LUNA (XXI, pagina 650)
Quella parte dell'astronomia, che si occupa dello studio della Luna, si designa col nome generale di selenologia (dal greco Σελήνη "Luna", e λόγος "discorso"); mentre, più particolarmente, si chiama selenografia (dal greco γράϕω "descrivo") la descrizione e rappresentazione delle caratteristiche fisiche della superficie lunare. Una parte della selenografia è la topografia lunare.
La selenologia, come scienza, ha un'origine e una storia relativamente recenti, rimontando a G. Galilei e all'invenzione del cannocchiale astronomico. Gli antichi - che dovevano naturalmente contentarsi di osservare la superficie della Luna a occhio nudo - ne sapevano assai poco, limitandosi a scorgere nel contrasto delle sue ombre e dei suoi chiari figure più o meno simboliche. Anassagora è il primo che abbia immaginato la natura della Luna del tutto simile a quella della Terra, con monti, valli, mari, ecc. Lo stesso supposero Democrito, Filolao e Metone; Aristotele ne dimostrò la forma sferica e Aristarco assegnò un valore al suo diametro e alla sua distanza dalla Terra, che fu comprovato poi dalle osservazioni più precise di Ipparco. Questi e Tolomeo scoprirono qualche particolarità della superficie lunare e le perturbazioni del suo movimento; anche di Plutarco si ricorda uno scritto sulla Luna.
Ma più di questo non si conobbe fino al secolo XVII, cioè fin quando G. Galilei poté aprire nuovi orizzonti alla selenologia, rivolgendo il suo cannocchiale allo studio del nostro satellite; nel 1610 egli ne tentò i primi disegni e negli anni successivi, tra l'altro, misurò trigonometricamente l'altezza delle principali montagne lunari. Altri osservatori seguirono negli anni successivi e nell'indirizzo da lui dato: nel 1615 P. Cristoforo Scheiner; nel 1636 C. Mellan, a cui si deve la prima carta lunare; nel 1645 Langrenus, che ne pubblicò una nuova carta assegnando per la prima volta dei nomi alle terre (zone luminose): Terra della saggezza, Terra della pace, ecc., e ai mari (zone oscure): Mare austriaco, Mare di Venezia, ecc.; nel 1646 Francesco Fontana, che pubblicò anche lui una mappa. Uno studio più particolareggiato e accurato si deve a Giovanni Hevel (Hevelius) di Danzica, il quale nel 1647 pubblicò la sua Selenografia, sive Lunae descriptio, stupendamente illustrata da tavole disegnate e incise da lui stesso: i caratteri principali della Luna, montagne, crateri, circhi e quelle zone oscure, credute mari, furono da lui sistematicamente descritti e indicati con nomi tratti dalla mitologia e da altri già adoperati per indicare regioni della Terra. A quella di Hevelius fanno seguito nel 1649 la carta di Eustachio Divini e nel 1651 quella ben più importante ed esatta di G. B. Riccioli, il quale fu aiutato nel suo lavoro da F. M. Grimaldi. Nella sua mappa lunare - pubblicata nell'Almagestum Novum - Riccioli adoperò una nomenclatura diversa da quella di Hevelius, usando nomi di astronomi, matematici, filosofi - nomenclatura che è stata in gran parte conservata fino ai giorni nostri - e lasciando dei nomi dati da Hevelius solo quelli designanti i sistemi montuosi: Appennini, Alpi, Caucaso e simili. Un passo avanti si ebbe nella carta di Geminiano Montanari (1662), il quale compì una lunga serie di osservazioni lunari servendosi per la prima volta del micrometro applicato al cannocchiale e raggiungendo nella determinazione dei diversi punti della superficie lunare un grado di esattezza immensamente maggiore. Una mappa lunare fu pubblicata anche da R. Hcooke e G. D. Cassini nel 1680. Nel 1775 Tobia Mayer ne pubblicò un'altra in Gottinga, nella quale indicò le posizioni in longitudine e latitudine di 27 punti relativamente alla media librazione della Luna. A Tobia Maver si debbono anche altri importanti studî lunari: egli diede una spiegazione geometrica delle varie librazioni (scoperte da G. Galilei), fissò con esattezza la posizione dell'asse intorno a cui la Luna gira e costruì delle Tavole lunari (1753), da impiegarsi per la determinazione delle longitudini in mare, che costituirono un reale progresso rispetto alle antecedenti.
