VAGNETTI, Luigi
– Nacque a Roma il 20 aprile 1915, figlio di Fausto (Anghiari 1876 - Roma 1954), noto pittore e docente, e di Rosalia Pittaluga, di origini piemontesi e figlia di un garibaldino dei Mille che aveva collaborato all’Unità d’Italia.
Il padre, di origine toscana, ricoprì prima la cattedra di figura all’Istituto di belle arti di Roma, poi quella di prospettiva e di scenografia al Museo artistico industriale di Roma e infine quella di prospettiva alla facoltà di architettura.
Luigi si laureò in architettura nel 1938 a Roma presso la facoltà dei padri fondatori, Marcello Piacentini, Arnaldo Foschini, Vittorio Ballio Morpurgo, Enrico Calandra, Enrico Del Debbio, Fausto Vagnetti e Vincenzo Fasolo, ottenendo il massimo dei voti con una tesi sul Progetto di una residenza estiva reale sul Monte Antenne a Roma (relatore Foschini), con la quale ottenne il premio Manfredo Manfredi. Durante gli studi vinse diverse borse di studio, tra cui quella della Fondazione Palanti e del lascito G. Fuccioli. Nel 1935 e nel 1937 partecipò ai Littoriali dell’arte, classificandosi primo. Nel 1936 aderì a un viaggio di studio in Libia, organizzato dalla facoltà di architettura di Roma, e collaborò, sotto la guida di Gustavo Giovannoni, al rilievo del complesso della basilica e del Foro Severiano a Leptis Magna.
Laureatosi, a ventitré anni intraprese sin dall’inizio la libera professione che svolse a livello sia nazionale sia internazionale. Nel 1940 sposò l’appassionata di musica Giulia Domenichelli, dalla quale ebbe due figli, Lucia, archeologa, e Fausto, docente di astrofisica. Parallelamente alla vita professionale cominciò la sua carriera universitaria a Roma come assistente nei corsi di composizione architettonica di Foschini (1939-62) e di Saverio Muratori (1954-62) fino a occupare, come incaricato del corso di disegno dal vero a Roma (1950-63), la cattedra lasciata libera dal padre. In questo periodo conseguì due libere docenze in composizione architettonica (1949) e in urbanistica (1950). Dal 1947 al 1950 diresse l’ufficio progetti della Società generale immobiliare e dal 1960 al 1970 il Bureau d’études di consulenza urbanistica del governo tunisino. Nel 1962 conseguì il premio per la Cultura della presidenza del Consiglio dei ministri. Nel 1964 fu visiting professor presso l’università di Teheran, e nel 1968 e nel 1972 presso il Politecnico di Varsavia. Insegnamento e professione furono reciprocamente integrati e portati avanti di pari passo con la convinzione di Vagnetti che il primo è esercizio razionale, cultura, immaginazione, e la seconda costituisce al tempo stesso verifica e stimolo.
Negli anni Sessanta la vita politica inondò l’istituto universitario tradizionale con il successivo indebolimento che coinvolse sia l’università sia la professione. In quel momento storico l’albero culturale architettonico nel quadro ambientale fu colpito alle radici, e quindi furono colpite anche la figura tradizionale del professionista e l’essenza dell’architetto. La scelta di Vagnetti fu molto significativa, poiché egli si dedicò quasi esclusivamente alla vita accademica, in altre parole alla competizione più grande. La facoltà di architettura di Roma, sua casa culturale, era diventata inagibile e dopo la crisi di fatto egli ne fu quasi esiliato. Con tenacia e resistenza Vagnetti accettò l’ordinariato a Palermo (1962-65), postazione periferica da dove poté esercitare un controllo su Roma diventando direttore dell’Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti. Nel 1965 e fino al 1971 si spostò all’università di Genova, dirigendo anche in quell’ateneo l’Istituto di elementi dell’architettura e rilievo dei monumenti. Nella giovane facoltà costituita ma non ancora completa, approfondì criticamente l’insegnamento della composizione, del disegno e del rilievo. Formò un gruppo di lavoro che indirizzò al rilievo del centro storico di Genova, pubblicando disegni e scritti nella collana Quaderni dell’Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti, da lui fondata e diretta. Organizzò e diresse le collane Architettura e Architettura del ventesimo secolo in Italia (pubblicate da Vitali e Ghianda, dal 1957 al 1971). Dal 1968 al 1971 fu membro del Comitato tecnico della facoltà di architettura di Reggio Calabria. Nel 1971 si trasferì alla facoltà di architettura di Firenze, insieme al suo allora assistente Giancarlo Cataldi, che lo aveva seguito da Roma nei vari spostamenti, assumendo l’incarico di direttore dell’Istituto di composizione architettonica e insegnando composizione l. A Firenze, come ha scritto l’altra sua già assistente, poi docente ordinaria Emma Mandelli, Vagnetti mirò a obiettivi didattici e di ricerca particolari, affermando lo stretto rapporto tra la storia e la conoscenza del disegno come dispositivi di base nella formazione dell’architetto. Iniziò un percorso di ricerca orientato ad analizzare il perdurare dei contenuti e delle cause umanistiche dell’architettura confrontandosi e aprendosi ad altri settori disciplinari. Fondò la collana Studi e documenti di architettura, e le sue monografie sui trattatisti sono, ancora oggi, dei riferimenti culturali. Pubblicò il libro L’architetto nella storia di Occidente (Firenze 1973).
