SPACAL, Luigi
(Lojze). – Nacque a Trieste il 15 giugno 1907, primogenito di Andrea, tagliapietre e muratore, e di Maria Novak, lavandaia, entrambi originari di Kostanjevica, nel Carso.
Frequentò le scuole slovene nel rione di S. Giacomo ma, in seguito alla morte del padre (di tifo, al fronte durante la Grande Guerra), dovette abbandonare gli studi per motivi economici.
Negli anni dell’italianizzazione fascista della Venezia Giulia, fu attivo nell’associazionismo sloveno. Nel 1930, dopo l’attentato al quotidiano fascista Il Popolo di Trieste, venne condannato a cinque anni di confino in Basilicata per sospetta attività antifascista. Il paesino montano di Accettura rappresentò così, «incidentalmente», l’inizio della sua vita artistica (Kržišnik, 1983, p. 15). Divenne «il primo fotografo di Accettura» (Labbate, 2009, p. 107), acquisendo una pratica che gli fu utile in seguito, quando l’uso della fotografia entrò a far parte integrante del suo processo creativo (Štrumej, in Lojze Spacal, 2009). Prese inoltre a lavorare nella bottega di un falegname, dove, oltre a prendere confidenza col legno, si cimentò nella decorazione delle bare.
Sul finire del 1932, probabilmente grazie all’amnistia concessa per il decennale della marcia su Roma, poté lasciare la Basilicata. Si iscrisse al liceo artistico di Venezia e, da privatista, il 23 ottobre 1936 ottenne la maturità artistica, seguita dall’abilitazione all’insegnamento (Spacal, 2017, p. 158). Dopo una breve docenza, si trasferì a Milano per frequentare l’Istituto superiore per le industrie artistiche di Monza sotto la guida, tra gli altri, di Pio Semeghini, Raffaele De Grada, Agnoldomenico Pica, Giuseppe Pagano. L’ambiente milanese fu decisivo per la formazione del suo gusto artistico. A Milano, peraltro, espose le sue opere in mostre collettive e personali (alla galleria del Milione, nel 1944) che, insieme ad alcuni articoli su Domus, contribuirono a fornire una prima risonanza alla sua opera.
La vicinanza alle fronde anti-novecentiste milanesi è ben riscontrabile nella sua prima produzione. Da un lato, la sua ricerca pittorica, avviata dall’Autoritratto del 1937 (galleria L. Spacal, Stanjel), lo condusse verso contatti inequivocabili, nella sensibilità cromatica e nell’attenzione ai valori di superficie, con l’ambiente di Corrente, tra Renato Birolli (si veda in particolare Domenica pomeriggio, 1943, coll. priv., Trieste), Renato Guttuso e Aligi Sassu. I dipinti di Spacal sono tuttavia permeati di elementi stranianti e atmosfere magiche che temperano gli aspetti più propriamente espressionisti della sua pittura. Esemplare, in tal senso, il paesaggio notturno, ma quasi illuminato a giorno, de La Notte (1943, Editoriale Stampa Triestina).
D’altra parte, in dialogo con la pittura, Spacal coltivò un’intensa attività grafica in cui, pur in una generale tendenza al realismo magico, emerse il suo interesse per le sperimentazioni degli astrattisti milanesi. Ancor più che con le verifiche musicali (e xilografiche) di Luigi Veronesi, nelle sue prime prove astratte (Astrazione, 1937) si mostrò attratto dall’astrazione sospesa e metafisica di Atanasio Soldati. Nella cruciale xilografia intitolata La valle delle tre lune (1943), invece, conciliò il suo realismo onirico con un principio di riduzione emblematica del paesaggio. Gli aspetti magici e astrattivi della sua ricerca vennero temporaneamente recisi dalla guerra, che l’artista illustrò in maniera più brusca e realistica, come nel caso de I martiri di Basovizza (1944), incisione dedicata ai quattro antifascisti sloveni del T.I.G.R., condannati a morte nel 1930.
