LUPO
Duca di Spoleto, la cui esistenza e attività sono documentate, tra il 745 e il 751, soltanto da fonti di tipo diplomatico, sia direttamente da lui prodotte (Codice diplomatico longobardo, IV, nn. 3-13), sia prodotte da altri ma con la sua menzione in quanto titolare del Ducato (ibid., V, nn. 6-15), sia ancora da documenti a lui non più coevi, ma comunque legati alla sua attività (ibid., III, n. 23; V, n. 20; I placiti del Regnum Italiae, I, n. 49). L'assenza del suo nome nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, che si arresta alla morte del re Liutprando nel 744, nonché nelle cronache pontificie contemporanee non consente di confrontare le fonti diplomatiche disponibili con quelle di tipo letterario, che avrebbero contribuito alla ricostruzione del percorso di L. con maggiore ampiezza. Già sul nome stesso del personaggio affiora una certa confusione, in quanto è diversamente trascritto in base alle due versioni presenti nel registro di Farfa, Lupus e Lupo, donde l'esistenza delle forme concorrenti in italiano: Lupo e Lupone della storiografia.
Ugualmente controversa è la questione della sua origine. Un documento molto più tardo (un placito del 26 febbr. 845) ricorda la fondazione del monastero di S. Maria in Organo presso Verona da parte di un certo duca Lupo e di sua moglie "Ermilenda" [sic]. Dal momento che l'ultimo atto di L. in quanto duca di Spoleto (Codice diplomatico longobardo, IV, 1, n. 13) riguardava la fondazione del monastero femminile di S. Giorgio di Rieti, nell'aprile 751, e fu emanato a nome della coppia ducale L. ed Ermelinda, si è ragionevolmente concluso che fossero le stesse persone; da tale identificazione si ricaverebbe inoltre l'origine veronese, o almeno veneta, di L. duca di Spoleto.
Se la nascita o gli antecedenti di L. rimangono oscuri, la cronologia della sua attività in quanto duca di Spoleto non risente di tali incertezze. Appare nella documentazione nel 745, essendo succeduto nel corso del 744 o nei primi mesi del 745 al duca Agiprando (743-744 circa), successore a sua volta di Trasmondo (II) (719/720-742/744). È menzionato per l'ultima volta, ancora come duca, nel 751 e già nel luglio dello stesso anno un documento regio emanato dal re longobardo Astolfo lo menziona come "Lupo, qui fuit dux civitatis nostrae Spoletanae" (Codice diplomatico longobardo, III, 1, n. 23).
In questo spazio cronologico L. appare come un protettore di rilievo del monastero di Farfa, allora importantissimo centro religioso alla cerniera tra il Ducato romano e quello spoletino, al quale egli fece dono di terreni e diritti. Il solo documento di L. relativo a una istituzione che non sia Farfa, l'atto di fondazione del monastero di S. Giorgio a Rieti già citato, pone comunque anche quel nuovo centro religioso sotto la tutela del grande monastero della Sabina. Attraverso queste manifestazioni di devozione L. si inseriva dunque negli ormai tradizionali rapporti tra il Ducato spoletino e il monastero farfense, un tratto caratteristico dell'ultimo secolo dell'epoca longobarda nella regione e di massima importanza per la vita culturale del Ducato stesso, per il quale Farfa assunse un ruolo paragonabile a quello di Montecassino per Benevento nel secolo seguente.
L'esistenza di L., superando il silenzio delle fonti narrative, deve essere considerata alla luce dei complessi rapporti nella prima metà del secolo VIII tra gli ultimi re longobardi e i Ducati di Spoleto e Benevento. I rapporti tra il Regno e i ducati meridionali, territorialmente da esso separati da una striscia di terra ancora ufficialmente sotto l'autorità bizantina, erano sempre stati contraddistinti da una complessa combinazione di solidarietà longobarda sovraregionale e di tendenza autonomistica dei Ducati nei confronti dell'autorità regia, ma nella prima metà del secolo VIII tali rapporti si deteriorarono, in particolare sotto il duca spoletino Trasmondo (II). Questi aveva coltivato una politica altalenante tra il Regno longobardo e i suoi tradizionali nemici, Bisanzio e il papa, prima di essere finalmente deposto da re Liutprando dopo una vittoriosa spedizione fino a Spoleto nel 742.
Lo sviluppo di legami sempre più stretti tra Spoleto e Farfa, già attestati sotto Trasmondo e rafforzatisi sotto L., era dunque un sintomo della maturazione di nuove solidarietà politiche e sociali, connesse all'agonia del dominio bizantino nell'Italia centrale, all'indebolimento generale delle strutture del Regno longobardo e alla genesi di una nuova coscienza politica favorevole alla dominazione pontificia nel Ducato romano.
In tale prospettiva il ruolo di L., a partire dalle fonti, è stato naturalmente interpretato dalla storiografia alla luce della crisi allora in corso nei rapporti tra il Regno longobardo e il Ducato spoletino. Diametralmente opposte a questo proposito sono le ricostruzioni storiche proposte da Brühl (pp. 34-36) e da Gasparri. Il primo, che vuole L. duca di Spoleto dal luglio 745, considera il nuovo duca un esponente della fazione favorevole all'indipendenza del Ducato. Soltanto successivamente L. si sarebbe avvicinato a re Rachi, mettendo in atto una politica di conciliazione sancita da un viaggio del duca a Pavia nel 747, in occasione del quale egli emise un atto per Farfa dietro ordine del re stesso (Codice diplomatico longobardo, IV, n. 6). L., sempre secondo Brühl, sarebbe andato incontro a una brusca fine, dovuta al riuscito tentativo da parte del nuovo re longobardo Astolfo, fratello di Rachi, di riprendere il controllo di Spoleto con la forza dopo la sua conquista, nel 751, di quanto restava dell'Esarcato di Ravenna. Astolfo non si sarebbe allora accontentato di annettere l'ex provincia bizantina facendone un secondo importante polo del suo Regno, ma vi avrebbe aggiunto il Ducato di Spoleto, ormai contiguo al Regno nella sua nuova estensione, scacciandone Lupo. In effetti, la mancata nomina di un successore di L. a Spoleto, posta sotto diretto controllo regio dall'estate del 751 alla morte del re nel 756, rafforza l'ipotesi di una eliminazione del duca dalla scena politica, senza che si possa precisare se egli finì la vita in un chiostro o conobbe una morte violenta.
