lume
Non costituisce sempre alternativa di ‛ luce '. Con valore assoluto, significa spesso " radiazione luminosa ", com'è evidente nelle due seguenti attestazioni, in cui l'ombra del corpo di D. è rappresentata come interruzione dei raggi luminosi: per che 'l lume del sole in terra è fesso (Pg III 96), e guardar per maraviglia / pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto (V 9). Si vedano tuttavia altri luoghi in cui ricorre lo stesso motivo: Pg III 16-17 Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, / rotto m'era dinanzi a la figura, e 88-89 vider rotta / la luce in terra dal mio destro canto: dal confronto dei passi si rivela l'uso in alternativa di sole, luce, lume del sole.
La distinzione della radiazione luminosa dalla sua fonte è messa in rilievo in Pg IV 63 quello specchio [il sole] / che sù e giù del suo lume conduce, Pd II 81, X 30, XXVI 70, XXVIII 16 un punto vidi che raggiava lume / acuto sì, XXIX 99, XXXI 126, XXXII 71 (è l'altissimo lume che ‛ s'incappella ' secondo il color de' capelli), XXXIII 128; Cv II XIII 15 l'una [proprietà] si è che del suo lume [del sole] tutte l'altre stelle s'informano, XIV 6 e 7, III IX 12; in XIV 5 l'usanza de' filosofi è di chiamare ‛ luce ' lo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio, ha valore generico in vista della precisazione lessicale (si ricordi Tomm. II Sent. 13 1 a3 " Ista quatuor differunt: lux, lumen, radius et splendor. Lux enim dicitur, secundum quod est in aliquo corpore lucido in actu... Lumen autem dicitur, secundum quod est receptum, in corpore diaphano illuminato "); da segnalare infine le varianti più lume già (lume in luogo di lune) in If XXXIII 26, che è però lezione inaccettabile sebbene di larga attestazione (cfr. Petrocchi, ad l.), e lune per viso in Pd XXVI 1.
Ancora come radiazione luminosa, significa, con valore più complesso, e certo più metafisico che fisico, la luce procedente da Dio, come suo attributo primario e forza attiva nella vita, universale: si veda Pd I 75 tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti, e 122 La provedenza, che cotanto assetta, / del suo lume fa 'l ciel sempre quïeto; VII 81, XIX 48 'l primo superbo / ... per non aspettar lume, cadde acerbo. Come tale, l. si fa sinonimo di Dio, in Pg XIII 86 l'alto lume / che 'l disio vostro solo ha in sua cura, Pd XXXIII 43, 110 e 116.
Con più deciso significato di " grazia illuminante ", è attestato in Pg V 54 lume del ciel ne fece accorti; Pd XXXI 50 visi a carità süadi, / d'altrui lume fregiati e di suo riso; Cv III XIII 10 Iddio mette sempre in lei [la filosofia] del suo lume (" lumen naturale intellectus confortatur per infusionem luminis gratuiti ", Tomm. Sum. theol. I 12 13 C) e IV XX 8. Per Pd XIV 47 e 48 s'accrescerà ciò che ne dona / di gratüito lume il sommo bene, / lume ch'a lui veder ne condiziona, è da ricordare che il valore di " grazia " è già esplicitamente espresso al v. 42: l'intera terzina 40-42 sintetizza infatti, con successione retrograda, il rapporto chiarezza-ardore-visione-grazia, che è descritto analiticamente, e nella successione normale, dai vv. 43-57.
L'occorrenza di Pd XXX 61 vidi lume in forma di rivera / fulvido di fulgore, è così intesa da Benvenuto: " dico quod per istud lumen decurrens ad modum fluminis auctor figuraliter manifestat divinam gratiam "; la scena, pur nella sua atmosfera soprannaturale, è descritta con tale realismo da far pensare a un valore fisico di tutti i suoi elementi, primo fra i quali la luce. Il l. della grazia si ha di nuovo al v. 100 Lume è là sù che visibile face / lo creatore a quella creatura, e ai vv. 112 e 116, e si distende in circular figura (v. 103): una figurazione ormai metafisica, nella quale si svilupperà l'episodio finale dell'incontro con il mistero di Dio.
