VANVITELLI, Luigi
Architetto. Nacque a Napoli il 26 maggio 1700, morì il 10 marzo 1773 a Caserta. Indirizzato alla pittura dal padre Gaspare (v.), egli sentì ben presto una forte inclinazione per l'architettura che cominciò a studiare sotto la guida di Filippo Juvara. Proseguì poi da solo osservando e misurando i monumenti di Roma e seguendo Vitruvio e i trattatisti del '500. La sua attività di pittore fu scarsa, di modesta importanza e si riferisce al suo periodo giovanile. Restano di lui la decorazione absidale della chiesa del Suffragio, a Viterbo, gli affreschi della cappella delle reliquie in S. Cecilia a Roma e un quadro a olio rappresentante la Santa, nella cappella stessa. Più tardi eseguì, per qualche tempo, cartoni per la riproduzione in musaico di quadri della basilica di S. Pietro, a Roma.
I primi lavori di architettura che i suoi biografi gli attribuiscono sono il restauro del palazzo Albani e le chiese di S. Francesco e di S. Domenico a Urbino, ma probabilmente si trattò di opere fatte in collaborazione con F. Barigioni, come, più tardi, insieme con Antonio Valeri, innalzò a Pesaro la chiesa di S. Pietro.
Con l'amico e coetaneo Nicola Salvi eseguì l'acquedotto di Vermicino e prolungò la facciata del palazzo Odescalchi architettata dal Bernini. Nel concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano se non riuscì vincitore ebbe campo di farsi notare e poco dopo gli venne affidata la costruzione del Lazzaretto di Ancona (1733). In questa città costruì l'arco Clementino (1735), la cappella delle reliquie di S. Ciriaco (1738 o '39) e la chiesa del Gesù (1746), mentre con i suoi disegni a Perugia si conducevano i lavori per la chiesa e il convento degli Olivetani (1740), a Macerata quelli per la chiesa della Misericordia, a Loreto si completava il campanile della Basilica, a Siena si trasformava internamente la chiesa di S. Agostino (1747). La carica di architetto di S. Pietro che ebbe intorno al 1735 l'obbligava a mantenere la sua residenza a Roma dove tenne incarichi importantissimi come la costruzione del convento degli Agostiniani, la trasformazione del tepidarium delle Terme di Diocleziano nella chiesa di S. Maria degli Angeli (lavoro già cominciato da Michelangelo), il progetto di una cappella per il re del Portogallo, ed infine il consolidamento della cupola della Basilica Vaticana. Nel 1751 Carlo di Borbone re di Napoli volendo erigere una nuova reggia a Caserta chiese e ottenne dal papa Benedetto XIV che l'incarico fosse dato al Vanvitelli, il quale iniziava così l'ultimo e più fecondo periodo della sua laboriosa esistenza. Oltre alla costruzione della reggia e dell'acquedotto Carolino (1752-1773) eseguì la facciata del palazzo Calabritto, la caserma al ponte della Maddalena, la chiesa della SS. Annunziata, il ponte di Eboli, quello di Benevento, l'esedra per il monumento a Carlo di Borbone, la villa del principe di Campolieto a Resina; restaurò il casino di caccia di Persano, rinnovò la chiesa di S. Maria della Rotonda; preparò il progetto per il palazzo d'Angri. Fu chiamato a Milano per la trasformazione del palazzo vicereale, fatta poi da G. Piermarini, suo scolaro, e per la nuova facciata del duomo di cui preparò un disegno che dimostra quanto poco conoscesse le forme e sentisse lo spirito dell'architettura gotica. La sistemazione della gran sala del Palazzo Vecchio di Brescia da lui studiata (1769), non fu condotta a termine. Dei quattro figli maschi che ebbe, tre seguirono l'arte sua, ma il più noto è Carlo, continuatore dei lavori paterni a Caserta e a Napoli.
L'opera maggiore di L. V. è la reggia concepita come elemento dominante di una sistemazione paesistica compresa fra i monti Tifatini e il mare, fra Aversa e Maddaloni. Il palazzo ha la pianta di un rettangolo lungo duecentocinquanta metri e largo centottanta. Esso contiene milleduecento stanze, quattro cortili, un teatro ed una cappella. Stilisticamente è la più grandiosa espressione di quel rinnovamento classico che è base del pensiero vanvitelliano e che prelude alla corrente artistica formatasi nell'ultimo terzo del secolo. Le reminiscenze barocche qua e là affioranti non turbano l'unità dell'insieme: soltanto la scala regia, una delle più alte concezioni liriche dell'architettura, par che si svincoli dalla meditata, serena armonia della mole immensa, per creare uno spettacolo di bellezza che sta fra la realtà ed il sogno.
L. V. non deriva dallo Juvara, che fu suo maestro negli anni giovanili, ma ha una potente personalità che lo distingue e lo innalza sugli altri architetti del tempo. Egli è un costruttore nel senso più lato della parola, artista e tecnico insieme, capace di compiere in pochi anni il miracolo dell'acquedotto Carolino (quaranta chilometri di conduttura attraverso cinque colline e su tre viadotti) e di innalzare una chiesa originale e suggestiva come quella della SS. Annunziata; di organizzare i lavori della reggia sì da potere in venti anni condurre quasi a termine l'opera ciclopica e di preparare il progetto per una città che avrebbe precorso di quasi un secolo le conquiste dell'urbanistica raggiunte nella seconda metà dell'Ottocento.
Bibl.: F. Milizia, Memorie degli architetti, ecc., Parma 1781; L. Vanvitelli, Vita dell'architetto L. V., Napoli 1823; F. Patturelli, Caserta e S. Leucio, ivi 1823; L. Niccolini, La reggia di Caserta, Bari 1911; G. Chierici, Architetti e architettura del '700 a Siena, in Rassegna di architettura e arti decorative, II (1922-1923), pp. 129-148; id., La reggia di Caserta (guida), Roma 1930; id., L. V. e la loggia di Mercanzia a Siena, in La Diana, VI (1931-32), pp. 60-63; id., L. V. ed il consolidamento della cupola di S. Pietro, in Pan, III (1935), pp. 340-350; id., La reggia di Caserta, Roma 1937; L. Serra, Le fabbriche di L. V. in Ancona, in Dedalo, X (1929), pp. 98-110; C. Minieri Riccio, Autografo di L. V., in Archivio storico per le provincie napoletane, V, pp. 196-198.