TINELLI, Luigi
– Nacque il 28 aprile 1799 a Laveno, allora nel dipartimento dell’Olona della Repubblica Cisalpina, da Ferdinando e dalla nobildonna Marianna Borroni.
Dalla loro unione nacquero anche Carlo, Marietta e Teresa. Il padre discendeva da una famiglia di funzionari al servizio degli spagnoli le cui fortune erano cresciute tra il XVII e il XVIII secolo, nobilitandosi e stabilizzando manifatture e proprietà sul lago Maggiore e a Milano, tra cui il palazzo detto l’Olimpo in via Cerva. Al ritorno degli austriaci, Ferdinando risultava proprietario, tra l’altro, di una filanda e di una torbiera, nonché di mulini, fornaci di mattoni e tegole, ai quali varie eredità avrebbero aggiunto numerosi campi coltivati a vigna.
Luigi venne educato in casa dal padre, appassionato di poesia, poi al collegio Gorla dove studiò umanità e il primo anno di retorica. Spostatosi a Milano presso il nonno materno per gli studi di filosofia al liceo Longone, il suo scarso rendimento e le cattive frequentazioni convinsero il padre nel 1817 a richiedere un posto gratuito presso il collegio Ghislieri di Pavia, nel cui ateneo Luigi avrebbe seguito il corso politico-legale.
Gli anni universitari immersero Tinelli nella temperie romantica interessandolo alle battaglie culturali e civili condotte dal gruppo animatore del Conciliatore.
La sua adesione al romanticismo è testimoniata dallo scritto giovanile in forma di lettera dedicata al padre, Del gusto romantico, stampato a Milano nel 1820: pur senza schierarsi apertamente, la sua era una difesa della natura autoctona della letteratura romantica e dei grandi autori che, da Dante Alighieri a Francesco Petrarca, da Ludovico Ariosto a Torquato Tasso, avevano contribuito al risveglio delle lettere italiane.
Dalla riflessione sulla patria culturale e sulle emozioni a una prima mobilitazione politica il passo fu breve: l’occasione venne fornita nel marzo del 1821 dal moto costituzionale in Piemonte, dove Tinelli si recò dalla vicina Pavia insieme a molti altri studenti ̶– una delle prime manifestazioni del volontariato in armi della gioventù universitaria – divenendo ufficiale d’ordinanza nei reparti costituzionali di Santorre di Santarosa. Fallito il moto, s’imbarcò a Genova sull’Apollo diretto in Spagna e proseguì l’esperienza di profugo politico tra la Svizzera e Londra. Dopo l’amnistia concessa ai sudditi lombardi coinvolti nelle vicende politiche del 1821, rientrò a Milano nel 1824 e fu sottoposto a stringenti interrogatori sui suoi trascorsi dal giudice Antonio Salvotti, l’inquirente del processo a Federico Confalonieri.
Marcato dall’esilio, ma anche arricchito dalla conoscenza di persone e di innovazioni maturata all’estero, il 9 aprile 1826 sposò Anna Zannini, figlia di Daniele Zannini, generale napoleonico morto in Russia nel 1812 nella ritirata della Beresina, e di Camilla del Frate, dama d’onore alla corte di Eugenio di Beauharnais, risposatasi nel 1813 con il barone Augusto Bataille, aiutante di campo del viceré. Cresciuta in un tale milieu, nella Milano postnapoleonica Anna aderì naturalmente con altre milanesi alle riunioni del circuito detto delle ‘giardiniere’, di connotazione antiaustriaca. Dal matrimonio nacquero nel 1828 Ferdinando e nel 1831 Daniele.