Il 18 aprile 1942 sposò Milojka Vodopivec, maestra di Dornberk, da cui ebbe due figli: Savo (1943) e Borut (1947). Nel frattempo, si impegnò nella decorazione della chiesa di Gradno. Qui, all’arcaismo canonico della pittura murale di quegli anni associò un singolare approccio neo-bizantino, mostrando una versatilità espressiva che lo condusse, negli anni successivi, a lavorare nei campi diversificati del mosaico, dell’arazzo e della decorazione dei transatlantici. Nello stesso 1942 venne arrestato e internato in Abruzzo, a Corropoli (ibid., p. 159); in seguito, dopo vari trasferimenti, fu arruolato nel battaglione speciale di stanza a Forte dei Marmi. Vi rimase fino all’8 settembre 1943, quando riuscì a rientrare a Trieste.
Alla fine della guerra realizzò alcuni servizi fotografici documentari dedicati al Collio, al Carso e all’Istria, su incarico dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica Popolare di Slovenia (Štrumej, in Lojze Spacal, 2009, pp. 17-21). L’obiettivo governativo non era alieno da finalità propagandistiche, volte a documentare le istanze di annessione della comunità slovena alla Jugoslavia. Di certo, questa missione segnò per Spacal la riscoperta visiva del Carso, con i suoi campi sassosi, i muretti a secco, i tetti calcarei, i pozzi, i ballatoi; e dell’Istria con le sue barche, i porti, le saline. Queste fotografie costituirono infatti il punto di partenza per la trasfigurazione del paesaggio carsico e istriano, concretizzata negli anni successivi con un linguaggio tra realista e post-cubista semplificato.
Nel dopoguerra, Spacal interpretò un significativo ruolo di raccordo nei non facili rapporti tra Italia e Jugoslavia. Lo stesso artista teneva infatti a sottolineare «come nell’arte di un triestino si formi un ponte tra due civiltà, tra due culture, quella occidentale e quella orientale, tra mondo slavo, nel quale è fuso un sentimento a carattere orientale con un’educazione alla forma occidentale, italiana […]» (Lendinara, Biblioteca civica, Fondo Giuseppe Marchiori, f. 283 bis, Lettera a Giuseppe Marchiori, 10 dicembre 1954).
La personale triestina del 1946 avviò il sodalizio con Giuseppe Marchiori, decisivo per la carriera dell’artista. Presentando la sua produzione pittorica in chiave metafisica, ma popolare, Marchiori tentò di allontanare Spacal dal picassismo di orbita milanese, verso cui, in linea con le coeve incisioni, l’artista orientava i suoi dipinti, nell’ottica di un realismo impegnato sui temi della guerra, del lavoro nel Carso (Contadina, 1946), delle tradizioni rurali (Le doglie del parto, 1946, coll. priv., Trieste). Non a caso, nello stesso catalogo, l’artista si richiamava, quasi a contraddire il critico, al manifesto del realismo (Oltre Guernica), declinato tuttavia in senso lirico, anti-naturalistico, «vigoroso e magari violento nell’espressione coloristica» (Spacal, in Mostra personale, 1946, p. n.n.).
Un impulso fondamentale al superamento della fase realista si verificò nel 1951, quando Spacal pubblicò, a proprie spese, un volume riassuntivo della sua attività grafica, presentato da Marchiori come espressione della sua «autentica personalità»: ossia, una «rivolta […] contro gl’inganni del pittoricismo […] basata sul rigore dell’ordine astratto» (Spacal, 1951, p. n.n.). Fu così che, agli inizi degli anni Cinquanta, in coincidenza peraltro con gli effetti della svolta anti-staliniana di Tito e con la conseguente, progressiva, fuoriuscita dell’arte jugoslava dal dogma realista, Spacal prese a sondare in maniera sempre più sistematica le possibilità offerte dalla tecnica xilografica «a una concezione astratta delle forme». Si trattò di una scelta di campo, «in odio al “documento” realistico», come sottolineò lo stesso Marchiori (Marchiori, 1951, p. 52).
