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VOLPICELLI, Luigi

di Giorgio Chiosso - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)
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VOLPICELLI, Luigi

Giorgio Chiosso

– Nacque a Siena il 13 giugno 1900 da Giosafat Antonio, professore, e da Giuseppina Colabucci, ultimo di cinque fratelli fra cui Arnaldo (v. la voce in questo Dizionario), filosofo del diritto.

Trasferitasi la famiglia a Roma, vi frequentò il liceo Umberto I e seguì gli studi di diritto presso la facoltà di giurisprudenza della Sapienza romana dove si laureò nel luglio del 1921. Affascinato dal magistero di Giovanni Gentile, desideroso di seguirne le lezioni e influenzato dall’amico Ugo Spirito e dal fratello Arnaldo si iscrisse, poi, alla facoltà di lettere e filosofia, conseguendo una seconda laurea, in lettere, il 3 luglio 1927.

Nel frattempo s’inserì nella vita politica e culturale della capitale con le prime pubblicazioni (in prevalenza letterarie) e la collaborazione a giornali e riviste, tra cui L’Italia letteraria, Giornale critico della filosofia italiana ed Educazione fascista che lo segnalarono come uno dei più promettenti studiosi tra i giovani allievi di Gentile. Nel 1929, insieme a Spirito e ad Arnaldo, pubblicò un volume su Benedetto Croce nel quale prendeva le distanze dall’estetica crociana.

La partecipazione al cenacolo gentiliano fu il canale di accesso al fascismo su posizioni che, con il progredire del tempo, si manifestarono in una militanza critica sviluppata in varie direzioni: contro l’uso retorico dei valori patriottici e la svalutazione della formazione culturale auspicata da alcuni settori del fascismo, a sostegno della cosiddetta politica dei giovani e a favore del superamento del modello scolastico gentiliano, ritenuto insufficiente rispetto alle aspettative della modernità produttiva.

Dal 1931 al 1935 Volpicelli fu redattore capo dell’organo ufficiale dell’Associazione fascista della scuola, La scuola fascista, schierandosi per una scuola non solo aridamente umanistica, ma anche sensibile alle istanze del lavoro e al bisogno di incipiente mobilità sociale. In tal senso si espresse in una lettera aperta dell’ottobre del 1932 al ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, auspicando una complessiva revisione degli assetti scolastici senza restare prigionieri della ‘logica dei ritocchi’.

In sodalizio con Nazareno Padellaro, Carmelo Cottone, Giorgio Gabrielli e altri uomini di scuola, nel 1934 diede vita alla rivista Primato educativo. Scopo della battagliera pubblicazione fu mettere a fuoco una pedagogia fascista in grado di fare della scuola un luogo di valori capaci di ridisegnare la società italiana in coerenza con la ricerca dell’‘uomo nuovo’ voluto da Benito Mussolini. In questa direzione vanno importanti scritti di Volpicelli come Scuola e politica (Roma 1934; con Padellaro), Tra la scuola di oggi e quella di domani (Torino 1935) e alcuni saggi apparsi sulla rivista Scuola e cultura.

Dopo aver partecipato all’impresa di Etiopia come volontario (1935-36), di cui diede conto in Riverbero (Milano 1940), un ‘diario intimo’ del periodo trascorso in Africa, Volpicelli tornò a Roma nel 1936. L’ultimo scorcio degli anni Trenta fu denso di importanti eventi che ne segnarono la vita professionale e quella personale.

Dall’anno accademico 1936-37 insegnò come incaricato di pedagogia nella facoltà di lettere e filosofia della Sapienza; nel 1937 fu chiamato alla condirezione della più importante rivista magistrale italiana, I diritti della scuola; nel 1938 subentrò a Giuseppe Lombardo Radice (morto improvvisamente) sulla cattedra di pedagogia del Magistero romano. Nel frattempo Giuseppe Bottai, divenuto ministro dell’Educazione nazionale il 22 novembre 1936, lo aveva chiamato a collaborare con pochi altri alla redazione della Carta della scuola.