L’inizio degli anni Trenta vide Tinelli attivo in varie iniziative imprenditoriali, culminate nel 1833 nell’acquisto dai francesi Francesco ed Emilio Gindrad e Onorato Billet di una fabbrica di ceramiche aperta nel 1830 nell’edificio di una ex vetreria nei Corpi santi di Milano, in strategica posizione lungo il Naviglio. Folgorato dalla lettera aperta di Giuseppe Mazzini a Carlo Alberto di Savoia, tramite esuli nel Canton Ticino come Giacomo Ciani e Pietro Olivero, si mise in contatto con le centrali all’estero della neonata Giovine Italia, lavorando per la sua diffusione a Milano insieme a Gaspare Ordoño de Rosales e Vitale Albera, anch’egli politicizzato da studente a Pavia nel 1821. Con il nome in codice di Crescenzio, Tinelli sfruttò la collocazione strategica di Laveno per favorire l’arrivo dal Canton Ticino di opuscoli, giornali e libri da introdurre in Lombardia, mentre a Milano, scettico sulla possibilità di acquistare alla causa i militari, s’impegnò piuttosto nella politicizzazione degli strati popolari, tra i quali in particolare i lavoratori a giornata. Il 30 agosto 1833, coinvolto dalle deposizioni degli arrestati in Piemonte, Tinelli fu tra le prime vittime della scoperta dell’associazione mazziniana lombarda. Sottoposto a numerosi interrogatori da parte del giudice inquirente Paride Zajotti, il 7 settembre presentò una memoria volta a ridimensionare il proprio ruolo nella cospirazione, descrivendosi come refrattario alle offerte di aderire alla carboneria, ricevute quando si trovava in Spagna da ambienti ex napoleonici, o alla massoneria, cercando di accreditarsi piuttosto come un ‘battitore solitario’, un indipendente non assimilabile ad alcuna società segreta. Menzionando solo cospiratori che sapeva già in salvo all’estero, non riuscì tuttavia a persuadere gli inquirenti ai quali intanto altri arrestati stavano descrivendo Tinelli come uno dei vertici della Giovine Italia lombarda. Il 1° novembre 1833 egli abbandonò così la linea difensiva sin lì perseguita e ammise un maggior coinvolgimento, limitato però alla sola attività di propaganda, chiedendo al contempo clemenza per la moglie e i figli.
I suoi lunghi costituti sono tra le fonti più importanti per ricostruire il funzionamento sul territorio della rete clandestina in Lombardia, i suoi rapporti con le centrali direttive all’estero e le altre zone della penisola, ma anche per cogliere le divergenze e le rivalità sorte in seno al gruppo dirigente, e tra questo e lo stesso Mazzini: il ruolo e le dichiarazioni di Tinelli avvalorano la tesi di un’adesione con riserva dei meno giovani, quelli che avevano fatto il 1821, al progetto generazionale della Giovine Italia.
Sempre in contatto con il fratello maggiore Carlo (che già ne aveva curato gli affari durante il periodo dell’esilio) e le maestranze della fabbrica durante la detenzione di quasi un anno e mezzo a Milano, preoccupato per la buona resa della produzione sperimentale di porcellana e il futuro degli affari quasi più che della propria sorte, Tinelli fu determinato nel tentare di proteggere la recente impresa economica e i suoi operai dalle conseguenze delle sue scelte politiche. Furono così messe in atto strategie di protezione del patrimonio familiare: tra queste, la cessione della fabbrica al fratello Carlo, il 4 febbraio 1834, che poté così continuare la produzione ottenendo nel 1835 la medaglia d’argento dell’Istituto di Scienze lettere ed arti e l’esposizione di esemplari della manifattura a Vienna e a Milano. A conclusione della sua vicenda processuale, il 3 novembre 1834 Tinelli presentò un’altra lunga memoria che, oltre ai comprensibili intenti difensivi (si ricordi che nel processo penale il codice austriaco non prevedeva la presenza di un avvocato dell’imputato), testimoniava quanto egli fosse pienamente consapevole del mutamento epocale e irreversibile intervenuto nella società europea, nelle aspettative e nei bisogni delle élites, cambiamento che i governi assoluti non avrebbero più potuto ignorare né tantomeno gestire con la forza della repressione: «L’Europa tutta, anzi l’intiera Terra è agitata da uno stato di crisi, lo spirito di riforma, di progresso e di miglioramento è dappertutto, è penetrato in ogni ceto, in ogni Paese. Le finanze, i lumi, il commercio, i nuovi ritrovamenti, le fratellevoli relazioni di popolo a popolo hanno creato un nuovo mondo, dalle sorgenti del Reno alle cataratte del Nilo, dal Mississipi al Baristeno è un moto, una vita, un sorgere da per tutto» (Archivio di Stato di Milano, Processi politici, b. 155 bis).
