ZAMBONI, Luigi.
– Nacque il 12 ottobre 1772 a Bologna, da Giuseppe, presto deceduto, e da Brigida Borghi, titolari di un negozio di tessuti nella via Galliera.
La madre riuscì a far studiare il figlio, che nel 1789 si orientò per il diritto sotto la guida del giurista Filippo Romagnoli, lettore pubblico e consultore del S. Uffizio.
Gli echi della rivoluzione di Francia dovettero presto raggiungerlo, perché già nei primi giorni di marzo del 1790 commise l’imprudenza di diffondere in città alcuni foglietti anonimi nei quali si invitava la cittadinanza a rovesciare l’assolutismo del governo pontificio e a recuperare la propria libertà municipale. La rivolta doveva partire dalla cacciata della guarnigione papale, che da qualche anno soltanto era di stanza in città, condurre al pronto allontanamento del cardinale legato Giovanni Andrea Archetti, le cui funzioni erano il simbolo stesso dell’assolutismo pontificio, e riportare all’antico ruolo il complesso degli organi di governo locale. In quelle parole si coglieva l’eco del duro confronto che da qualche anno contrapponeva il Reggimento, l’organo di governo locale, al governo pontificio circa l’introduzione di talune misure, come il testatico e il catasto, destinate a incidere molto sui plurisecolari privilegi del ceto nobiliare. Lo scritto rivela d’altronde un’idea di rivoluzione ancora molto tradizionale, dove il rivolgimento politico è destinato a restituire alla città un antico equilibrio di poteri nel frattempo molto incrinato dalle pretese accentratrici del sovrano pontefice.
Per questo motivo il cardinale legato subito sospettò che i manifestini sparsi per la città fossero ispirati dai circoli nobiliari e disponessero del beneplacito di alcuni membri del Reggimento, che a sua volta protestò contro l’infondatezza delle accuse circa una presunta congiura aristocratica. Ve ne era abbastanza, non di meno, perché Zamboni si eclissasse dalla scena, allontanandosi dalle lezioni con la scusa – queste le parole della madre al professore Romagnoli che le chiese conto al riguardo – di una partenza da Bologna per motivi di lavoro.
Difficile dire se il giovane avesse subito raggiunto la Francia o se per qualche tempo la famiglia avesse comunque ritenuto opportuno allontanarlo dalla città. Quanto sappiamo della sua vita negli anni immediatamente successivi proviene, infatti, dalle dichiarazioni che egli stesso rese in occasione dei numerosi interrogatori cui fu sottoposto dopo l’arresto a seguito della scoperta di una congiura nella notte del 13 novembre 1794. Da quelle deposizioni, risulta che il giovane, nell’estate del 1791, fosse a Genova, da dove passò per nave a Marsiglia, seguendo un certo abate Bouset, conosciuto a Bologna. Questi gli avrebbe consentito di militare dapprima nella guardia nazionale cittadina per poi favorirne, assieme a un ufficiale di nome Renoux, l’ingresso nell’esercito rivoluzionario, che dopo averlo portato in Corsica per sedare alcuni tumulti, lo avrebbe condotto al grado di sottotenente nel battaglione dei cacciatori del Rossiglione. Poi, pur mantenendo i gradi, sarebbe salito a bordo di una nave battente bandiera inglese per toccare molti porti del Mediterraneo e giungere infine a Roma. Qui si sarebbe arruolato nella cavalleria pontificia, salvo presto disertare e restituirsi infine a Bologna, dove riprese gli studi nella primavera del 1794.
Difficile credere a tutto ciò, anche se qualcosa di vero probabilmente non mancava: per esempio, tra i giacobini marsigliesi torreggiava l’abate Emmanuel Bausset, canonico di St.-Victor Vittore, un cadetto di famiglia aristocratica che nel 1788 aveva stilato i quaderni di doglianza del terzo stato di Aix e che allo scoppio della rivoluzione si era messo alla testa dei gruppi più radicali; e ancora: Renoux che a detta di Zamboni sarebbe poi divenuto generale di brigata nell’esercito alla frontiera del Reno, potrebbe essere Antoine-François Renaud, che appunto rivestì quell’incarico negli anni in questione. Tuttavia, gli archivi militari di Francia escludono che il giovane si fosse arruolato nell’esercito francese e da un racconto tanto fantasioso è possibile giusto concludere per una sua pronta adesione al democratismo repubblicano d’Oltralpe.
Zamboni sarebbe insomma entrato nella rete cospirativa che, dalla base marsigliese, i francesi calarono su tutta la penisola per fronteggiare la presenza militare inglese, la cui flotta nel 1793 aveva occupato la Corsica. Contro una tale minaccia, la Convenzione rispose con l’occupazione del porto di Oneglia (aprile 1794) e puntò a destabilizzare l’Italia per garantirsi una base d’appoggio per la progettata riconquista dell’isola. In questo quadro, l’azione dei consoli francesi – Jacques Tilly a Genova e François Cacault a Firenze – mirava a costruire cellule di simpatizzanti pronti a favorire l’arrivo delle armi d’Oltralpe a seguito di una insurrezione che ne legittimasse l’intervento militare. In questo senso vanno lette le fallite congiure a Genova e a Napoli del 1794 e in questo quadro – stando all’interesse portato da Cacault a Bologna, il cui possesso credeva potesse tagliare in due l’Italia – assume significato la decisione di Zamboni di fare ritorno in città.
