LUSERNA MANFREDI, Carlo Giovan Francesco
Nacque a Vercelli l'8 febbr. 1551 da Carlo e da Beatrice di Savoia Racconigi. Al fonte battesimale ebbe come padrino il duca di Savoia Carlo II. In onore di questo gli fu dato il nome di Carlo, mentre quello di Giovan Francesco gli fu imposto per ricordare l'avo materno, Giovan Francesco di Savoia Racconigi. Dopo aver seguito "studi di rethorica, logica, matematica, filosophia et musica, come al tirar d'arme, cavalcare et altri esercitii cavallereschi" (Promis, 1879, pp. 8 s.), seguendo la tradizione di famiglia iniziò gli studi legali. Nello stesso tempo, il fratello minore Emanuele Filiberto (1557-1616) fu inviato in Spagna, come paggio alla corte di Filippo II. La morte del padre, avvenuta il 16 nov. 1572, lasciò al L. la gestione di una difficile situazione familiare. Egli decise, allora, di interrompere gli studi e di trasferirsi a corte, lasciando la gestione dei feudi e dei beni alla madre Beatrice.
Il L. fu costretto ad affrontare in primo luogo la contesa con i Porporato - con i quali ereditava dal padre "vintidue liti" - per l'egemonia nelle valli di Luserna, Pellice e Chisone.
Nonostante si fossero schierati con gli occupanti francesi, i fratelli Girolamo e Giovan Angelo Porporato avevano mantenuto integro il loro potere anche dopo il ritorno del duca Emanuele Filiberto nel 1559. Nel 1560 Giovan Angelo era stato nominato senatore di Piemonte e poteva contare sull'appoggio dei fratelli Claudio e Filippo di Savoia Racconigi, in lite con la loro congiunta Beatrice per il feudo di Pancalieri e per il pagamento della dote di 15.000 scudi.
Giunto a corte, il L. si rese conto della necessità di giungere a un accomodamento con i rivali.
Nel giro di pochi mesi si accordò con i Porporato e nel 1573 combinò il matrimonio di sua sorella Carlotta (1554-94) con Gaspare Porporato di Sampeyre, figlio del senatore Giovan Angelo. Il matrimonio fu favorito dallo stesso duca, il quale fece al L. un dono di 16.450 lire (di cui 3000 come dote per Carlotta) e chiamò la giovane a corte, quale dama d'onore della duchessa Margherita di Valois.
Il 2 febbr. 1573, Emanuele Filiberto creò il L. cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro in occasione della prima creazione di membri dell'Ordine allora fondato; nel 1574 lo nominò gentiluomo di camera e nell'estate del 1575 gli affidò una delicata missione diplomatica nei Ducati di Ferrara e Urbino.
Nel 1570 papa Pio V aveva concesso a Cosimo I de' Medici il titolo di granduca di Toscana. Ciò aveva suscitato lo sconcerto degli altri principi italiani, in particolare del duca Alfonso II d'Este e del duca di Savoia, le cui case vantavano un'antichità e un rango ben maggiori rispetto ai parvenus medicei. La decisione papale, peraltro, poteva essere contestata, poiché essa era avvenuta senza l'assenso dell'imperatore, che riteneva la Toscana suo feudo. La questione divenne ancora più scottante quando nel 1574 Cosimo I morì e gli successe Francesco I, il quale sollecitò l'imperatore Massimiliano II a pronunziarsi in suo favore.
In questo frangente la diplomazia sabauda si attivò per stabilire, per il tramite del L., un'alleanza con il duca Alfonso II d'Este in funzione antimedicea. Giunto a Ferrara nel luglio 1575, egli ebbe diversi incontri con il duca, che furono però poco fruttuosi. Il duca di Ferrara era allora convinto di riuscire a farsi eleggere re di Polonia e pertanto riteneva che la disputa con i Medici per il titolo granducale fosse ormai una questione secondaria. Non migliore fortuna il L. ebbe a Urbino con il duca Francesco Maria II Della Rovere, salito al trono da pochi mesi. Nel novembre 1575 l'imperatore Massimiliano II si pronunciò a favore di Francesco I de' Medici. Il fallimento della missione, peraltro, non poteva certo essere imputato al Luserna. Nell'arco di un anno gli ambasciatori medicei avevano speso, per ottenere il riconoscimento del titolo da parte dell'imperatore, oltre 800.000 scudi, somma certo non disponibile per le esauste casse sabaude.