Condannato nel 1835 alla pena di morte per alto tradimento, commutata dall’imperatore in venti anni di carcere duro da scontare nella fortezza dello Spielberg, una delle pene massime del filone processuale, Tinelli colse l’opportunità offerta dalla Sovrana risoluzione del 4 marzo 1835 che offriva ai condannati politici la possibilità di commutare la pena con la deportazione a vita negli Stati Uniti: quattordici giorni di tempo per decidere, pochi mesi per sistemare i propri affari e i rapporti con la famiglia, sempre attraverso l’affettuosa e meticolosa intermediazione del fratello, scandirono l’attesa nella fortezza di Gradisca della più volte rimandata partenza, nel tentativo di proteggere il futuro degli adorati figli, verso i quali il deportando, privato dei diritti civili, perse la patria potestà: la rinuncia più dolorosa per Tinelli. Messa in vendita la fabbrica da parte di Carlo, nominato suo curatore, essa sarebbe stata affidata a Giulio Richard, che l’avrebbe gestita come affittuario dal 1840, per acquistarla il 5 agosto 1842. Ma nel frattempo, salpato sul brik Ussaro da Trieste il 6 agosto 1836 insieme ad altri condannati della stagione del 1820-21 e della Giovine Italia ̶– Federico Confalonieri, malato, li avrebbe raggiunti in America con un altro viaggio –, ̶il 17 ottobre 1836 Tinelli era approdato a New York, accolto dagli esuli italiani della prima ondata, tra i quali Piero Maroncelli.
Descritto dalla stampa newyorkese come un agricoltore e un industriale, forte delle sue conoscenze tecniche e linguistiche, nonché di un possibile finanziamento da parte di Giuseppe Bonaparte, Tinelli tentò dapprima di replicare l’investimento nella manifattura della porcellana, poi si dedicò alla gelsicoltura, che avviò nella fabbrica di Weehawken, in New Jersey, e sulle cui tecniche tenne numerose conferenze, inserendosi soprattutto nell’ambiente dei sericoltori della Pennsylvania. Sperimentando le difficoltà economiche degli esuli nel contesto americano, Tinelli mantenne sempre intensi rapporti epistolari con il fratello, al quale chiedeva notizie della famiglia e dei progressi della fabbrica di S. Cristoforo. Nel 1838 l’amnistia concessa ai condannati politici lombardo-veneti spinse Carlo a proporgli di presentare una supplica per il rientro in Lombardia, ma la sua risposta in una sofferta lettera del 1839 da New York fu decisa: un rientro in patria non avrebbe significato altro che «disgusti, umiliazioni, sorveglianze e annegazione d’ogni mio principio» (Carteggio Luigi Tinelli, n. 83, 15 marzo 1839).
Consumatasi nel frattempo la separazione dalla moglie e divenuto nel 1841 cittadino americano, venne nominato console degli Stati Uniti a Oporto. All’opportunità di rientrare così in Europa il destino aggiunse quella di essere testimone dell’ultimo periodo della vita di Carlo Alberto di Savoia, esule nella località portoghese, della cui morte Tinelli avrebbe redatto l’atto nel 1849: le lettere di questo periodo testimoniano come, dopo l’allontanamento dalle posizioni mazziniane, ma non da quelle repubblicane, tra il console Tinelli e l’ex re malato si fosse stabilita una singolare confidenza.