Contro tale ricostruzione, che lascia la porta aperta a ulteriori ma indimostrabili congetture su eventuali legami familiari tra L. e il suo predecessore Trasmondo (II), alla cui politica di governo L. stesso si sarebbe ispirato, Gasparri sostiene la versione di un duca L. agente del potere regio, la cui assunzione a capo del Ducato spoletino sarebbe stata la diretta conseguenza dell'ascesa al potere di re Rachi nel 744, in considerazione anche del fatto che le presunte origini venete del duca escluderebbero che egli avesse legami con l'ambiente favorevole all'autonomia del Ducato spoletino. Secondo tale lettura, il governo a Spoleto di L., fedele del friulano Rachi, avrebbe al contrario rappresentato un riavvicinamento del Ducato al Regno. Sarebbe stata la deposizione di Rachi da parte del fratello Astolfo, nel 749, a provocare una nuova tensione tra Regno e Ducato e la caduta di L. nel 751.
A favore di tale ricostruzione Gasparri sottolinea opportunamente l'importanza dei documenti emanati dal duca con il formale riconoscimento della supremazia di re Rachi e una sostanziale assenza di contrasti con il sovrano (Codice diplomatico longobardo, IV, n. 6; V, nn. 8, 13), nonostante non vi siano altre fonti che attestino un riconoscimento ufficiale, anche solo simbolico, della supremazia regale di Astolfo sul duca spoletino. Tale ricostruzione appare più convincente, ma bisogna ricordare che tutte le ipotesi si fondano su una base argomentativa molto ristretta, che fa appello alla presunta origine veneta di L. o al possibile significato della presenza o assenza del re longobardo negli atti ducali, o legati al Ducato, e concernenti Farfa.
Si può invece andare oltre le semplici congetture quando si esamina l'attività del duca come benefattore di Farfa e fondatore di centri monastici. In particolare, il già ricordato ultimo atto emanato da L. ed Ermelinda per la fondazione del monastero di S. Giorgio di Rieti consente di misurare il grado di evoluzione raggiunto dalla cultura romano-longobarda, comune alle élites di Spoleto, di Benevento e del Regno, nella regione spoletina, particolarmente permeabile alle influenze romane. Altro elemento notevole del documento è la volontà di aprire il monastero femminile a monache non solo di origine locale, ma anche di altre province, longobarde e franche, indizio prezioso del fatto che gli sviluppi culturali avvenuti sotto il governo di L. a Spoleto superavano il quadro regionale e che il Ducato era già collegato in qualche modo allo spazio dinamico del Regnum Francorum, oltre ad avere le ormai tradizionali relazioni con il Ducato romano. Ciò potrebbe indicare che sotto L. si delineava già il panorama nel quale, un quarto di secolo dopo, si sarebbe prodotta la caduta del Regno longobardo sotto l'effetto combinato dell'attacco franco e della indifferenza per il suo destino da parte delle classi dominanti longobarde, a Spoleto in particolare.
Fonti e Bibl.: Gregorius Catinensis, Regestum Farfense, a cura di I. Giorgi - U. Balzani, II, Roma 1879, pp. 28-42; Chronicon Vulturnense, a cura di V. Federici, III, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LX, Roma 1938, p. 129; I placiti del Regnum Italiae, I, a cura di C. Manaresi, ibid., XCII, ibid. 1955, p. 161; Codice diplomatico longobardo, III, 1, a cura di C. Brühl, ibid., LXIV, ibid. 1973; III, 2, a cura di Th. Kölzer, ibid., ibid. 1984, ad ind.; IV, 1, a cura di C. Brühl, ibid., LXV, ibid. 1981, ad ind.; V, Le "chartae" dei Ducati di Spoleto e di Benevento, a cura di H. Zielinski, ibid., LXV, 2, ibid. 1986, ad ind.; A. Jenny, Geschichte der langobardischen Herzoghtums Spoleto von 570-774, Basel 1890, p. 69; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 2, Gotha 1903, pp. 147-150; C. Brühl, Chronologie und Urkunden der Herzöge von Spoleto, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LI (1971), pp. 1-92; J. Jarnut, Beobachtungen zu den langobardischen arimanni und exercitales, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germ. Abt., LXXXVIII (1971), pp. 1-28; H. Zielinski, Studien zu den spoletinischen "Privaturkunden" des 8. Jahrhunderts und ihrer Õberlieferung im Regestum Farfense, Tübingen 1972, ad ind.; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 58, 80 s.; P. Delogu, Il Regno longobardo, in P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Roma 1980, pp. 167 s.; C. Azzara, Spoleto e Benevento e il Regno longobardo d'Italia, in I Longobardi dei Ducati di Spoleto e Benevento. Atti del XVI Congresso, Spoleto-Benevento 2002, Spoleto 2003, pp. 105-124; S.M. Collavini, Duchi e società locali nei Ducati di Spoleto e Benevento nel secolo VIII, ibid., pp. 125-164.