In Pd V 118 del lume che per tutto il ciel si spazia / noi semo accesi, la luce divina è intesa dalla maggioranza dei commentatori come " carità ", mentre alcuni propendono per " sapienza " (Scartazzini) o " verità e amore " (Del Lungo, Chimenz); il motivo luce-carità trova riscontro in Rime CV 11 tu, foco d'amor, lume del cielo, dove felicemente si qualifica la carità divina come calore e luce dell'universo.
In riferimento alla luminosità dei corpi celesti, diventa sinonimo di quelli, in Pd XVII 115 per lo ciel, di lume in lume, / ho io appreso quel che..., e XX 17. È sinonimo di " stella ", in Pd II 65 La spera ottava vi dimostra molti / lumi, e 130 'l ciel cui tanti lumi fanno bello (dove si tratta delle stelle fisse che sono nell'ottavo cielo); e ancora in XIV 98, XXI 32. È invece sinonimo di " costellazione ", in Pd XXII 112 O gloriose stelle, o lume pregno / di gran virtù (l'apostrofe è alla costellazione dei Gemelli, sotto la quale D. è nato, e che si credeva irraggiasse una disposizione alla gloria: " facit homines literatos et ingeniosos ", Benvenuto); XXVI 121 vidi lui [il sole] tornare a tutt'i lumi / de la sua strada (i l. qui sono le costellazioni zodiacali con le quali il sole nel giro dell'eclittica è successivamente congiunto durante l'anno); Cv IV XX 6 ogni dono perfetto di suso viene, discendendo dal Padre de' lumi, che è precisa traduzione di " omne donum perfectum desursum est, descendens a Patre luminum " (Iac. Epist. 1, 17). Del pianeta significa anche l'influenza esercitata sulla vita terrestre, come in Pd IX 33 qui refulgo / perché mi vinse il lume d'esta stella, secondo un rapporto luce-virtù che viene illustrato in Cv II VI 9 li raggi di ciascuno cielo sono la via per la quale discende la loro vertude in queste cose di qua giù... li raggi non sono altro che uno lume che viene dal principio de la luce (in questo passo si spiega propriamente che l'influenza è del pianeta e non del cielo nel quale quello si volge; cfr. anche Rime LXXXVII 12). L'influenza celeste che muove l'immaginativa è anch'essa rappresentata come l. in Pg XVII 17 0 imaginativa... / Moveti lume che nel ciel s'informa (cfr. Cv III IX 6-7).
Significa altresì la luminosità dei beati, per la quale rimane invisibile la loro parvenza corporea, e che deriva sia dalla luce che si produce dalla loro virtù, sia dalla luce divina che su di essi si appunta; è evidente pertanto che la natura della luce in questi casi vuol essere intesa nella sua singolarità di fenomeno ultraterreno: così in Pd V 125 veggio ben sì come tu t'annidi / nel proprio lume, e VII 6 fu viso a me cantare essa sustanza, / sopra la qual doppio lume s'addua (secondo Pietro, Giustiniano era illuminato " duplici luce, propria scilicet reflexa et repercussa "; per il Buti, Vellutello, e poi altri, lo splendore normale dell'anima si accresce per la letizia del canto; per numerosi interpreti antichi e moderni, il doppio l. è qui caratteristica personale di Giustiniano, da riferire alla sua attività d'imperatore e di restauratore della legge: " editione legum et iusta gubernatione imperii ", Ottimo); e così ancora X 42, 115 e 134. In Pd III 23 ritorsili [gli occhi] avanti / dritti nel lume de la dolce guida, significa il volto splendente di Beatrice.