Fu membro di varie accademie. Nel 1967 aderì all’Accademia delle arti del disegno, dal 1970 a quella di S. Luca e dal 1971 divenne presidente dell’Accademia Francesco Petrarca di Arezzo. Dal 1973 al 1979 fu membro eletto della sezione del Consiglio superiore della pubblica istruzione, portando, fra l’altro, le discipline dell’area della rappresentazione al riconoscimento ufficiale del gruppo disciplinare del disegno. Nel 1979 organizzò e promosse il primo di una serie di convegni dei docenti dell’area del disegno nelle facoltà di architettura e ingegneria, dove presentò i passaggi ministeriali e i cambiamenti storici della disciplina, chiedendo ai colleghi un documento da proporre al ministro per la salvaguardia e la dignità delle discipline del disegno. Alla sua convinzione si deve la nascita, nel 1980, anno della sua morte, dell’attuale comunità scientifica Unione italiana del disegno.
La fertile attività professionale di Vagnetti iniziò nel 1939 e fu chiusa nei primi anni Settanta. Durante questo periodo egli realizzò circa duecentocinquanta progetti, e cento di questi, di cui una trentina erano concorsi solo in parte vinti e realizzati, furono da lui stesso scientificamente scelti e catalogati. Il materiale è attualmente custodito e consultabile presso la Biblioteca di scienze tecnologiche (sede di architettura) dell’Università degli studi di Firenze. La sua operosità fu subito organizzata in temi architettonici e piani urbanistici (tredici piani regolatori in Tunisia). Progettò interi quartieri, ventinove titoli di edilizia popolare per INA-Casa, centri religiosi, chiese e circa una trentina di temi concorsuali di opere pubbliche, elaborati in collaborazione con altri architetti, per i quali ricevette premi e riconoscimenti per le realizzazioni. Diversi progetti furono diffusi dalle riviste internazionali di architettura come Rassegna critica di architettura, L’Architettura, Architettura cantiere, Architecture d’aujourd’hui, Architectural Review. Alessandro Giannini, suo allievo prima e poi professore universitario, ha raggruppato i progetti di Vagnetti suddividendoli in tre classi principali: la prima comprende i concorsi e le realizzazioni del periodo littorio; la seconda riunisce il blocco dei quartieri ed edifici INA-Casa; la terza gli edifici di culto. I progetti per le case littorie di Vagnetti sono fra i più autentici in senso linguistico, perché sono quelli scolastici, soprattutto quello di Verona, privi di vincoli e con una distribuzione formale. Ancora oggi la sua opera più conosciuta, e per anni criticata, è il progetto concorsuale del 1947 per il palazzo e la piazza Grande di Livorno, un luogo pubblico aperto e definito da palazzi ai quali Vagnetti ha saputo dare l’impronta e il decoro di funzione per la città. Il progetto all’inizio era in collaborazione con altri, e successivamente Vagnetti, nel 1949, si occupò del palazzo Cinema e teatro Grande che affacciavano sulla piazza.
