SCARAVELLI, Luigi
– Discendente da antiche famiglie blasonate (il padre era marchese e la madre baronessa), nacque a Firenze il 19 luglio 1894 da Enrico, piemontese, e da Elisa Stabile, siciliana.
I genitori si erano conosciuti a Firenze dove il padre si era da tempo trasferito e la madre era stata inviata a studiare presso il collegio di Poggio Imperiale secondo un’abitudine consolidata per le figlie delle nobili casate siciliane.
La formazione scolastica di Luigi avvenne, pertanto, tra la Sicilia (il Regio ginnasio Leonardo Ximenes di Trapani) e Firenze (il Regio liceo Galileo Galilei), dove studiò anche contrappunto con Giannotto Bastianelli. Terminato il liceo nel 1913, Scaravelli si iscrisse alla facoltà di matematica dell’Università di Pisa (resa celebre dall’insegnamento di Ulisse Dini che dell’Ateneo pisano era stato anche rettore e che nel 1908 era passato a insegnare alla Scuola normale superiore), abbandonandola dopo un solo anno per iscriversi a medicina presso l’Istituto di studi superiori di Firenze.
Scoppiata la guerra, partì come volontario di artiglieria, scegliendo di non proporsi come ufficiale medico – posizione alla quale il suo status di studente di medicina gli avrebbe consentito di ambire – per sperimentare la realtà del fronte senza la condizione di relativo privilegio e la maggior sicurezza rispetto ai rischi più gravi del conflitto garantite da quel ruolo, benché, a differenza di molti dei suoi amici più stretti, che, come la maggior parte dei giovani, erano allora ‘interventisti’, Scaravelli parteggiasse per la neutralità. Nel corso del 1916, durante un’azione bellica, il plotone da lui comandato venne circondato dagli austriaci e Scaravelli, per non consegnarsi al nemico, si gettò da un dirupo, venendo soccorso dalle forze italiane dopo una caduta che gli costò mesi di ricovero. Dimesso alla fine di una lunga convalescenza, ritornò all’esercito, ma, questa volta, come aspirante ufficiale nei ranghi sanitari, prestando servizio dapprima presso l’ospedale militare di Firenze, poi presso un ospedale da campo in Albania. L’impegno relativo che tale condizione comportava gli permise di dedicare una parte del suo tempo alla lettura e di imbattersi in alcune opere filosofiche, tra le quali la Teoria generale dello spirito come atto puro di Giovanni Gentile. Così, quando venne congedato, nel 1920, Scaravelli abbandonò anche la facoltà di medicina (pur essendo ormai prossimo al traguardo della laurea) e si iscrisse all’ultimo anno del corso di laurea in filosofia, conseguendo finalmente il titolo di dottore in questa disciplina nel 1923, dopo aver discusso una tesi su La logica dell’astratto nel sistema dell’idealismo attuale con Armando Carlini, che aveva sostituito Gentile (al quale era molto legato, sia umanamente sia accademicamente) a Pisa sulla cattedra di filosofia teoretica.
Ebbe inizio, a questo punto, un periodo di ‘peregrinazione’ che portò Scaravelli, innanzitutto, a Sassari – dove fu destinato subito dopo aver vinto, nel 1925, il concorso per l’insegnamento nei licei – e successivamente, per un anno, alla Columbia University di New York con una borsa di studio. Qui ebbe modo di seguire un corso seminariale tenuto da John Dewey e conobbe Mario Soldati, stringendo con lui un intenso rapporto di scambio intellettuale. Fatto ritorno in Italia e all’insegnamento secondario, fu presto trasferito, anche per diretto intervento di Gentile, all’Istituto di studi germanici di Villa Sciarra in Roma, di recentissima fondazione, diretto da Giuseppe Gabetti, dove Scaravelli conobbe il quasi coetaneo (era più giovane di due anni) Carlo Antoni, legandosi con lui di solida e durevole amicizia.