Rientrato in patria, negli anni successivi il L. continuò il servizio a corte e il 14 febbr. 1578 sposò Beatrice Ferrero Fieschi di Masserano (1557 circa - 1601), figlia del principe Besso e di Camilla Sforza. Il matrimonio costituiva un importante successo politico: il suocero Besso Ferrero Fieschi, infatti, restato vedovo, nel 1570 aveva sposato Claudia di Savoia Racconigi, sorella del conte Filippo, che il L. nelle sue Memorie identificò come uno dei principali avversari di famiglia. Con queste nozze egli sanava, almeno in parte, il contrasto con i Savoia Racconigi, anche se la lite per la dote della madre Beatrice si trascinò sino al 1605.
Resa solida la sua posizione a corte, egli poteva ora regolare i conti con il suo avversario più pericoloso: Sebastiano Grazioli, detto il Castrocaro, governatore delle valli Chisone, Pellice e Luserna. Finché fu vivo il duca Emanuele Filiberto, di cui il Grazioli era creatura e protetto, ogni sua mossa fu vana. La situazione cambiò, però, con l'ascesa al trono nel 1580 di Carlo Emanuele I, che accolse le richieste del L. e rimosse il Grazioli dal suo incarico, facendolo rinchiudere nella cittadella di Torino. A rendere più netta la vittoria, il duca nominò il L. nuovo governatore delle valli il 16 sett. 1582. Egli ricoprì tale carica, però, solo per poco più di un anno. Nel 1583, infatti, il duca lo nominò governatore di Cuneo, affidando nello stesso tempo il governo delle valli al fratello minore del L., Emanuele Filiberto.
Negli anni del governatorato cuneese (1583-90), il L. continuò comunque a servire a corte, dove fu tra i cortigiani protagonisti delle feste che vi si svolgevano. È il caso, fra gli altri, di quelle per il battesimo del principe Filippo Emanuele di Savoia, figlio primogenito del duca Carlo Emanuele I e dell'infanta di Spagna Caterina d'Asburgo, nel maggio 1587.
Nel frattempo proseguiva anche la carriera del fratello Emanuele Filiberto, che nel 1584 fu nominato governatore di Savigliano. Nel 1588 Carlo Emanuele I mosse guerra alla Francia per conquistare il marchesato di Saluzzo, sul quale da tempo i Savoia avanzavano forti rivendicazioni. Il duca affidò importanti missioni militari sia al L. sia a Emanuele Filiberto. In questa guerra l'episodio che diede più lustro al L. fu certo la conquista del castello di Centallo, negli ultimi giorni del settembre 1588. In segno di ricompensa per il valore mostrato, il duca gli assegnò un censo di 400 scudi annui. Nelle settimane successive egli riuscì a impossessarsi anche del castello di Roccasparviera e dei centri di Demonte e Barcellonette. La serie di successi si interruppe, però, all'inizio del 1589, quando il L. fu seriamente ferito. Egli dovette allora lasciare il campo di battaglia e ritirarsi a Torino. A proseguire i combattimenti fu, invece, il fratello Emanuele Filiberto che nel settembre 1589 fu inviato dal duca in Provenza a guidare parte delle truppe che Carlo Emanuele I aveva reclutato per invadere la Francia. Rientrata l'invasione, Emanuele Filiberto fu nominato governatore della rocca di Cavour, una delle principali fortezze dello Stato, essenziale nel sistema difensivo sabaudo. Nel 1592, tuttavia, egli fu costretto a cedere la rocca alle truppe francesi di François de Bonne, duca di Lesdiguières.
Nel maggio 1590 Carlo Emanuele I nominò il L. colonnello delle milizie della provincia di Susa e lo creò governatore di Torino e della sua cittadella, rimuovendone Francesco Roero conte di Sciolze, che ricopriva tale incarico dall'agosto 1585.
Gli anni trascorsi al governatorato furono anni difficili, perché fu sottoposto alle continue pressioni dell'ambasciatore spagnolo, José Vázquez de Acuña, che cercò con ogni mezzo, compreso un tentativo di corruzione nei suoi confronti, di introdurre nella cittadella di Torino un presidio di soldati iberici, con il pretesto di difendere la duchessa Caterina d'Asburgo, figlia di Filippo II. Il logoramento nell'esercizio della carica lo indusse alle dimissioni accettate dal duca nel novembre del 1593, il quale riaffidò al conte di Sciolze il governatorato della capitale.
