ZAMPA, Luigi
ZAMPA, Luigi. – Nacque a Roma il 2 gennaio 1905. Figlio di Rosa Smaltini, una sarta di origini tarantine, e di Vitaliano, un ferroviere romano, di fede socialista, fu l’ultimo di cinque figli.
Crebbe nel quartiere di piazza Vittorio e rimase orfano di padre a nove anni (Pezzotta, 2012, p. 11). Frequentò l’istituto tecnico superiore, ma si dilettò giovanissimo nella scrittura di racconti, tra cui Il dubbio, apprezzato dal critico e filosofo Adriano Tilgher, che lo incoraggiò a dedicarsi alla drammaturgia teatrale (Meccoli, s.d. ma [1956], p. 7). Conseguito il diploma si iscrisse all’università, prima alla facoltà di ingegneria, poi di architettura, senza mai laurearsi. Nel 1929 s’impiegò presso l’Ufficio tecnico del Comune di Roma. L’anno successivo la compagnia di Aristide Baghetti rappresentò al teatro Quirino la sua prima commedia, Per il nostro meglio, per la quale Zampa cedette i diritti d’autore al capocomico e investì circa 2000 lire per l’allestimento. Nei due anni successivi la compagnia mise in scena sullo stesso palcoscenico romano Il giovane autore, mentre Marcello Giorda rappresentò al teatro Adriano Ma non è la stessa cosa (Pezzotta, 2012, pp. 11, 21).
Progressivamente si affievolì la sua passione per il teatro, e crebbe quella per il cinematografo, grazie ad autori come Charles Vidor, Sergej M. Ejzenštejn, Josef von Sternberg, Charlie Chaplin, John Ford e René Clair (Savio, 1979a, p. 1140). Nel 1933 Zampa realizzò un documentario andato perduto, Risveglio di una città, mentre nel 1934 si iscrisse alla Scuola nazionale di cinematografia dell’Accademia di S. Cecilia. Quando l’istituto si sciolse, per rifondarsi nel 1935 nel Centro sperimentale di cinematografia (CSC) di via Tuscolana, vi si trasferì (Pezzotta, 2012, p. 22; Savio, 1979a, p. 1140).
Nel 1936 sposò Valentina Querci Sariacopi e dal loro matrimonio nacquero due figli: nel 1937 Fabrizio (attore, musicista e giornalista del quotidiano romano Il Messaggero, apparso accanto a Renzo Arbore sia in televisione sia al cinema, in L’altra domenica, 1976-79, e nel Pap’occhio, 1980) e nel 1941 Nicoletta. L’unione non durò a lungo, e ai primi dissapori il regista abbandonò il tetto coniugale, garantendo comunque il mantenimento per prole e consorte. I due si separarono nel 1970, dopo che Zampa fu convocato in tribunale dalla moglie (La moglie del regista..., 1966).
Concluse il ciclo scolastico triennale al CSC nel 1937, diplomandosi in regia. Ebbe tra i compagni di corso Pietro Germi, Corrado Alvaro e Antonio Pietrangeli e tra i docenti Alessandro Blasetti, da cui apprese tutti gli insegnamenti necessari al suo futuro registico. Realizzò con un’allieva-collega, Marisa Romano, Il seme, cortometraggio anch’esso perduto, mentre nel 1937 vide sfumare sotto gli occhi la sua prima regia, Quel caro ragazzo, di cui scrisse il soggetto e la sceneggiatura con Salvatore Cuffaro (Pezzotta, 2012, p. 22; Savio, 1979a, p. 1141; Meccoli, s.d. [ma 1956], pp. 8-9). Si dedicò all’attività di sceneggiatore, per la quale gli tornò utile l’esperienza di scrittura teatrale originaria. Collaborò alla realizzazione di Mille lire al mese (1939) di Max Neufeld, esemplare ‘commedia all’ungherese’ con Alida Valli e Osvaldo Valenti.
Fu sua l’idea di spostare l’ambientazione dell’originale testo magiaro da una filanda agli studi di una televisione allora alle prime prove tecniche e fu questa anche la prima e unica volta in cui fece l’aiutoregista, esperienza che ritenne alquanto deludente (Savio, 1979a, pp. 1141-1143).
Scrisse ancora pellicole appartenenti al genere dei ‘telefoni bianchi’, al filone comico-sentimentale e a quelle delle ‘commedie all’ungherese’, ma anche film in costume, tra i quali Un mare di guai (1939, Carlo Ludovico Bragaglia), Ho visto brillare le stelle (1939, Enrico Guazzoni), Centomila dollari (1940, Mario Camerini), Tutto per la donna (1940, Mario Soldati), La danza dei milioni (1940, Camillo Mastrocinque), Il capitano degli ussari (1940, Sándor Szlatinay), Manovre d’amore (1941, Gennaro Righelli) e Gli ultimi filibustieri (1943, Marco Elter; cfr. Pezzotta, 2012, p. 22).