La luminosità dei beati è rappresentata quasi come involucro dell'anima, in Pd IX 7 già la vita di quel lume santo / rivolta s'era al Sol (vita è appunto l'anima del beato, in questo caso Carlo Martello, della quale D. vede solo il lume santo); XV 52 dentro a questo lume / in ch'io ti parlo, e XVIII 76. Il fatto che D. vede solo lo splendore e non la parvenza corporea dei beati, rende spesso l. sinonimo di " beato ", come in Pd VIII 25 chi avesse quei lumi divini / veduti a noi venir (sono gli spiriti amanti del cielo di Venere), X 73, XIII 29 attesersi a noi quei santi lumi (sono le due corone di spiriti sapienti, nel cielo del Sole), XIV 110 e 121, XV 31, XVIII 37, XXI 80, XXIII 110 tutti li altri lumi / facean sonare il nome di Maria (sono le turbe di splendori che onorano Maria). La figura metonimica persiste anche per i tre apostoli esaminatori di D., Pietro (l'appostolico lume al cui comando / io avea detto, Pd XXIV 153), Giacomo (Indi si mosse un lume verso noi, XXV 13; Così seguì 'l secondo lume ancora, v. 48), Giovanni (Poscia tra esse un lume si schiarì, XXV 100), e per Adamo (domandai / d'un quarto lume ch'io vidi tra noi, XXVI 81).
Anche la luminosità degli angeli si presenta come involucro celante il loro aspetto, in Pg XVII 57 Questo è divino spirito... / e col suo lume sé medesmo cela (" amictus lumine sicut vestimento ", Ps. 103, 2), e XXVII 59 un lume che lì era. Prima che il pellegrino abbia coscienza della presenza di un angelo, la luminosità di questo è vista come una luce indeterminata (m'apparve, s'io ancor lo veggia, / un lume per lo mar venir, Pg II 17: è lo splendore dell'angelo nocchiero, che traghetta le anime dalla foce del Tevere alla spiaggia del Purgatorio; e XVII 44).
Di fronte alle numerose attestazioni indicate fin qui, sono poche quelle in cui l. presenta il significato di " fonte luminosa ", come in Pg XXII 68 quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova (il paragone, alquanto comune, era stato usato da Paolo Zoppo di Castello, con espressioni molto simili a queste di D.: cfr. Raccolta di Rime Antiche Toscane, Palermo 1817, I 129), e Pd II 101 un lume che i tre specchi accenda. In Pg XXXII 98 le sette ninfe, con quei lumi in mano, l. sono i candelabri, che nelle mani delle ninfe possono rappresentare l'unione delle virtù con i doni dello Spirito Santo (in un'allegoria, come propone lo Scartazzini, della prima Pentecoste cristiana), oppure i sacramenti. Da notare la locuzione ‛ a l. spento ' di Pg III 132, a proposito delle ossa di Manfredi che furono dal vescovo di Cosenza trasferite fuori del regno di Napoli senza sepoltura e senza rito funebre: " candelis extinctis et campanis pulsatis " (Pietro; " il rilievo qui aggiunge una particolare nota di squallore e di pietà ", Grabher). Ancora come fonte luminosa, è sinonimo di " sole ", in Pg XIII 16 0 dolce lume a cui fidanza i' entro / per lo novo cammin, e Rime CIV 47 'l gran lume / toglie a la terra del vinco la fronda.
Nel significare lo splendore degli occhi, l'accezione di l. comporta un riferimento alla condizione spirituale e propriamente al sentimento amoroso, com'è evidente in Pg XXVIII 64 Non credo che splendesse tanto lume / sotto le ciglia a Venere (questo splendore di dea innamorata si addice a Matelda, che in Pg XXIX 1 canta come donna innamorata), e XXXI 110 nel giocondo / lume ch'è dentro aguzzeranno i tuoi / le tre di là (l'espressivo splendore degli occhi seconda il felice rapporto di lettera e simbolo che si attua nella scena dell'incontro di D. con Beatrice). Ma già nella lirica d'amore questo l. degli occhi aveva fatto le sue prove: Rime LXV 2 De gli occhi de la mia donna si 'nove / un lume sì genti/ (cfr. Dino Frescobaldi Donna, dagli occhi 1-2 " dagli occhi tuoi par che si move / un lume "); LXVII 14, Rime dubbie III 5 5 Nel mezzo de la mente mia risplende / un lume de' belli occhi. In Rime CXVI 65 merzé del fiero lume / che sfolgorando fa via a la morte, l. è sinonimo degli occhi della donna, ed è fiero, quale mortale attributo della nimica figura. Ancora con riferimento alla donna amata, in Rime CI 23.