Nel 1932 trascorse un periodo in Germania, per perfezionare la conoscenza della lingua e approfondire i temi del pensiero contemporaneo tedesco, a cominciare da quello di Martin Heidegger, a proposito del quale, rientrato in Italia, scrisse e pubblicò uno fra i primi contributi apparsi da noi su questo pensatore. Fu, in seguito, destinato dapprima come lettore all’Università di Bonn (dove, però, non prestò mai servizio), poi, come docente, presso un liceo scientifico in Svizzera, infine, in successione, presso diversi istituti italiani di cultura: ad Atene, Bruxelles, Zagabria e Lisbona.
Nel novembre del 1940 sposò Vanda Passigli (dalla quale ebbe due figli, Paola e Alberto), che apparteneva a una delle più note famiglie ebraiche di Firenze (cosa che, durante l’occupazione tedesca della città, li costrinse a una vita semiclandestina), e che proveniva da un ambiente intellettuale con interessi soprattutto musicali (che Scaravelli condivideva, essendo stata la musica una sua passione costante e continua). Tornato stabilmente in Italia, diede finalmente alle stampe dopo una lunghissima gestazione e una stesura molto complessa, ricca di modifiche e ripensamenti, quella che resta la sua opera principale: la Critica del capire (Firenze 1941).
Libro singolarissimo e dall’andamento incalzante, il suo tema è rappresentato dalle principali categorie logiche, quelle che entrano in gioco, in particolare, nel giudizio storico: differenza, identità, contraddizione, a ciascuna delle quali è dedicato un capitolo specifico (anche se non sempre il loro titolo lo dichiara espressamente), più due capitoli in cui si esaminano le dinamiche dei loro rapporti, che prendono corpo nella sintesi (dialettica oppure a priori) e nell’analisi. L’aspetto più paradossale dell’opera, soprattutto se si tiene conto del suo intento – Scaravelli era mosso, come abbiamo detto, dall’interesse per il giudizio storico, questione che era venuta maturando a partire dai problemi metodologici cui si trovò posto di fronte fin dal suo primo progetto di ricerca, dopo la laurea, rivolto a studiare il concetto dell’arte in Platone –, è rappresentato dal fatto che, invece di concludersi e coronarsi con l’esame della sintesi, la Critica del capire termina con la trattazione del procedimento analitico, che rimette in discussione tutto il percorso compiuto e la possibilità stessa di giungere a dare un senso al problema della comprensione della realtà storica (ossia la realtà in quanto tale, cioè la realtà nel suo essere e farsi, molteplice e mutevole).
La pubblicazione del volume, anche se si era tradotta, per lui, in una sorta di ‘scacco’ filosofico, gli valse comunque il conseguimento della libera docenza (questa fu probabilmente anche l’unica ragione che lo convinse a interrompere il lungo lavorio che durava da una decina di anni e a consegnare il testo all’editore), cosa che gli consentì l’accesso all’insegnamento universitario, come professore incaricato a Pisa, e poi a Roma (dove fu chiamato a sostiture Pantaleo Carabellese), fino all’ottenimento, nel 1951, dello straordinariato e nel 1954 dell’ordinariato.
Dopo la Critica del capire, la riflessione di Scaravelli si venne concentrando su due temi e due autori: la questione, mai dismessa, del giudizio storico (che per lui corrispondeva alla comprensione della spontaneità come realtà, naturale e umana) e quella della sintesi. Scaravelli cercò di riprendere la prima muovendo da Benedetto Croce, la seconda a partire da Immanuel Kant.
