LUNULA (gr. μηνίσκος; ted. mondförmige Fläche, Möndchen, Halbmond)
In geometria si designa con questo nome ogni superficie piana limitata da due archi circolari di raggio diverso, i quali abbiano gli estremi in comune e giacciano da una stessa parte rispetto alla corda che li sottende (fig. 1).
Queste figure si presentarono spontaneamente ai geometri greci nei loro tentativi - destinati, come oggi è ben noto, a restare infruttuosi - per quadrare elementarmente il cerchio, cioè per determinare con sole costruzioni eseguibili con riga e compasso un poligono (sempre trasformabile in un quadrato), il quale avesse superficie uguale a quella del cerchio (v.). E ancora oggi si parla di lunule quasi soltanto per ricordarne tre tipi particolari, che Ippocrate di Chio riconobbe quadrabili elementarmente.
Molto più tardi altri due tipi di lunule aventi la stessa proprietà furono assegnati da J. Clausen (in Journ. für die reine und angew. Mathematik, XXI, 1840), il quale espresse l'opinione che, oltre i cinque tipi così scoperti, non esistessero altre lunule quadrabili elementarmente. Ma questa induzione non è stata in alcun modo convalidata. E. Landau ha bensì formulato (in Sitzungsberichte der Berliner math. Ges., II, 1903), le equazioni e le condizioni aritmetiche, in cui si traduce il problema della determinazione di tutte le eventuali lunule quadrabili elementarmente, e ha dimostrato come tali equazioni e condizioni risultino fra loro incompatibili in tutta una serie di infiniti casi; ma questi non esauriscono tutte le eventualità possibili.
Fra le lunule d'Ippocrate la più nota, per la semplicità della costruzione, si ottiene considerando un arco, che sia la quarta parte di una circonferenza, e conducendo sulla sua corda AB, presa come diametro, la semicirconferenza che giace dalla medesima parte dell'arco dianzi considerato (fig. 2); la lunula così ottenuta ha superficie uguale al triangolo rettangolo isoscele ABC, iscritto nella semicirconferenza. Questo risultato di Ippocrate rientra come caso particolare in un noto teorema di geometria elementare, che fu da taluno attribuito erroneamente allo stesso Ippocrate, mentre pare sia stato enunciato la prima volta parecchi secoli dopo, in uno scritto sulla quadratura del cerchio, dal geometra arabo Alhazen (cioè Ibn al-Haitham): Dato un qualsiasi triangolo ABC, rettangolo in B, si descrivano tre semicirconferenze, di cui la prima abbia come diametro l'ipotenusa AC e giaccia, rispetto ad essa, dalla medesima parte del triangolo - sicché passi per B - e le altre due abbiano come diametri i due cateti AB, BC e siano esterne al triangolo (fig. 3); la somma delle due lunule, che così risultano costruite sui cateti, ha superficie uguale a quella del triangolo. Codeste due lunule si riducono entrambe al tipo d'Ippocrate dianzi considerato, quando il triangolo ABC è isoscele (AB = BC).
Per caratterizzare gli altri quattro tipi noti di lunule quadrabili elementarmente, si osservi anzitutto che una lunula risulta determinata, quando si assegnino, oltre la corda AB, che sottende i due archi circolari, i due angoli al centro ψ, ψ′, corrispondenti a questi due archi (fig. 1). Se, per fissare le idee, si suppone ψ 〈 ψ′ cioè si indica con ψ l'angolo al centro corrispondente all'arco che volge alla superficie della lunula la sua convessità, la lunula d'Ippocrate già pocanzi definita corrisponde al caso ψ = π/2, ψ′ = 2ψ = π. Gli altri quattro tipi noti di lunule quadrabili (di cui i primi due risalgono ancora a Ippocrate, mentre gli altri due, come già si è detto, appartengono al Clausen) sono caratterizzati dai seguenti valori di ψ e ψ′:
Sono stati assegnati anche taluni tipi quadrabili elementarmente di triangoli a lati circolari, per i quali si rimanda ai trattati di geometria elementare citati nella bibliografia. Piuttosto vanno ricordate le due figure seguenti, di cui è fatto cenno nel Liber assumptorum di derivazione archimedea (v. archimede) e che non sono quadrabili elementarmente, ma godono, soprattutto la prima, di proprietà eleganti: 1. L'arbelo (da ἄρβηλος "trincetto"). Si ottiene dividendo ad arbitrio un segmento AB in due parti AC, CB, e conducendo da una stessa parte rispetto alla retta AB le tre semicirconferenze di diametri AB, AC, CB (fig. 4). Se si denota con D l'intersezione della perpendicolare alla AB in C con la semicirconferenza maggiore, l'arbelo ha superficie uguale a quella del cerchio di diametro CD.
2. Il salinón (nome di etimologia incerta). Si ottiene, descrivendo anzitutto, da parti opposte di una retta, e col centro comune in un punto O di essa, due semicirconferenze di raggio diverso; dopo di che, se AB, CD sono i diametri di queste due semicirconferenze, si conducono, da quella stessa parte della retta, in cui giace la maggiore, le due semicirconferenze fra loro eguali, di diametri AC, DB (fig. 5). Il salinón ha superficie uguale a quella del cerchio che ha per diametro la somma EF dei raggi delle prime due semicirconferenze.
Bibl.: Sulle lunule: N. Cantor, Vorl. überd Gesch. der Math., I, 4ª ed., Lipsia-Berlino 1922, p. 207; O. Th. Heath, A history of Greek mathematics, I, Oxford 1921, pp. 193-200. - Sui triangoli a lati circolari quadrabili elementarmente: G. Paucker, Ebene Geometrie, I, Königsberg 1823, p. 196; T. Spieker, Lehrbuch der ebenen Geometrie, 20ª ed., Potsdam 1892, p. 168, - Sugli arbeli: A. Lidonnici, Gli arbeli, in Period. di mat., s. 4ª, XII (1932).