A detta del regista Mario Soldati il suo apporto fu decisivo per Dora Nelson (1939) che, in quanto rifacimento di un film francese tratto da Louis Verneuil, riscrisse ex novo (Savio, 1979b, p. 1037). Pronto per il debutto alla regia, nel 1941 diresse L’attore scomparso, di ambientazione teatrale, interpretato da Vivi Gioi, sotto la supervisione tecnica di Righelli (Meccoli, s.d. [ma 1956], p. 11), autore del primo film sonoro italiano, La canzone dell’amore (1930).
Seguirono film in costume (Fra Diavolo, 1942; L’abito nero da sposa, 1943-45) e ascrivibili al filone collegiale delle fanciulle in fiore (Signorinette, 1943; C’è sempre un ma!, 1943), che Zampa non amò rievocare se non per aver appreso come posizionare e muovere la macchina da presa, e far recitare gli attori (Savio, 1979a, p. 1147).
Allontanatosi dai generi precedenti già con Un americano in vacanza (1945), firmato da Aldo De Benedetti e interpretato da Valentina Cortese, con Vivere in pace e L’onorevole Angelina, entrambi del 1947, si avvicinò al neorealismo (De Vincenti, 2003, pp. 221-223).
Vivere in pace fu sceneggiato da Piero Tellini e Suso Cecchi D’Amico, la quale aveva suggerito al regista il plot del film, ispirato alla storia vera di un’amica toscana che durante l’occupazione nazifascista nascose in casa dei soldati americani (L’avventurosa storia, 2009, p. 224). Ne fu protagonista Aldo Fabrizi che, nel ruolo di zio Tigna, in cerca della pace postbellica del titolo, fu al centro di una pellicola più apprezzata all’estero che in patria (Pezzotta, 2012, p. 207).
Attento osservatore della realtà e attualità sociale, per L’onorevole Angelina Zampa si avvalse della preziosa collaborazione di Anna Magnani, che in qualità sia di attrice (coppa Volpi a Venezia e Nastro d’argento) sia di sceneggiatrice (accreditata con Cecchi D’Amico e Tellini) del film, lo affiancò nei sopralluoghi della borgata di Pietralata, al centro di un’inchiesta preparatoria, contro il cui degrado la protagonista lotta assieme ad altre donne (L’avventurosa storia..., 2009, pp. 226 s.).
A cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta firmò alcune regie e una sceneggiatura – Campane a martello (1949), Cuori senza frontiere (1950), Signori, in carrozza! (1951), La romana (1954, tratto da Alberto Moravia, con Gina Lollobrigida), Isa Miranda (1953, episodio di Siamo donne), Canzone appassionata (1954, Giorgio C. Simonelli) – oltre alla triade Anni difficili (1948), Anni facili (1953) e L’arte di arrangiarsi (1954) che Zampa realizzò – insieme a È più facile che un cammello... (1950, da un soggetto di Cesare Zavattini, con Jean Gabin) e a La patente (1954, episodio tratto da Luigi Pirandello, con Totò, di Questa è la vita) – con Vitaliano Brancati.
Nel mezzo girò uno dei film più maturi e premiati (Grolla d’oro, Nastro d’argento, Premio speciale del Senato a Berlino), per molti il suo capolavoro, ossia Processo alla città (1952).
Tratto da un soggetto di Ettore Giannini e Francesco Rosi, si ispirò a un episodio di cronaca nera di inizio secolo – il ‘caso Cuocolo’ – che nel film diviene l’omicidio dei coniugi Ruotolo su cui indaga il giudice Antonio Spicacci (Amedeo Nazzari), dal quale emerge il torbido intreccio tra camorra e borghesia a Napoli (Meccoli, s.d. [ma 1956], pp. 68 s.; Pezzotta, 2012, pp. 245 s.).
Nel 1951, per circa un anno, Zampa entrò in contatto con il figlio nato da una relazione extraconiugale di suo fratello Renato, ingegnere, con Jolanda Curcio, madre di Renato (futuro brigatista rosso) che aveva allora dieci anni e che senza sapere ancora nulla del suo vero padre accettò le cure e attenzioni dello ‘zio Gigi’, di cui apprese successivamente il mestiere di regista e di cui per un po’ frequentò la casa e la famiglia, la zia e i suoi due cugini (Il regista Zampa..., 1991; Curcio, 2012).