Nella primavera del 1794 nell’ambiente universitario Zamboni incontrò Giovanni Battista De Rolandis, un giovane aristocratico astigiano, con il quale organizzò una società segreta – in linea con la trasformazione del modello associativo massonico intervenuta a Marsiglia allo scoppio della rivoluzione – che avrebbe dovuto rovesciare il governo pontificio. Il piano prevedeva, ancora una volta, la cacciata delle guardie svizzere, la presa in ostaggio del cardinale legato, la liberazione dei carcerati e l’armamento della popolazione, che avrebbe dovuto consentire ai poteri locali di tornare in possesso delle loro prerogative. Se è vero che, come nel precedente del 1790, si tentava di aver dalla propria una parte almeno dei tradizionali poteri locali, il nuovo ordine repubblicano doveva comunque esemplarsi sulla democrazia di Francia e far conto sul pensiero costituzionale di Gaetano Filangieri. Inoltre, a conferma di come la congiura fosse nel quadro di un più vasto progetto politico, la rivolta avrebbe presto dovuto allargarsi in direzione della Toscana e contare sull’immediato sostegno francese, anche se proprio l’abate Bausset, che nel frattempo si era spretato a seguito della scristianizzazione, stando sempre alle dichiarazioni di Zamboni, suggeriva di attendere l’anno successivo, quando le truppe d’Oltralpe sarebbero state pronte per la riconquista della Corsica.
Il giovane non volle però intender ragioni e decise di affrettare i tempi. Acquistati pochi fucili e alcune sciabole, con un manipolo di compagni – dove erano studenti e artigiani – nella notte tra il 13 e il 14 novembre Zamboni e De Rolandis promossero una manifestazione di strada per chiamare il popolo all’insurrezione. L’appello tuttavia cadde nel vuoto e le truppe pontificie, avvertite da due delatori, Antonio Succi e Angelo Sassoli (quest’ultimo noto per il suo probabile ruolo nella stampa della prima edizione dell’Ortis foscoliano), dettero subito loro la caccia. I due tentarono la fuga in Toscana, ma prontamente fermati dalle guardie granducali, vennero rimandati a Bologna e sottoposti a tortura per confessare i mandanti del loro proposito insurrezionale.
Zamboni non arrivò neppure a processo, perché dopo un inutile tentativo di fuga, preferì suicidarsi in carcere il 18 agosto 1795, mentre De Rolandis, al termine di un dibattimento che lo vide inutilmente difeso da Antonio Aldini, futuro uomo politico dell’Italia napoleonica, venne giustiziato in pubblica piazza il 23 aprile 1796, solo due mesi prima dell’arrivo di Napoleone Bonaparte in città.
Il nuovo ordine repubblicano avrebbe tributato grandi onori a entrambi, ricomponendone i resti all’interno di un’ara posta nel centro cittadino, che venne però profanata già nel 1799, quando, con l’arrivo degli austriaci, le loro ceneri furono disperse. Dopo un oblio durato fino a tutto il 1848, negli anni dell’Italia unita il loro sacrificio assurse a epifania del moto risorgimentale e a Zamboni, cantato anche da Giosue Carducci, si volle pure ascrivere, senza che la cosa si possa compiutamente provare, l’idea della prima coccarda tricolore.
Fonti e Bibl.: Gli atti del processo sono conservati nell’Archivio di Stato di Bologna, Tribunale del Torrone, n. 8415, e sono stati ampiamente riprodotti in Catalogo illustrativo dei libri, documenti ed oggetti esposti dalle provincie dell’Emilia e delle Romagne nel Tempio del Risorgimento italiano, a cura di R. Belluzzi - V. Fiorini, II, 1, Bologna 1897, pp. 231-403. Sull’arresto di Zamboni si veda anche Parigi, Archives Nationales, AF/III/87/, dossier 374, plaquette 1.
G. Ricciardi, Martirologio italiano dal 1792 al 1847, Firenze 1860, pp. 21-66; A. Aglebert, I primi martiri della libertà italiana e l’origine della bandiera tricolore o congiura e morte di L. Z. di Bologna e Gio. Battista De Rolandis di Castel d’Alfeo d’Asti (Piemonte), Bologna 1862; F. Venosta, L. Z., il primo martire della libertà italiana, Milano 1864; A. Zanolini, Antonio Aldini ed i suoi tempi; narrazione storica con documenti inediti o poco noti, I, Firenze 1864, pp. 9-26; F. Bonola, Patrioti italiani. Storie e biografie, Milano 1870, pp. 35-48; G. Giarrizzo, Massoneria e illuminismo nell’Europa del Settecento, Venezia 1994, pp. 383-404; U. Marcelli, La congiura di L. Z. e di Giambattista de Rolandis, in Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le province di Romagna, XLV (1994), pp. 343-354; M. Poli, Brigida Borghi Zamboni, la madre dell’eroe. Per una rilettura del caso Z. - De Rolandis, in Strenna storica bolognese, L (2000), pp. 415-450; P. Villani, Rivoluzione e diplomatici: agenti francesi in Italia, 1792-1798, Napoli 2002, pp. 177-246; S. Corazza, L’affaire Z. - De Rolandis, in Sarastro e il serpente verde. Sogni e bisogni di una massoneria ritrovata, a cura di G. Greco - D. Monda, Bologna 2003, pp. 289-308; M.A. Terzoli, Le prime lettere di Jacopo Ortis. Un giallo editoriale tra politica e censura, Roma 2004, pp. 11-33.