Ultimo studioso del sec. XVIII che si sia occupato a fondo della Luna è Girolamo Schroeter (1745-1816), il quale tra il 1791 e il 1802 pubblicò in due volumi (Selenotopographische Fragmente) i risultati delle sue pazienti osservazioni più che trentennali.
Venendo all'epoca moderna è degna di menzione la Mappa Selenographica di J. H. Mädler e G. Beer pubblicata a Berlino tra il 1834 e il 1836, insieme con un ampio trattato di selenografia. È di questo periodo anche la costituzione di un comitato della Astronomical British Association per la unificazione delle nomenclature lunari, le cui conclusioni però non ebbero, almeno per allora, seguito alcuno. Ricordiamo ancora una mappa di W. G. Lohrmann del 1824, completata nel 1878 da J. Schmidt e migliorata ancora da H. Ebert nel 1892: le 25 tavole che la compongono corrispondono a un disco lunare di due metri di diametro e contengono la posizione di molte migliaia di crateri e circhi. Notevole è anche l'opera di J. Nasmyth e J. Carpenter, The Moon, pubblicata a Londra nel 1874, la quale contiene belle fotografie di plastici riproducenti con buona fedeltà le zone più salienti delle varie regioni lunari.
La fotografia - applicata fin dai suoi inizî alla riproduzione di oggetti celesti - ha portato naturalmente un contributo immenso alla selenografia, facendole fare progressi veramente imponenti; le mappe e le carte lunari, così ottenute, sono di tipo completamente differente da quelle disegnate, sia per il numero, sia per la precisione dei particolari della superficie lunare.
S. A. Saunder e J. Franz, infatti, hanno potuto determinare in tale maniera la posizione di più di 3000 punti, con un errore probabile di ± 0″,15, che corrisponde a un'incertezza sulla superficie lunare di meno che 300 metri.
Il primo che riuscì a fotografare la Luna fu W. C. Bond nel 1850, ma fotografie discrete si ebbero soltanto verso il 1865 da W. De La Rue in Inghilterra e da H. Draper e L. M. Rutherfurd in America. Gli astronomi francesi M. Loewy e P. Puiseux, dell'osservatorio di Parigi, aiutati da Ch.-M. Le Morvan hanno pubblicato un grandioso Atlas photographique de la Lune (iniziato nel 1896), le cui tavole, ricavate dagl'ingrandimenti delle fotografie prese all'equatoriale coudé di 60 centimetri, sono stupende per l'ahbondanza dei particolari e per la chiarezza delle immagini (in alcune tavole di dettaglio il disco lunare arriva alla grandezza di m. 2,88). In epoche a noi più vicine si hanno le belle fotografie ottenute all'osservatorio Lick in California (Mount Hamylton), all'osservatorio Yerkes di Chicago da G. W. Ritchey e F. Slocum, e all'osservatorio di Mount Wilson con il telescopio Hooker di due metri e mezzo di diametro.
La nomenclatura lunare è stata in questi ultimi tempi completata e unificata per interessamento dell'Unione astronomica internazionale sotto i cui auspici M. A. Blagg e K. Muller hanno portato a termine nel 1935 la Named Lunar Formations, catalogo definitivo e completo contenente la sistemazione (nome, coordinate, grandezza, ecc.) di tutte le formazioni lunari prima sparse in varî cataloghi; contemporaneamente la stessa M. A. Blagg insieme con W. H. Wesley hanno pubblicato una Map of the moon, comprendente, sulla scorta delle precedenti misure di Saunder e Franz, un atlante di 14 tavole, per ognuna delle 14 zone in cui è stato suddiviso il disco lunare.