scavi compiuti nei siti di Gortyna, Lebena, Phaestòs, Haghia Triada e Axòs (1900, 1902 ecc.), ormai liberi dal secolare controllo turco. La fecondità di tutte queste esperienze da archeologo militante è dimostrata dalle molteplici pubblicazioni monografiche apparse a suo nome in quegli anni, principalmente per i tipi dell’Accademia dei Lincei (Rendiconti e Memorie).
Nel frattempo, sempre alla ricerca di una posizione lavorativa stabile, di preferenza in ambito universitario, era entrato nei ruoli del Servizio archeologico nazionale come ispettore ai musei, gallerie e scavi del Regno (1895), venendo dapprima assegnato al Museo di Villa Giulia a Roma e successivamente al Museo archeologico di Napoli (sino al giugno del 1901), in entrambi i casi con specifiche mansioni di riordino amministrativo e scientifico delle relative collezioni antiquarie.
Rimontano a quegli anni alcune competenti relazioni su scavi etrusco-laziali da lui non direttamente condotti (Perugia. Tomba etrusca contenente ricca suppellettile funeraria, scoperta presso la città, in Notizie degli scavi di antichità, s. 5, 1900, pp. 553-561, con F. Moretti; Grottaferrata. Recenti scoperte nei Colli Albani, ibid., 1902, 3, pp. 114-117).
Coinvolto, suo malgrado, nelle acerrime lotte di potere che caratterizzavano la comunità archeologica del tempo (M. Barnabei - F. Delpino, Le “Memorie di un archeologo” di Felice Barnabei, Roma 1991, ad ind.), e uscito peraltro sconfitto, nell’ottobre del 1897, dal concorso per la cattedra di archeologia vacante nell’Università di Pavia (Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, 29 aprile 1898, n. 100, pp. 1589 ss.), alla fine del 1901 venne chiamato con voti unanimi a Messina come primo straordinario della stessa disciplina in quella sede, esponendo, all’apertura dell’anno accademico (17 febbraio 1902), la prolusione Importanza e materia dell’archeologia (data alle stampe nello stesso anno) nella quale difendeva la specificità e la dignità accademica della «Scienza che ha per soggetto lo studio dei monumenti antichi» (p. 5) e propugnava un approccio globale e multidisciplinare alla ricostruzione storica del passato (La Rosa, 2003). Promosso ordinario il 1° dicembre 1905, rimase all’ombra dello Stretto fino al terribile sisma del 1908, tenendo lezioni vaste e complesse di taglio löwiano, con speciale riguardo al periodo arcaico e aureo della cultura artistica greca (tra i suoi allievi si annovera, in questo torno di tempo, Nicola Putortì). Chiusa la facoltà e interrotta la didattica dal ministro Luigi Rava, riuscì a farsi comandare pro tempore presso la facoltà letteraria dell’Università di Roma (d.m. 15 giugno 1910), dove supplì a più riprese Halbherr (impegnato in scavi su suolo greco) nell’insegnamento di epigrafia greca e dove gli fu anche consentito di professare, per un breve periodo, l’archeologia italica.
Furono proprio gli interessi paletnologici di Savignoni, nonché la sua conoscenza ravvicinata delle «cittadelle micenee» maturata nei cantieri ellenici, i presupposti che indussero Pigorini, alto esponente del ministero della Pubblica Istruzione, ad affidare a lui, in sinergia con l’ingegnere Raniero Mengarelli, l’esecuzione di scavi sistematici (1901-03) nel sito dell’antica città di Norba, sul versante pontino dei Monti Lepini: scavi che, condotti con rigoroso metodo stratigrafico e speditamente pubblicati nelle Notizie degli Scavi, diedero un contributo decisivo alla soluzione della cosiddetta questione pelasgica, riconducendo entro un orizzonte romano-repubblicano molti tra i mirabili «recinti ciclopici» dell’Italia centrale appenninica e nel contempo assestando un duro colpo ai sostenitori di un’origine alloctona-orientale della civiltà etrusco-italica (Nizzo, 2014, pp. 265 ss.). L’archeologo viterbese, del resto, si era già trovato nelle condizioni di apportare il suo contributo specialistico alla revisione critica di preconcette e mal fondate teorie sulla storia primitiva dell’Urbe, come quando, intervenendo nella violenta diatriba sorta a seguito della scoperta del cippo bustrofedico del Foro (30 maggio 1899), aveva prontamente fornito inequivocabili «documenti positivi» sulla bassa cronologia del contesto di riferimento (A. Porretta, La polemica sul ‘Lapis Niger’, in Acme, LVIII (2005), 3, pp. 98 ss.).