Il L. restò, comunque, membro del Consiglio di Stato e del Consiglio secreto ducale e, stando a quanto racconta nelle sue Memorie, continuò di fatto a dirigere "la più parte dei negotii di guerra et altri" (Promis, 1879). Va probabilmente vista come una prova della fiducia di cui il L. godeva da parte del duca la scelta nell'aprile 1595 del fratello Emanuele Filiberto quale negoziatore della tregua di Lione con Enrico IV (grazie alla quale il duca riebbe la rocca di Cavour). A riprova del favore ducale, nel 1595 la duchessa Caterina nominò il L. suo maggiordomo, carica che egli mantenne sino alla morte della duchessa, il 7 nov. 1597.
Nel 1599 Carlo Emanuele I istituì una nuova corte, destinata ai dieci figli avuti dalla duchessa scomparsa (cinque maschi e cinque femmine). La direzione della "casa de' principi e delle principesse" fu affidata a un maggiordomo maggiore, da cui dipendevano quattro maggiordomi, che servivano "a quartieri" (tre mesi ciascuno). La scelta del nuovo maggiordomo maggiore era particolarmente delicata, poiché da essa poteva dipendere anche la futura inclinazione politica dei principi. La decisione del duca cadde sul L., che sembrava garantire una certa equidistanza tra le fazioni filofrancese e filospagnola, in quanto, pur non essendo gradito a quest'ultima, non era nemmeno partigiano della prima. Nominato con patenti del 7 ott. 1599, egli visse prevalentemente a Torino, lasciando la gestione dei propri feudi al fratello minore Emanuele Filiberto, che, terminata la guerra contro la Francia, si era stabilito a Luserna.
Le tensioni tra cattolici e valdesi nelle valli del Pinerolese erano riesplose nelle guerre di fine Cinquecento, tanto più dopo che l'editto di Nantes (1598) aveva fornito un esempio che essi avrebbero voluto imitare anche nello Stato sabaudo. Qui, al contrario, Carlo Emanuele I fu deciso nel contenere la presenza dei seguaci di Pietro Valdo nei limiti fissati dalla convenzione di Cavour (1561), come mostrò chiaramente, in quegli stessi anni, la repressione della Riforma nel marchesato di Saluzzo (annesso ufficialmente nel 1601). Nelle valli il duca favorì un numero crescente di missioni cattoliche, la cui presenza, lungi dal convertire i valdesi, aumentò il livello delle tensioni con questi, sino a provocare numerosi scontri armati.
Inizialmente il L. e il fratello Emanuele Filiberto non vollero avere parte nella questione, anche per non interferire con il governatore delle valli. Nell'autunno del 1602, tuttavia, la situazione era sull'orlo della rottura e il L. accettò la richiesta valdese di interporre i propri uffici presso le autorità ducali. Nel volgere di pochi mesi egli svolse un'intensa attività di mediazione, riuscendo a convincere prima il duca a emanare un decreto parzialmente favorevole ai valdesi e poi questi ultimi ad accettarlo, pur non vedendovi accolte tutte le proprie richieste. Il successo del L., tuttavia, giungeva quando ormai questi aveva dovuto lasciare la corte.
Il triennio 1599-1602 fu per il L. il momento di maggiore successo della sua carriera politica, come confermato anche sul terreno degli onori dalla nomina a cavaliere dell'Annunziata il 2 febbr. 1602.
La situazione cambiò nel 1603, quando fu rimosso dalla carica di maggiordomo maggiore. Ufficialmente il duca motivava tale scelta per "le tante fatiche" svolte dal L. "giorno e notte presso i principi e le principesse". In realtà, si trattava di un atto squisitamente politico. In quell'anno, infatti, l'erede al trono Filippo Emanuele, insieme con i fratelli Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto, si trasferì in Spagna per esser educato alla corte di Filippo III (la cui mancanza di figli maschi ingenerava speranze di successione in Filippo Emanuele). Il L., ritenuto se non filofrancese almeno non abbastanza filospagnolo, non era ben accetto alla corte di Madrid. Il duca decise, allora, di sostituirlo con il conte Ghiron Valperga di Masino, uno degli esponenti della fazione filospagnola.
Per rendere la rimozione meno dura, il duca nel settembre 1603 affidò al L. una missione alla corte dell'imperatore Rodolfo II.