Secondo il suo valore più proprio di " effetto della luce ", l. significa la luminosità di ciò che è investito dalla luce: l'emisfero lunare (Cinque volte racceso e tante casso / lo lume era di sotto da la luna, If XXVI 131), un viso umano (fregiavan sì la sua faccia di lume, Pg I 38) o le cose in genere (lo sole... reduce le cose a sua similitudine di lume, quanto esse per loro disposizione possono da la [sua] virtude lume ricevere, Cv III XIV 3). Dato il rapporto di causa ed effetto vigente tra " raggio " e " luminosità ", il poeta se ne serve come termine di paragone per significare la superiorità del bene divino su ogni altro bene, in Pd XXVI 33 ciascun ben che fuor di lei si trova / altro non è ch'un lume di suo raggio (cfr. XIII 52 ss., XIX 52-54, Tomm. Sum. theol. I 6 4).
Significa la luminosità come condizione ambientale, in If III 75 com'i' discerno per lo fioco lume, dove si " rettifica la notizia sul buio infernale, che sembrava assoluto nei vv. 23 e 29 " (Chimenz); XXIX 39, XXXIV 99; in contrapposizione al buio che caratterizza il mondo infernale, si fa simbolo della vita in If X 69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume? (così l'ediz. Petrocchi, ma nelle edizioni precedenti lome [v.]; per il rapporto luce-vita, cfr. Aen. III 311 " vivisne? aut, si lux alma recessit "). Antiteticamente alla luminosità carente dell'Inferno, significa quella sovrabbondante dei cieli: Pd I 82 La novità del suono e 'l grande lume, che si riferisce alla vastità del cielo acceso / de la fiamma del sol (vv. 79-80), e che ha fatto pensare alla sfera del fuoco (cfr. G. Boffito, La sfera del fuoco, ecc., in " Atti R. Ist. Veneto " LXI [1901-1902] 290 ss.) o alla " diffusa chiarità e luminosità dei cieli, non visibile ad occhi terreni " (cfr. B. Nardi, La novità del suono, ecc., in " Nuovo Giorn. d. " Il [1918] 98-101); ma si veda l'ampio studio di S. Pasquazi (in All'eterno dal tempo, Firenze 1966, 193 ss.) che vede nel grande lume il " lumen gloriae " ovvero la luce " che dall'Empireo inonda tutti i cieli ". Così ancora in Pd V 95 e XXXI 123 vidi parte ne lo stremo / vincer di lume tutta l'altra fronte: questa luminosità di una parte della ‛ rosa ' si spiega, nei versi successivi, con la presenza di Maria (una bellezza, che letizia / era ne li occhi a tutti li altri santi, vv. 134-135). Ma già in III 111 splendor... che s'accende / di tutto il lume de la spera nostra, è evidente che la luce in Paradiso, sia luminosità delle sfere o dei beati che l'accolgono, è fenomeno soprannaturale, con essenziali incidenze spirituali; così lo spirito di Costanza d'Altavilla, nell'accendersi di tutto il l. della sfera della Luna, rivela il proprio alto grado di beatitudine e nello stesso tempo l'alto merito scaturito dall'aver in vita realizzata la virtù cui la disponeva l'influenza lunare.
In effetti, è certo che il termine era comunque ben disponibile per il valore figurato. Significa così la facoltà soggettiva dell'intelletto, in Pg XVI 75 lume v'è dato a bene e a malizia; Cv IV VII 4 coloro dirizzare intendo ne' quali alcuno lumetto di ragione per buona loro natura vive ancora, dov'è da notare il diminutivo con valore concessivo - " sia pure piccolo " -, che appare riferibile alle analoghe forme di Cicerone (" parvulos nobis dedit natura igniculos ", Tusc. III I 2) e di Boezio (" nostrae mentis igniculum illustrare lux divina dignata est ", Trin., proemio); così anche in I XIII 12 e IV XXIV 14. In Cv I XI 4 colui che è cieco del lume de la discrezione, significa la facoltà del discernere (" discretio... intelligentiae opus est et sensus ", Aristotele Anima III 14).