La trasfigurazione segnica della città moderna prese in questa fase un ruolo significativo (da Città di notte, 1951, a Città allo specchio, 1954), accanto alla cartografia lirica dei paesaggi carsici e istriani. L’influenza di Soldati tornò a farsi sentire nella xilografia Ritmi, del 1950, e, più in generale, nell’inserimento di sottili allusioni iconiche all’interno di composizioni astratte. Il punto di riferimento essenziale, tuttavia, fu costituito dall’astrazione con memorie di figurazione di Paul Klee, che riecheggia nell’incantato Notturno in salina (1955), ma senza dimenticare la lezione geometrica di Mondrian (Luna nel Carso, 1955). A ogni modo, furono soprattutto le opere grafiche ad aprire all’artista la via del successo internazionale.
Nel 1955, reduce dalla Biennale di Venezia del 1954, Spacal tenne un’importante personale alla Moderna Galerija di Lubiana, dove contribuì a fondare la Biennale di arte grafica. Tra il 1955 e il 1956 espose nove xilografie alla Quadriennale di Roma (vi aveva già esposto nel 1947) e ottenne il premio Città di Roma. Il successo crescente gli schiuse nuove opportunità commerciali all’estero, persino in Svezia. All’esposizione presso la galleria La Rive Gauche di Parigi, nel 1957, puntò invece su quadri e sculture. Significativamente, in questa sede, favorì una lettura geografica, esotica delle sue opere. Lo stesso artista si premurò infatti di avvertire Marchiori che il testo non facesse i nomi di Klee e di Mondrian, ma piuttosto «presentasse le mie opere di origine orientale-bizantina perché in questo senso verrà fatto il catalogo e sistemata la mostra» (Lendinara, Biblioteca civica, Fondo Giuseppe Marchiori, f. 283 bis, Lettera a Giuseppe Marchiori, 15 febbraio 1957).
Tra il 1953 e il 1954 Spacal aveva realizzato anche delle sculture policrome, a dimostrazione del suo «intimo legame con il legno» (Kržišnik, 1983, p. 29); ma fu nel campo dei procedimenti tecnici e dei formati della stampa xilografica (specie nella stampa a più legni) che la sua ricerca si rivelò più proficua. Nelle incisioni realizzate tra il 1957 e il 1958, per esempio, il suo sguardo si concentrò sui valori mimetici del legno, nella resa decorativa degli effetti materici del mosaico di Cattedrale bizantina o nell’evocazione delle pietre che formano La casa dello spaccapietre. Queste ricerche gli valsero il Gran premio internazionale per la grafica e il disegno alla Biennale di Venezia nel 1958, anno della vittoria in pittura di un altro artista legato a Marchiori, come Osvaldo Licini.
Sul finire del decennio, in pieno clima informale, l’artista triestino si lanciò alla scoperta dell’espressività materica della matrice xilografica, con affondi verso la dimensione originaria del nudo legno xilografico (Portone carsico e Costa dalmata, 1961). Non di rado, espose anche le stesse matrici lignee, talvolta dipinte, presentate come oggetti autonomi, in bilico tra pittura e scultura (Civiltà al neon, 1961). Nel corso degli anni Sessanta si dedicò invece alla verifica dei rapporti tra le trame del legno e il colore, dapprima concentrandosi sui valori xilografici del nero, poi sulle interazioni del nero con altri colori (Eclissi lunare sul Carso, 1968).
Negli anni Sessanta e Settanta la carriera di Spacal fu costellata da un susseguirsi di mostre e riconoscimenti, sia in Jugoslavia (nel 1974 il premio Prešeren; nel 1978 la Stella d’oro), sia in Italia (medaglia d’oro della Regione Friuli nel 1984). Nel 1977, per i suoi settant’anni, fu organizzata un’importante antologica triestina, seguita dal conferimento del S. Giusto d’oro.