Pretesto del viaggio erano le condoglianze per la morte di Maria d'Asburgo, vedova di Massimiliano II e madre dell'imperatore. In realtà, il L. avrebbe dovuto affrontare diverse questioni politiche, che negli ultimi anni avevano raffreddato i rapporti fra duca e imperatore. Quest'ultimo, in particolare, pretendeva che Carlo Emanuele I pagasse i carichi fiscali imposti dalla Dieta di Ratisbona ai principi dell'Impero - titolo che competeva anche al duca di Savoia - per sovvenzionare la guerra contro i Turchi. Un'altra questione aperta era quella relativa al possesso del marchesato di Zuccarello (feudo del Ponente ligure conteso fra lo Stato sabaudo e la Repubblica di Genova): il duca ne aveva acquistato parte dal marchese Scipione Del Carretto, ma la Repubblica di Genova, che ambiva al controllo del marchesato, aveva ottenuto che l'imperatore non approvasse l'acquisto. Oltre a ciò, egli avrebbe dovuto sondare la disponibilità di Rodolfo II, ancora celibe, a sposarsi e, in caso affermativo, proporgli la mano di Margherita di Savoia, giovane figlia del duca. Infine, si sarebbe dovuto recare alla corte di Sassonia per consolidare i buoni rapporti fra Savoia e Wettin.
Il L., che si era ritirato nei suoi feudi, fu richiamato a Torino dal conte Pierre-Léonard Roncas de Châtel-Argent (Castel Argento) che gli diede ordini e istruzioni ducali. Egli cercò di sottrarvisi, ma all'inizio del 1604 fu costretto ad accettare. Ricevute le istruzioni, il 24 maggio 1604 partì da Torino insieme con un vera e propria piccola corte - composta da diversi nobili di alto lignaggio, un maestro di casa e una decina di servitori - a riprova dell'importanza che il duca attribuiva alla missione. Questa durò oltre un anno, durante il quale fu più volte ricevuto da Rodolfo II. I risultati, tuttavia, furono interlocutori e, di fatto, non approdarono a nulla. I rapporti fra l'imperatore e il duca, d'altronde, non potevano essere affrontati se non come parte di quelli, allora assai complessi, fra il duca e Filippo III, re di Spagna.
Mentre egli si trovava a Praga alla corte imperiale, il 9 febbr. 1605 il principe Filippo Emanuele morì di vaiolo a Valladolid. La notizia colpì duramente il duca, che diede il via ai preparativi per il ritorno in patria degli altri due figli. La morte, nelle stesse circostanze, del conte Valperga di Masino e la volontà crescente di emanciparsi dall'alleanza spagnola spinsero il duca a richiamare il L. a corte. Il Roncas gli scrisse, allora, offrendogli la possibilità di scegliere fra riprendere il suo vecchio impiego di maggiordomo maggiore o assumere quello, più prestigioso, di gran ciambellano (cameriere maggiore). In risposta il L. chiese di ricoprire quest'ultimo impiego, ma, verificate alcune esitazioni da parte del duca, declinò l'offerta.
Rientrato a Torino nell'estate 1605 - nelle Memorie scrive di avere trascorso nell'ambasciata "un anno e meso e sette giorni" (Promis, 1879, p. 410), ma si deve trattare di un errore di trascrizione da parte del Promis per "un anno [e] un mese" -, ribadì al duca la sua volontà di non riprendere servizio a corte e si trasferì nuovamente nel castello di Luserna.
Per cercare di ricucire i rapporti con lui, il duca decise allora di risolvere l'annosa questione della dote di Beatrice, ancora non pagata, nonostante fossero trascorsi oltre cinquant'anni dal matrimonio di questa con Carlo Luserna Manfredi. La morte, in quello stesso anno, di Bernardino di Savoia Racconigi, ultimo del suo ramo, consentiva a Carlo Emanuele I di operare con maggiore libertà. Il duca intervenne, quindi, perché la causa fosse conclusa a favore del L. (in seguito, però, il duca diminuì l'importo della dote da 15.000 a 10.000 scudi, i quali non è chiaro se siano mai stati pagati).
All'inizio del 1606, il duca incaricò il L. di recarsi a Barcellona, insieme con il marchese di Lullin, al conte Giacomo Antonio Della Torre e ad altri dignitari di corte, per riportare in patria i principi Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto. Nello stesso tempo, gli offrì nuovamente la carica di maggiordomo maggiore dei principi. Il L. rifiutò ancora una volta di riprendere il suo incarico a corte.