Nel 1954 Vagnetti ricevette il primo incarico per la realizzazione della Banca d’Italia di Cremona (compiuta nel 1959), tema più piccolo di quello livornese, per il quale, però, i vari studi mostrano una maggiore maturazione formale e materica. Fra il 1962 e il 1963 si occupò della casa della Sposa in via Teulada a Roma, una palazzina alla quale conferì dignità scavando nel passato del tipo per capirne le radici. L’edilizia popolare che progettò per la Società generale immobiliare, della quale diresse dal 1947 al 1950 l’ufficio progetti, a Livorno, Bari, Napoli, Palermo, Catania e Roma, insieme alle diverse INA-Casa (1947-61) come quella del 1951 al Tuscolano (piano generale di Muratori), le GESCAL (GEStione CAse per i Lavoratori) del 1965 di Borgo Ulivia a Palermo, o ancora gli uffici della sede UDACI (Unione Donne di Azione Cattolica Italiana) di Roma e di corso Vittorio Emanuele a Palermo, e il fabbricato viaggiatori della stazione di Napoli Centrale, costituirono un gruppo di progetti importanti perché avevano la stessa origine tematica. A Bologna nel 1953, quando realizzò il quartiere Due Madonne (piano generale Vagnetti), egli perfezionò il tema, e a Roma dal 1956 al 1961 (piano generale Vagnetti-Vaccaro), quando ideò il quartiere Ponte Mammolo, lo sforzo perfezionista fu ripetuto. Il concorso per la sede dell’UIC-IMI a Roma, i progetti della sede dell’UDACI a Roma e del palazzo S. Matteo a Palermo insieme al palazzo dell’Urbanistica a Roma-EUR, il concorso per la nuova sede della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele al Castro Pretorio a Roma (in collaborazione con la sorella Maddalena e con Giorgio De Gregori) e il primo progetto per il ministero delle Poste sono esempi di edifici pensati in corpi di fabbrica doppi o quintupli composti da telai multipli e solai a maglia regolare. Nella chiesa di S. Bernardino in Selva presso Lugo (Ravenna), che progettò nel 1947 e fu realizzata nel 1960, si vede la purezza geometrica dei volumi. Nella cappella della sede UDACI del 1957 la purezza del vano a pianta ottagonale con cappelle laterali richiama la romanità. Per la chiesa di Nostra Signora della Fiducia del 1960, costruita nel quartiere Due Madonne di Bologna, Vagnetti disegnò una pianta basilicale in perfetta armonia con l’insieme. Dello stesso anno fu il progetto della chiesa di Crocecoperta a Imola, dove Vagnetti ritornò alla dialettica della cappella UDACI. Nella parrocchiale di S. Timoteo a Casal Palocco a Roma sperimentò separando portante e portato enfatizzandolo. Nella parrocchiale della Madre della Chiesa a Foggia (1963-69) ritornò alla ricerca organica del cemento armato.
Il linguaggio architettonico di Vagnetti si raffinò con la maturità, sostenuto sempre più dalla conoscenza culturale del progetto. I disegni, estremamente curati, descrivono con una precisione quasi ossessiva la forma e le tecnologie, mostrando il rapporto rilevante che ha avuto con la misura e il disegno. Vagnetti lasciò la professione nei primi anni Settanta per dedicarsi completatamene all’insegnamento universitario. Nel 1980 abbandonò anche l’università dimettendosi dalla facoltà fiorentina perché malato di cuore. Morì a Roma il 26 ottobre 1980 e fu sepolto ad Anghiari.
Fonti e Bibl.: B. Moretti, Alcune opere dell’architetto Gigi Vagnetti di Roma, in Rassegna di architettura: rivista mensile di architettura e decorazione, IX (1940), pp. 3-11; S. Muratori, Architetto L. V. Il Palazzo Grande di Livorno, in Architetti, XIV (1952), pp. 11-18. L. Vagnetti, Lineamenti programmatici del corso di Composizione Architettonica IA, in Raccolta dei lineamenti programmatici dei corsi: Università degli studi di Firenze, a cura di L. Vagnetti, Firenze 1975, pp. 5-20; Omaggio a L. V., Firenze 1983; Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900: l’area fiorentina, a cura di E. Capannelli - E. Insabato, Firenze 1996, pp. 632-635; L. V. architetto (Roma, 1915-1980). Disegni, progetti, opere, a cura di G. Cataldi - M. Rossi, Firenze 2000; L. V., 1915-1980. Inventario analitico dell’archivio, a cura di G. Carapelli, Firenze 2009; E. Mandelli, L. V. (Roma 1915-1980), in Storia dell’UID - Unione Italiana Disegno, a cura di M. Centofanti, Roma 2018, pp. 168-179.