Nel corso degli anni Quaranta aveva presentato al governo austriaco diverse domande, tutte respinte, per ottenere in qualità di cittadino americano un passaporto per la Lombardia, al fine di rivedere i figli e curare gli affari. Fu dunque solo durante il 1848 che poté fare un breve ritorno in Italia, mentre il figlio maggiore Ferdinando si impegnò nelle Cinque giornate con la cosiddetta colonna Tinelli, composta di trecento volontari arruolati a Laveno, Mombello e Cittiglio. Cessato il suo incarico diplomatico, forse per la freddezza della nuova amministrazione americana nei confronti delle cause rivoluzionarie europee, rientrò nel 1851 negli Stati Uniti, ormai sua seconda patria, ottenne dal Senato la concessione del divorzio e potè formarsi una nuova famiglia.
A New York, trasformata dalle massicce ondate di immigrati irlandesi degli anni Quaranta, Tinelli, in difficoltà finanziarie, aprì uno studio legale e si dedicò alla difesa degli immigrati italiani anche dalle colonne del The European Mercury, rifiutando nel frattempo l’incarico di console a Nuova Grenada, in Colombia, e sperando in quello di console a Cagliari. Con l’adesione al Free soil party, confluì su posizioni abolizioniste e nel 1856 intervenne con un opuscolo sulla trasformazione politica in atto nel Paese, sempre più diviso dalla frattura tra Nord e Sud. Scoppiata la guerra civile, insieme ad altri ufficiali creò il 39° regimento di fanteria, le Garibaldi Guards, composto di volontari italiani, in cuor suo sperando che Abraham Lincoln lo nominasse ambasciatore a Torino, capitale del neonato Regno d’Italia. Presa parte a numerose battaglie, a dispetto dei suoi ormai sessant’anni, fu nominato luogotenente colonnello del 90° reggimento, organizzato a Staten Island alla fine del 1861. Nel 1863 fu costretto a dimettersi a causa del declino della salute per le conseguenze di una febbre malarica, probabilmente contratta combattendo nei territori paludosi della Florida.
Colpito insieme agli altri membri della comunità italiana dal tragico assassinio di Lincoln, nella seconda metà degli anni Sessanta riprese l’attività legale e notarile e collaborò a L’Eco d’Italia, giornale di orientamento moderato e filosabaudo, senza tuttavia mai sfuggire alle ristrettezze finanziarie, nonostante una mezza pensione concessagli dal governo nel 1864. Per i primi anni Settanta resta traccia dell’impegno preso con l’editore Pomba di Torino per scrivere una Storia degli Stati Uniti in due volumi, come pure di suoi discorsi pubblici, tra cui quello sul potere temporale del papa, tenuto a una riunione della comunità italiana e pubblicato su L’Eco d’Italia del 12 agosto 1871.
Aggravatesi le condizioni di salute a causa di una pericardite, dopo un intervento chirurgico tentato per alleviarne la gravità, morì a New York il 25 marzo 1873.
Compianto dai superstiti della comunità degli esuli italiani, venne omaggiato a Brooklyn con una cerimonia funebre di forte valore simbolico, alla presenza, oltre che dei figli e di altri familiari, dei rappresentanti delle società e dei circoli italiani e della Loggia massonica Garibaldi.
Opere. Del gusto romantico. Lettera di Luigi Tinelli a suo padre Ferdinando, Milano 1820; Freemont, Buchanan and Fillmore; or the parties called to order, New York 1856.
Fonti e Bibl.: Laveno Mombello, Biblioteca comunale (già Villa Tinelli), Archivio Tinelli, Carteggio Luigi Tinelli; Archivio di Stato di Milano, Processi politici, ad nomen; necr., L’Eco d’Italia, 31 maggio 1873; Obituary, Louis W. Tinelli, General Service Administration, National Archives and Records Servioce, Washington D.C.
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