Risale a quest'occasione un celebre episodio narrato nelle sue Memorie. Di fronte al suo ennesimo rifiuto, il segretario del duca, Pietro Luigi Boursier (morto nel 1615), lo avrebbe rimproverato, ricordandogli che "li boni servitori servono li padroni in tutto quello che li commandano", al che il L. rispose che così ragionavano solo "li servitori che hanno animo vile et sono minchioni" (Promis, 1879, p. 411).
Egli partì per Barcellona il 17 giugno 1606. Il viaggio sarebbe dovuto durare non più di 20 giorni, ma si protrasse, in realtà, sino alla fine di agosto. I principi, da lui accompagnati, furono raggiunti dal duca a Cuneo. In tale occasione, egli chiese nuovamente al L. di tornare al suo impiego, ma egli rifiutò e fece ritorno a Luserna.
Negli anni successivi insieme con il fratello cercò di gestire al meglio i feudi familiari, provati dalle continue tensioni tra cattolici e valdesi.
Nonostante la stima che Carlo Emanuele I nutriva nei suoi riguardi, rifiutò sia di riassumere la carica di governatore della città e cittadella di Torino sia di assumere in alternativa quella di governatore di Asti. Declinò anche la nomina a gran cancelliere, continuando, comunque, a svolgere attività di consigliere e di diplomatico per conto del principe.
Durante il rientro dal viaggio in Spagna organizzò il matrimonio del proprio primogenito, Filippo Emanuele (1592-1676), allora quindicenne, con Caterina Grimaldi di Boglio, figlia del conte Annibale (deceduto nel 1621), il maggior feudatario della contea di Nizza. Le nozze furono celebrate per procura il 15 febbr. 1607, ma solo tre anni più tardi, nel novembre 1610, la sposa poté trasferirsi a Luserna, presso il marito. Le nozze erano state favorite anche dal duca, il quale così evitava che il Grimaldi, della cui fedeltà iniziava a dubitare, si legasse a una famiglia francese, come aveva fatto in passato.
Il L. svolse un ruolo molto importante nelle vicende che portarono alla prima guerra del Monferrato (1613-15).
Il 22 dic. 1612 era morto improvvisamente, dopo appena dieci mesi di regno, il duca di Mantova e del Monferrato, Francesco Gonzaga, che aveva sposato Margherita di Savoia - la figlia di Carlo Emanuele I che due anni prima il L. aveva proposto in moglie all'imperatore Rodolfo II. Il titolo di duca di Mantova sarebbe dovuto passare al fratello minore del defunto, il cardinale Ferdinando - politicamente filofrancese - ma Margherita annunciò di essere incinta. Nel caso di un maschio, il trono sarebbe toccato a questo e la duchessa avrebbe potuto assumere la reggenza in suo nome. La situazione era estremamente delicata, poiché Carlo Emanuele I voleva che Maria, unica sopravvissuta dei tre figli di Francesco e Margherita, fosse portata a Torino, in quanto titolare dell'eredità del Monferrato (feudo femminino). Una mossa, questa, a cui si opponeva il cardinale Ferdinando. Il duca decise, allora, di proporre a Ferdinando - deciso a rinunciare alla porpora per salire al trono mantovano - di sposare Margherita. Come latore di tale proposta, che aveva ottenuto il necessario assenso di papa Paolo V, il duca inviò a Mantova il L. che, come notava l'ambasciatore veneto Vincenzo Gussoni, era uno dei personaggi più stimati dal duca. Questi, tuttavia, non riuscì a vincere le opposizioni di Ferdinando, che in un primo tempo era sembrato favorevole alla proposta. Nemmeno l'arrivo a Mantova del principe di Piemonte Vittorio Amedeo ebbe sorte migliore e al L. non restò che tornare a Torino con il principe e la duchessa Margherita, senza però la giovane principessa Maria, trattenuta a Mantova.
Rientrato in patria, il L. cercò di scongiurare lo scoppio della prima guerra del Monferrato, a cui era contrario, prevedendo tutti i pericoli di una rottura con la Spagna e con l'Impero. Ritiratosi di nuovo a Luserna, partecipò sempre più raramente alle attività di governo: nel dicembre 1615 stese una lunga memoria che doveva servire all'inviato sabaudo presso l'imperatore per difendere le ragioni del duca di Savoia dopo la conclusione del conflitto.
Il L. morì nel suo castello a Luserna il 23 sett. 1618.