Quanto alla famosa trilogia scritta con Brancati il primo dei film, Anni difficili, fu tratto da un racconto dello scrittore siciliano, Il vecchio con gli stivali, e il suo titolo iniziale doveva essere Credere, obbedire, combattere (Meccoli, s.d. [ma 1956], p. 44).
Storia di un impiegato, Aldo Piscitello (Umberto Spadaro), che, costretto malvolentieri a prendere la tessera del fascismo per mantenere il posto al Comune siciliano di Modica, dopo la liberazione è accusato di collaborazionismo da coloro che nel frattempo, ben più schierati, si affrettano a negare qualsiasi complicità e appartenenza al regime. La parabola costituì un’insolita irrisione del passato in un’Italia però non ancora pronta a ridere dei propri difetti e a recepire con anticipo, rispetto alla commedia all’italiana degli anni Sessanta, il lato grottesco della pellicola (Pezzotta, 2012, pp. 127 s.).
Ciò nonostante regista e scrittore meditarono subito un sequel, che dopo slittamenti, intervalli e mutamenti, si materializzò in Anni facili dall’ambientazione contemporanea, ma dagli echi fascisti, nella quale si mette l’accento sia sul trasformismo di ex gerarchi e seguaci mussoliniani sia sul corrotto stagnante mondo burocratico e ministeriale romano, il cui ingranaggio stritola, suo malgrado, il protagonista: un altro uomo qualunque, un altro antieroe interpretato da Nino Taranto, i cui tratti fisici sono simili a Spadaro, così come il ruolo del professor Luigi De Francesco è in continuità con l’impiegato Piscitello (pp. 137-139).
Diverso per cinismo e scarsa empatia è invece Rosario Scimoni, detto Sasà, interpretato da Alberto Sordi (p. 148) che, nell’Arte di arrangiarsi, incarna il tipico italiano medio che, nell’arco di quarant’anni, dal 1913 al 1953, si arrangia ad arte a seconda dell’aria politica che tira divenendo socialista, fascista, interventista, inabile al fronte, comunista, democristiano e così via.
In quanto «summa [dei] temi» cari a Brancati, lo scrittore non poté vederne gli esiti sullo schermo: morì durante le riprese, a soli 47 anni, dopo un’operazione chirurgica (p. 146).
Chiuso tragicamente questo proficuo sodalizio «letterario [e] umano» (L’avventurosa storia..., 2011, p. 208), un altro si aprì nel nome della commedia all’italiana con l’attore romano Sordi, interprete di Il vigile (1960), Il medico della mutua (1968) e Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971).
Altre pellicole, non molto significative, furono realizzate i quegli anni: Ragazze d’oggi (1955), Tempo di villeggiatura (1956), La ragazza del palio (1957), Ladro lui, ladra lei (1958), Il magistrato (1959), Frenesia d’estate (1964), Una questione d’onore (1966), Il marito di Olga (1966, episodio di I nostri mariti) e Le dolci signore (1967).
Unica eccezione, Gli anni ruggenti (1962) che, sceneggiato con Ettore Scola e Ruggero Maccari, a partire da un soggetto suggerito da Sergio Amidei e ispirato a L’ispettore generale di Nikolaj Gogol′, costituì un’altra satira su fascismo e provincia italiana. Quella che, all’indomani della visita di Adolf Hitler a Roma nel 1938, accoglie con reverenza e ipocrisia un assicuratore capitolino, Omero Battifiori (Nino Manfredi), solo perché pensa sia il gerarca atteso in paese per un’ispezione.
Ispirati al caso di Ignazio Melone, un poliziotto municipale che nel 1959 multò il questore di Roma subendo sanzioni disciplinari, e all’omonimo romanzo-denuncia del 1964 di Giuseppe D’Agata, su malasanità e sistema mutualistico italiano (Pezzotta, 2012, pp. 278, 287), Il vigile e Il medico della mutua sono due commedie-radiografia dell’Italietta dei furbi e dei corrotti, degli idioti e dei vanagloriosi di cui Sordi è maschera illustre e rappresentativa. Colui che, nei ruoli del vigile Otello Celletti e del dottor Guido Tersilli, (in)consapevole dei propri limiti, tronfio nell’indossare la divisa o il camice bianco che gli conferisce un potere immeritato, non fa che innescare cortocircuiti, situazioni grottesche e paradossali.
Sceneggiatore di Sordi fu già allora Rodolfo Sonego (che per l’attore scrisse anche Il prete, uno degli episodi di Contestazione generale, 1970, sul Sessantotto), autore del soggetto e della sceneggiatura di Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata.
Erede di una storia familiare di emigrazione australiana, nonché reduce da un viaggio svolto l’anno prima nel continente, fu lui a fornire lo spunto iniziale dello scambio di persona, dopo aver incontrato in Australia un tassinaro emigrante italiano. Nacque così la commedia degli equivoci interpretata da Sordi e da Claudia Cardinale, rispettivamente un operaio tutt’altro che giovane e bello e un’ex prostituta affatto illibata (Sanguineti, 2015, p. 301; Sonego, 2007, pp. 90 s.).