Sul piano personale nel 1939 convolò a nozze con Maria Signorelli, con la quale ebbe tre figli: Giuseppina, Maria Letizia e Ignazio.

Tra il 1939 e il 1941 uscirono i libri più importanti del primo Volpicelli, La scuola italiana dopo la riforma del ’23 (Roma 1939), il Commento alla Carta della scuola (Roma 1940) e Scuola e lavoro (Roma 1941).

In questi scritti diede organica sistemazione alla sua idea di scuola, concepita non più come espressione di una cultura distaccata, ma volano di sviluppo della vita sociale alimentato dai valori dell’‘umanesimo moderno’. Con questa espressione, ampiamente condivisa nel circolo bottaiano e base ideologico-culturale della Carta della scuola, si guardava alla scuola come a un organismo vitale capace di dare risposta a una triplice esigenza: allinearla alla ‘società di massa’, aprirla alla cultura del lavoro e superare l’egemonia della cultura a base umanistico-letteraria.

Passate le traversie postbelliche dell’epurazione anche grazie alla mediazione del padre Agostino Gemelli (con cui fu in amicale relazione), Volpicelli tornò presto all’insegnamento e sulla scena culturale e pedagogica. Nel 1950 diede alle stampe un importante libro sulla scuola sovietica cui fecero seguito altri saggi di approfondimento sul tema. Queste pubblicazioni documentavano la familiarità con la cultura russo-polacca facilitata dai rapporti intrattenuti con la madre patria dalla suocera Olga Resnevic Signorelli.

Mentre il circuito neoilluminista moltiplicava le traduzioni di saggi di John Dewey e dei suoi allievi e gli studiosi cattolici si abbeveravano al personalismo di marca specialmente francofona, Volpicelli mise in circolo gli scritti di Sergej Hessen, poi di Eduard Spranger, Theodor Litt, Fritz Blättner, stringendo un’importante intesa culturale con l’editore romano Armando Armando con cui fu a lungo amico, consigliere e direttore di collana.

Si trattava di autori che, in vario modo, si riconoscevano nella forza educativa della cultura e dei valori e privilegiavano le analisi di impianto filosofico piuttosto che quelle psicologiche e sociologiche. Da alcuni di essi lo stesso Volpicelli mutuò suggestioni significative che s’intrecciarono con la formazione idealistica. Frutto maturo di questa inserzione fu il volume Teoria della scuola moderna (Milano 1950).

L’‘umanesimo moderno’ andò via via tingendosi dell’esigenza di fare della scuola un luogo primario di autoeducazione svolta nella storia e nella libertà, nutrita di cultura e di civiltà. Solo a questa condizione l’individuo avrebbe potuto sentirsi parte di una tradizione e rinnovarne i valori e le idealità a essa associati. Anche la società democratica aveva bisogno di ragioni etico-civili nelle quali rispecchiarsi. Non, dunque, l’autoeducazione a base psicologica del progressismo attivistico, ma quella mutuata dalla filosofia gentiliana.

Nel 1953 Volpicelli diede vita al mensile di attualità scolastica Il Montaigne e due anni più tardi vide la luce la rivista I problemi della pedagogia, che rappresentò una prestigiosa sede di dibattito pedagogico e culturale. Espressione non solo degli studi e delle ricerche dell’Istituto di pedagogia romano, la pubblicazione costituì un punto di riferimento della pedagogia italiana di tradizione in senso lato liberale e di formazione neoidealistica. Volpicelli animò anche altre iniziative per potenziare la cultura pedagogica, tra cui spiccano l’impegno nella Consulta dei professori universitari di pedagogia e, negli anni Settanta, la direzione dell’enciclopedia pedagogica in quattordici volumi La pedagogia con l’editore Francesco Vallardi.