Dal matrimonio con Beatrice Ferrero Fieschi erano nati sette figli: cinque femmine e due maschi. Delle prime, quattro entrarono nel convento di S. Chiara di Chieri e solo l'ultimogenita Beatrice fu fatta sposare. Lo sposo fu, nel 1616, il conte Ludovico Villa di Villastellone. In quanto ai maschi, quasi nessuna traccia di sé lasciò il secondogenito Giacomo Francesco (n. 1593), cavaliere mauriziano nel 1612. L'eredità dei Luserna Manfredi fu assunta da Filippo Emanuele. Marchese d'Angrogna dal 1628, più antivaldese di quanto fosse stato il padre, egli alternò cariche militari e di corte. Forse alla sua carriera non giovò la congiura del suocero Annibale Grimaldi di Boglio, che nel 1620 si ribellò al duca di Savoia, venendo giustiziato all'inizio del 1621. Certo è che nelle complesse vicende del Piemonte seicentesco egli non seguì una linea politica univoca. Basti dire che, pur avendo inviato il figlio Amedeo alla corte di Francia sin dal 1630 e avendone poi organizzato il matrimonio con una nobile francese nel 1639, durante la guerra civile (1638-42) fra madamisti (filofrancesi) e principisti (filospagnoli) egli ebbe un atteggiamento favorevole a questi ultimi. Egli, comunque, non raggiunse mai il ruolo che era stato dei suoi antenati fra Cinquecento e Seicento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Ferrara e Bologna, m. 1 (dispacci dell'ambasciatore sabaudo a Ferrara, Emilio Pozzi, in data 18 e 25 luglio 1575); Patenti, Piemonte, reg. 20, c. 147v (Savigliano, 30 nov. 1588); V. Promis, Cento lettere concernenti la storia del Piemonte dal 1544 al 1562, in Miscellanea di storia italiana, IX (1870), pp. 696-709 (lettera del L. al duca, del 24 nov. 1588, in cui descrive la presa del castello di Centallo); Id., Memorabili di Giulio Cambiano di Ruffia dal 1542 al 1611, ibid., pp. 225, 229; Id., Ambasciata di C.F. M. di L. a Praga nel 1604, ibid., XVI (1877), pp. 515-628; Id., Memorie di C.F. M. di L. tra il 1551 e il 1631, ibid., XVIII (1879), pp. 393-417; Id., Prove per l'ammissione nell'Ordine Mauriziano nei suoi primordi, in Curiosità e ricerche storiche, V (1883), p. 369; D.L. Garola, Documenti istorici di Luserna e dei luoghi di sua valle compilati da D.L. Gerola( 1832, a cura di M. Brondino, Luserna San Giovanni 2003, pp. 9, 18 s., 22, 24-32, 34, 36-39, 41 s., 45 s., 204 s. (i manoscritti sono conservati a Pinerolo, Biblioteca Alliaudi); F.A. Della Chiesa, Corona reale di Savoia o sia relatione delle provincie e titoli ad essa appartenenti, I, Cuneo 1655, pp. 151, 180, 260; S. Guichenon, Histoire généalogique de la royale maison de Savoie, II, Lyon 1660, pp. 289, 358; P. Rivoire, Storia dei signori di Luserna, in Bulletin de la Société d'histoire vaudoise, XIII (1896), pp. 103-112; XIV (1897), pp. 23-44; XV-XVI (1898-99), pp. 3-21; Id., Un diplomatico piemontese del secolo XVIII, in Boll. storico-bibliografico subalpino, II (1897), 4-5, pp. 317-370; G. Jalla, Storia della Riforma in Piemonte fino alla morte di Emanuele Filiberto (1517-1580), Firenze 1914, pp. 345-347; R. Quazza, Margherita di Savoia (1589-1655), Torino 1930, pp. 109, 140; P. Merlin, Tra guerre e tornei. La corte sabauda nell'età di Carlo Emanuele I, Torino 1991, pp. 19, 66, 104, 108 s., 115 s., 128; A.M. Bava, La collezione di pittura e i grandi progetti decorativi, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, pp. 222 s., 338; S. Saccomani Caliman, Repertorio delle feste a cavallo alla corte sabauda dal 1587 al 1674, in Miscellanea di studi in onore di Alberto Basso, a cura di I. Data, Torino 1996, p. 26; P. Bianchi, Dall'erezione in città alla seconda reggenza, in P. Bianchi - A. Merlotti, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d'antico regime, Milano 2002, p. 38; V.A. Cigna Santi, Serie cronologica de' cavalieri dell'Ordine supremo di Savoia detto prima del Collare indi della Santissima Nunziata, Torino 1786, pp. 100 s.