Nell'ambito di quest'accezione figurata va ricordata la locuzione ‛ veder l. ' di Pg VI 148 E se ben ti ricordi e vedi lume, / vedrai te somigliante a quella inferma, che significa " non esser cieco ", " aver intelletto, facoltà di discernere " (" vive in Toscana ", Tommaseo).
È sinonimo di " sapienza ", in Pg XVIII 11 il mio veder s'avviva / sì nel tuo lume, dove il valore figurato si colloca nell'intera proposizione metaforica; Pd XIII 44 quantunque a la natura umana lece / aver di lume, a proposito della scienza perfetta di Adamo e Cristo (cfr. Tomm. Sum. theol. I 94 3); XIX 64 Lume non è, se non vien dal sereno / che non si turba mai (il l. sereno e imperturbabile è l'illuminazione che viene da Dio o la rivelazione). In Cv IV VI 18 Amate lo lume de la sapienza, i due termini tendono a fondersi nel concetto di sapienza illuminante, come nel testo scritturale " Diligite lumen sapientiae, omnes qui praeestis populis " (Sap. 6, 23), se alla ripetizione della citazione, in XVI 1, la giunta e lume di sapienza è essa veritade richiama all'oggetto della sapienza, che è la verità (cfr. anche III I 1)
Il lemma è ancora disponibile per significare tanto la specifica virtù illuminante di una scienza, come dell'Aritmetica (Cv II XIII 16 del suo lume tutte s'illuminano le scienze), quanto l'illuminazione spirituale che la virtù esercita: II X 5 la pietade, la quale fa risplendere ogni altra bontade col lume suo; IV XXVII 10 e, in forma più sintetica, If I 82 0 de li altri poeti onore e lume (l'opera di Virgilio è la divina fiamma / onde sono allumati più di mille, Pg XXI 95-96). Significa altresì la particolare illuminazione spirituale attribuita a Beatrice mediatrice tra l'umano e il divino, quella... / che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto (VI 45).
In Cv II IV 17 risplende nel nostro intelletto alcuno lume de la vivacissima loro essenza, significa la parziale intuizione di una verità che trascende la nostra intelligenza (la distanza fra la parte e il tutto è rappresentata dal contrasto tra alcuno lume e vivacissima).
Anche il concetto di luminosità ha ulteriori valori figurati, come in Pg XXXIII 75 t'abbaglia il lume del mio detto, dove significa la forte luce di verità che rende enigmatico il discorso di Beatrice (si veda anche Pd XXXIII 90 ciò ch'i' dico è un semplice lume, " appena un barlume del vero ", Scartazzini-Vandelli); in Pd XVIII 19 Vincendo me col lume d'un sorriso, vale a significare il fascino del sorriso di Beatrice; in Cv III VIII 11 una corruscazione de la dilettazione de l'anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro, la luminosità, che ha il suo precedente nella metafora della corruscazione, significa appunto il manifestarsi del moto interiore.
Valore figurato hanno anche le locuzioni ‛ far l. ' e ‛ aprir l. ': la prima è attestata in Pg IV 30 speranza mi dava e facea lume (e si riferisce all'illuminazione sapienziale che Virgilio costantemente offre al discepolo, e che in particolare si è ripetuta poco prima, III 22 ss.), e in Rime CVI 49 gli occhi ch'a la mente lume fanno. La seconda locuzione è, in Cv II X 9 La grandezza temporale... apre lume che mostra lo bene e l'altro de la persona, dove si sostiene che la grandezza temporale è una condizione per la quale meglio si illuminano, o si rivelano, pregi e difetti umani: quanto savere e quanto abito virtuoso non si pare per questo lume non avere! e quanta matterìa e quanti vizii si discernono per aver questo lume! Cfr. ancora ‛ esser l. ', in Pg XXV 36 le parole mie / ... lume ti fiero al come che tu die.