Il lavoro editoriale di Volpicelli fu intenso fin dall’immediato dopoguerra: oltre alla collaborazione con Armando, nel 1951 promosse con l’editore Viola di Milano la Biblioteca dell’educatore con volumi destinati all’aggiornamento dei maestri; con la bresciana Editrice La Scuola confezionò anche testi scolastici e per Sansoni diresse (con Ernesto Lama) la serie dedicata ai classici della pedagogia italiana (1956). Molteplici, inoltre, le collaborazioni con periodici magistrali e stampa quotidiana (Corriere della sera, Il Globo).

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta fu impegnato a esplorare nuovi territori educativi, come l’uso scolastico del mezzo radiofonico e di quello cinematografico, e a valorizzare la lettura attraverso la produzione di opere letterarie per l’infanzia (egli stesso si cimentò in apprezzate riflessioni su Pinocchio). Nel 1964 con Romano Calisi, esperto massmediologo, diede vita presso la facoltà romana di magistero all’Archivio italiano della stampa a fumetti e negli anni successivi partecipò a varie edizioni del Salone internazionale dei comics.

Non si sottrasse al dibattito che nel 1962 sfociò nella riforma della scuola media unica. Nell’incipiente società di massa urgeva una scuola capace di colmare lo scarto tra la preparazione scolastica e la fruibilità lavorativa degli studi (La scuola in Italia e il problema sociale, Roma 1959). In questa ottica prese le distanze dal modello unico di scuola media, ritenendo più realistico prevedere un triennio a più indirizzi di pari dignità e con possibilità di facili interscambi. Tale soluzione avrebbe consentito di evitare una ‘scuola generica’ e di oscurare il valore educativo del lavoro.

Per le stesse ragioni Volpicelli avversò i propositi di riforma della scuola secondaria in senso unitario e deprofessionalizzato degli anni Settanta ed espresse riserve sull’idea della ‘comunità educante’, principio che, in quello stesso periodo, aprì le scuole alla partecipazione dei genitori. Più in generale lamentò l’incapacità della classe politica repubblicana di mettere a punto una riforma complessiva della scuola coerente con i processi di modernizzazione del paese (Scuola dissestata. L’alibi della riforma, Milano 1973). Ciò non gli impedì di condividere e apprezzare taluni provvedimenti come, in particolare, l’istituzione nel 1968 della scuola materna statale.

Fu attivo nella vita sociale e pedagogica della capitale anche al di fuori dell’impegno accademico (fu vicepresidente dell’Unione nazionale della lotta contro l’analfabetismo, presidente dell’Ente scuola per i contadini dell’Agro romano).

Morì a Roma il 18 giugno 1983.

Opere. L’elenco completo degli scritti è in E. Zizioli, Nota bibliografica. Scritti di Luigi Volpicelli, in I problemi della pedagogia, 2009, n. 1-3, pp. 97-164.

Fonti e Bibl.: Le carte di Volpicelli sono conservate presso il figlio Ignazio, a Roma; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Liberi docenti, Serie I-II, b. 344 (primo versamento); Università Roma Tre, Museo storico della didattica M. Laeng.

A.J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Roma-Bari 1978, pp. 182, 187-189, 201, 204, 206; R. Gentili, Giuseppe Bottai e la riforma fascista della scuola, Firenze 1979, ad ind.; M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Roma-Bari 1981, ad ind.; Ricordo di L. V., in I problemi della pedagogia, 1983, n. 3, monografico; L. V. 1983-1993, ibid., 1993, n. 4-5, monografico, pp. 347-533; G. Cives, Pedagogia del cuore e della ragione. Da Giuseppe Lombardo Radice a Tina Tomasi, Bari 1994, pp. 85-108; Enciclopedia pedagogica, VI, 1994, coll. 12426-12434; G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna 2000, pp. 180, 183 s., 197-199; I. Volpicelli, “I problemi della pedagogia”: cinquant’anni di riflessione teorica ed impegno sociale, in I problemi della pedagogia, 2005, n. 1-2, pp. 27-35; E. Zizioli, L. V.: un idealista “fuori delle formule”, Roma 2009; Ead., Armando Armando. Un pedagogista editore, Roma 2011, ad ind.; G. Chiosso, La pedagogia contemporanea, Brescia 2015, pp. 100-103.

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