Se negli anni Settanta diresse i suoi ultimi film, quali Bisturi la mafia bianca (1973, ancora sul mondo ospedaliero), Gente di rispetto (1975, tratto da Giuseppe Fava), Il mostro (1977, con Johnny Dorelli) e Letti selvaggi (1979, film a episodi con Monica Vitti, Laura Antonelli, Ursula Andress e Sylvia Kristel), negli anni Ottanta, dopo che aveva già pubblicato in passato un’autobiografia romanzata, Il successo (1957), e un romanzo vero e proprio, Sazia di giorni (1962), si cimentò ancora nella prosa e nella poesia, con Il primo giro di manovella (1980), ambientato nel mondo del cinema, e Pianeta nudo (1987).
Numerosi furono i progetti irrealizzati, tra cui, dagli anni Cinquanta ai Settanta, Non ci sarà un domani (sul suicidio di quattro donne, bloccato dalla censura), Notizie sensazionali (ispirato alla vita di Matilde Serao ed Eduardo Scarfoglio), L’affare Montesi (sul caso della ragazza del titolo, il cui cadavere fu ritrovato sul litorale romano nell’aprile del 1953), Il prete bello (da Goffredo Parise), Il carrozzone (proseguimento della trilogia Zampa-Brancati), I trapiantati e Proletari di tutto il mondo (in collaborazione ancora con Sonego e D’Agata) fino a I nuovi padroni (in continuità con Contestazione generale; cfr. Pezzotta, 2012, pp. 306-309).
Zampa non si fece mai tentare dalla televisione, eccezion fatta per quando, verso la fine dei suoi anni e lontano da tempo dalla vita pubblica, partecipò con altri colleghi alle riprese di episodi sui bombardamenti di Roma del 1943 per la terza rete (Formisano, 1991).
Morì semidimenticato nella clinica romana Villa Monica, dove era ricoverato dal dicembre del 1990 per un’operazione al femore, nel ferragosto del 1991. Aveva ottantasei anni e i suoi funerali si svolsero il 17 agosto nella chiesa di S. Maria dei Miracoli, a piazza del Popolo a Roma (Delli Colli, 1991; Levantesi, 1991).
Nell’estate del 1986 aveva rilasciato su Il Messaggero un’ultima intervista nella quale aveva espresso, oltre alla nostalgia per il set, ancora un pensiero per l’indimenticato e stimato amico Brancati (Pezzotta, 2012, p. 207).
Fonti e Bibl.: D. Meccoli, L. Z., Roma s.d. [ma 1956]; La moglie del regista chiede la separazione legale, in La Stampa, 1° marzo 1966, p. 13; F. Savio, L. Z., regista, in Id., Cinecittà anni trenta. Parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano (1930-1943), III, Naz-Zav, Roma 1979a, pp. 1139-1154; Id., Mario Soldati, regista, ibid., 1979b, pp. 1029-1049; L. Delli Colli, Z., un maestro d’ironia, in La Repubblica, 17 agosto 1991, p. 25; D. Formisano, L’Italia difficile di Z., in L’Unità, 17 agosto 1991, p. 17; Il regista Z. era zio di Curcio, in La Stampa, 17 agosto 1991, p. 1; A. Levantesi, 40 anni di cinema con Totò. Sordi e Tognazzi, in La Stampa, 17 agosto 1991, p. 15; G. De Vincenti, Il dopoguerra di Castellani, Lattuada e Z., in Storia del cinema italiano, VII, 1945/1948, a cura di C. Cosulich, Venezia-Roma 2003, pp. 206-226; S. Della Casa, Z. L., in Enciclopedia del cinema, V, Roma 2004, pp. 411 s.; R. Sonego, Diario australiano, Milano 2007; L’avventurosa storia del cinema italiano, a cura di F. Faldini - G. Fofi, I, Da La canzone dell’amore a Senza pietà, Bologna 2009, II, Da Ladri di biciclette a La grande guerra, 2011; A. Pezzotta, Ridere civilmente. Il cinema di L. Z., Bologna 2012; R. Curcio, Zio Gigi, ibid., pp. 316-318; T. Sanguineti, Il cervello di Alberto Sordi. Rodolfo Sonego e il suo cinema, Milano 2015.
Ringrazio Alberto Pezzotta e soprattutto Fabrizio Zampa per le preziose informazioni datemi e il colloquio telefonico avuto che ha risvegliato nei suoi confronti ricordi televisivi e cinematografici in verità solo assopiti.