Dopo esser stato richiamato in servizio nell’isola dal ministro Luigi Credaro (d.m. 12 ottobre 1910) e aver ottenuto, negli anni seguenti, diversi periodi di aspettativa non retribuita per gravi motivi di salute (supplito da Pericle Ducati), nel dicembre del 1914 venne trasferito «per chiara fama» alla cattedra di archeologia del R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze: cattedra che era stata per un ventennio di Luigi A. Milani e che Savignoni tenne sino alla morte, imprimendo un indirizzo più concretamente storico-artistico alla didattica archeologica rispetto al predecessore (La Penna, 1986).
Logorato da una fiera malattia del sistema nervoso centrale (nevrite), morì appena cinquantatreenne, a Firenze, il 14 marzo 1918.
Prima della scomparsa, aveva fatto in tempo ad accarezzare l’idea di vedersi assegnato presso la romana Sapienza l’insegnamento che era stato del suo amato maestro Löwy. La fine prematura non gli consentì di portare a termine molti dei lavori pure abbozzati (come il Catalogo illustrato dei vasi dipinti, greci e italici, del Museo di Villa Giulia) ovvero lasciati incompiuti «perché alla prontezza della concezione contrapponeva la lunga e coscienziosa elaborazione della materia e lo studio paziente della dicitura» (Pernier, 1918b, p. 128). Attivo sul fronte scientifico dal 1890 al 1916, la sua non copiosa produzione si articola in due fasi abbastanza ben distinte, cui fa da spartiacque l’avvio della carriera universitaria. Ai giovanili saggi di illustrazione di antiche opere figurate greco-romane (sculture, pitture vascolari e altro) e agli arditi studi sui nessi tra arte ellenica ed etrusca (dalle deduzioni talora discusse e discutibili), si associano infatti, dal 1901 in avanti, ampie memorie di archeologia monumentale e di paletnologia italica e pre-ellenica, tutte caratterizzate da una scrupolosa attenzione al contesto e ai dati concreti (Realien) da questo desumibili. Ciò fece di Savignoni un moderno e penetrante interprete della scienza prediletta, status che condivise soprattutto (ma non soltanto) con l’amico e collega Lucio Mariani, anche lui morto nel pieno della maturità intellettuale.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore 1908-61, Fascicoli personali professori ordinari, II vers., Serie prima (1900-40), b. 135; Università degli studi di Roma La Sapienza, Archivio storico, Scuola nazionale di archeologia, Serie seconda, Allievi, b. 10, f. 49. Corrispondenza di Savignoni è conservata presso l’Università degli studi di Padova (Fondo Pigorini, ad vocem) e a Roma, all’interno dei due nuclei di Carte Barnabei, rispettivamente in deposito presso la Biblioteca Angelica (b. 400/17) e la Biblioteca di archeologia e storia dell’arte (passim).
Profili, necrologi e commemorazioni: L’Università italiana, XVII (1918), 3-4, p. 35; L. Pernier, in Cronaca delle belle arti, suppl. a Bollettino d’arte, V (1918a), 5-8, pp. 39 s.; Id., in Atene e Roma, XXI (1918b), 235-237, pp. 115-130 (con bibl.); L. Pigorini, in Atti della R. Accademia dei Lincei, Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, XXVII (1918), 3-4, p. 101; W.N. Bates, in American Journal of archaeology, XXIII (1919), 1, p. 77.
P. Mingazzini, S., L., in Enciclopedia Italiana, XXX, Roma 1936, p. 923; P. Tofini, Gli studiosi della terra e dell’universo, Roma 1981, pp. 130 s.; A. La Penna, Gli studi classici dalla fondazione dell’Istituto di studi superiori, in Storia dell’Ateneo fiorentino: contributi di studio, I, Firenze 1986, pp. 229 s.; V. La Rosa, L. S.: una prolusione di inizio secolo a Messina, in Archeologia del Mediterraneo. Studi in onore di Ernesto De Miro, a cura di G. Fiorentini - M. Caltabiano - A. Calderone, Roma 2003, pp. 439-453; G. Breccola, L. S. Un archeologo da ‘riscoprire’, in La Loggetta, 2013, n. 95 (aprile-giugno), pp. 125-127; V. Nizzo, Il dibattito sull’origine degli italici nell’età di L. Pigorini: dall’antiquaria all’archeologia, in 150 anni di Preistoria e Protostoria in Italia, a cura di A. Guidi, Firenze 2014, pp. 261-267; M. Barbanera, Storia dell’archeologia classica in Italia, Roma-Bari 2015, ad indicem.