Ora, la sintesi a priori di quest’ultimo, che si sarebbe poi ripresentata in Croce, si dimostrava, all’esame ravvicinato condottone da Scaravelli, incapace di includere in sé e giustificare l’autentica dimensione della vita come spirito e come storia. Ma permetteva, invece, di fornire un’anticipazione sia pure solo generica del grado e della sua intensità, vale a dire di quel carattere della realtà fenomenica che non può essere definito nella sua specifica determinatezza che a posteriori, prestandosi quindi ad applicazioni che oltrepassavano l’ambito della fisica classica per estendersi a quello della fisica contemporanea, relativistica e, soprattutto, quantistica, contraddistinta, quest’ultima, in particolare, da una ridotta applicabilità del principio di determinazione. Questo, verosimilmente, fu il motivo per il quale lo studio su Croce non giunse a compimento, mentre quello su Kant, pur frammentandosi in contributi diversi, finì per diventare l’unico impegno al quale Scaravelli, dopo la Critica del capire, seppe dare seguito in una serie di piccole monografie, le cui conclusioni rappresentarono per lui anche l’occasione di incontrare fisici della statura di Wolfgang Pauli, Niels Bohr, Emilio Segrè e, nel caso del primo, di stringere con lui un significativo rapporto di scambio intellettuale. Del suo tentativo di coniugare filosofia kantiana e fisica contemporanea fu informato, da una comune amica, persino Albert Einstein.
Un altro testo scaravelliano di particolare rilievo nell’ambito degli studi su Kant è rappresentato dalle Osservazioni sulla Critica del giudizio (Pisa 1954), che fu anche l’ultima opera di Scaravelli a vedere la luce mentre il filosofo era ancora in vita. In questo saggio si rende ancora più esplicito il dissidio fra la pretesa all’universalità del giudizio e l’assoluta individualità e irripetibilità delle manifestazioni dell’esperienza. Con la conseguenza dirompente che il capire, per realizzare il suo intento, dovrebbe rinunciare all’ambizione di potersi servire della forma logica del pensiero per abbracciare con questa la realtà variegata e imprevedibile dei fatti.
Pochi anni dopo, a Firenze, il 3 maggio 1957 una grave depressione lo spinse a togliersi la vita, poco prima di prendere servizio presso la locale università, dove era stato trasferito.
Fonti e Bibl.: Per i testi, pubblicati in vita e postumi, di Scaravelli e per i contributi critici sul suo pensiero (fino al 2005) si può consultare, pressoché completa, la Bibliografia Scaravelliana, a cura di F. De Luca, in Filosofia italiana, http://www. filosofiaitaliana.net/wp-content/uploads/2017/11/ Bibliografia-Scaravelliana.pdf (12 gennaio 2018). Dopo questa data sono da segnalare: M. Biscuso, Genesi e composizione della «Critica del capire», in Filosofia italiana, 2006, http://www.filosofiaitaliana.net/wp-content/uploads/2017/10/Biscuso_ Genesi-e-composizione-della-Critica-del-capire-di-Luigi-Scaravelli.pdf (12 gennaio 2018); G. Sasso, S. e il giudizio, in Id., Filosofia e idealismo, V, Secondi paralipomeni, Napoli 2007, ad ind.; M. Mustè, Il problema della libertà nella filosofia di L. S., in La Cultura, LI (2013), 1, pp. 73-108. Si vedano, inoltre: Ricordando L. S., Firenze 1978; L. Scaravelli, Lettere a un amico fiorentino, a cura e con introduzione di M. Corsi, Pisa 1983; Curriculum di L. S., in Il cannocchiale, 1999, n. 1, pp. 151-156; S. pensatore europeo, con un’appendice di lettere inedite [...] alla moglie e ad Alessandro Setti, a cura di M. Biscuso - G. Gembillo, Messina 2003; Profilo di L. S., intervista a M. Corsi, a cura di M. Biscuso et al., in Filosofia italiana, 2017, http:// www.filosofiaitaliana.net/annododicesimo-due/ (12 gennaio 2018); M. Biscuso, Profilo di L. S., http://bibliotecafilosofia.uniroma1.it/ Fondilibrari/Scaravelli/Profilo_Scaravelli.htm (con bibl.; 12 gennaio 2018).