Nonostante il successo internazionale, Spacal rimase sempre profondamente radicato nei luoghi della sua ispirazione poetica: Trieste (dove continuò a vivere), il Carso, l’Istria. All’inizio degli anni Settanta ristrutturò una casa a Škrbina, nel Carso, che «è come un mio quadro, quando ci entro mi sembra di entrare in una delle mie grafiche» (Spacal, 2007, p. 132). Fu soltanto nella serie degli Spazi poetici, realizzata alla metà degli anni Settanta, che abbandonò, seppure solo simbolicamente, i luoghi cari, a favore di una geografia meramente ipotetica, lirica, non priva di echi concettuali. Si trattò dell’apice del processo astrattivo e della rarefazione stilistica dell’artista triestino. Nondimeno, i legami lirici con il territorio vennero ulteriormente rinsaldati con la realizzazione di un libro illustrato delle poesie del cantore del Carso, Srečko Kosovel (Kras-Kosovel, 1979). Infine, nel 1988 l’artista contribuì all’inaugurazione del Museo Spacal nel castello di Stanjel, con la donazione di un’ampia raccolta delle sue opere.
Morì il 6 maggio 2000 a Duino-Aurisina.
Fonti e Bibl.: Lendinara, Biblioteca civica, Fondo Giuseppe Marchiori, f. 283 bis, Lettera a Giuseppe Marchiori, 10 dicembre 1954, e Lettera a Giuseppe Marchiori, 15 febbraio 1957; Trieste, Archivio privato eredi Spacal.
Mostra personale del pittore Luigi Spacal (catal.), a cura di G. Marchiori, Trieste 1946 (in partic. L. Spacal, Mie considerazioni, pp. n.n.); Spacal, a cura di M. Paoli, Trieste 1949; G. Marchiori, Silografie di Spacal, in Domus, settembre 1951, pp. 52-54; Spacal: 20 silografie dal 1937 al 1951, a cura di G. Marchiori, Trieste 1951; Spacal: Galerie Rive Gauche (catal., Parigi), a cura di G. Marchiori, Trieste 1957; L. S.: 11-30 marzo 1966 (catal.), a cura di C. Munari, Torino 1966; L. S.: opera grafica 1936-1967, a cura di G. Montenero, Milano 1968; M. Coloni, Terra di pietre, Trieste 1974; G. Marchiori, Il Carso di Spacal, Padova 1975; Spacal: mostra antologica dell’opera grafica, 1937-1977 (catal.), a cura di M. Valsecchi, Trieste 1977; Spacal: 40 anni di pittura: 1937-1977 (catal.), a cura di S. Molesi - M. Valsecchi, Trieste 1977; Kras-Kosovel, Spacal, Trieste-Klagenfurt 1979; Z. Kržišnik, L. S., Firenze 1983; Spacal: opere 1935-1984 (catal.), a cura di F. Solmi, Pordenone 1984; Spacal: l’opera grafica, 1935-1986. Catalogo generale, a cura di V. Sgarbi - M. Albanese, Orsago 1986; Spacal: 1937-1997 sessant’anni di attività artistica (catal.), Trieste 1997; L. S.: retrospektiva (catal.), a cura di I. Kranjc, Ljubljana 2000; A. Negri, Pittori del Novecento in Friuli Venezia Giulia, Udine 2000, pp. 278-283; B. Spacal, Un fiore nella notte: L. S. nei ricordi di un figlio, Trieste 2007; L. S. Slikarjevo oko in fotoaparat / The Painter’s eye and the camera (catal., 2009), a cura di Z. Badovinac - L. Štrumej, Ljubljana 2008 (in partic. L. Štrumej, L’occhio del pittore e la macchina fotografica, pp. 9-49); A. Labbate, L. S.: un falegname ad Accettura (7 febbraio 1931 - 17 settembre 1932), in Archivio di etnografia, IV, (2009), 1/2, pp. 107-118; La collezione d’arte della Fondazione CRTrieste, a cura di M. Gardonio, Trieste 2012, pp. 336-339; Spacal (catal.), a cura di G. Bergamini - E. Di Martino, Udine 2017, pp. 157-163; S. Morachioli, Verso la matrice: nota sullo stile xilografico di Spacal, in Grafica d’arte, XXIX (2018), 113, pp. 7-14.