lusingatori
In If XVIII 100-136 (primo canto di Malebolge) la coppia esemplare dei l. (Alessio e Taide) occupa la seconda bolgia, la prima essendo riservata alla coppia simmetrica dei seduttori: è tuffata nello sterco, sorpresa in gesti di grottesca degradazione. D. lascia nel vago la consistenza numerica di questa schiera di peccatori (gente attuffata, v. 113; li altri brutti, v. 119) e anche la consueta preoccupazione sulla prevalenza di peccatori laici o religiosi (non parëa s'era laico o cherco, v. 116), ma fissa la sua attenzione sui gesti dei due dannati, l'uno intento a battersi la zucca per essere stato riconosciuto fra molti da chi l'aveva visto coi capelli asciutti, l'altra raggiunta dallo sguardo del poeta nei suoi reiterati e sgraziati gesti di pena (sporca e scomposta, quanto era composta in vita, secondo Apoc. 17, 4; tuffata nuda nello sterco giù nel fosso, contro Ierem. Lament. 4, 5; maleodorante, secondo Is. 3, 24 " Et erit pro suavi odore fetor ").
Il problema della lusinga, di cui la lingua di questi peccatori non fu mai stucca, giunge a D. elaborato in una serie di tradizioni culturali, quella giudaico-cristiana, quella classica, quella medievale, così intrecciate nella loro stratificazione, che non è agevole determinare un punto di riferimento univoco, tenuto presente dal poeta. Comunque la sequenza privilegiata resta quella di Ps. 140, 5 " oleum peccatoris non impinguet caput meum ", dove l' " oleum " è ritenuto equivalente all'adulazione dagli esegeti, da Agostino (Enarratio in Psalmos CXL, 2035-2036 Dekkers-Fraipont: " falsa laus adulatoris, hoc est oleum peccatoris ", e anche Contra epist. Parmeniani II 22; Serm. XCIV, in Patrol. Lat. XXXVIII 578, ecc.), da Cassiodoro (Expos. Psalm., 1264 Adriaen): " Oleum peccatoris est dilectio simulata verborum ", da Tommaso (Sum. theol. II II 115 2 2) che si situa al punto terminale di una riflessione, che compone nei suoi dissidi, separando una ‛ adulazione veniale ' da una ‛ mortale ', dopo aver riconosciuto questo peccato come vizio opposto di una virtù riconducibile alla giustizia, precisamente l'affabilitas, di cui tratta in sé stessa (q. 114) e nei suoi vizi contrari, adulatio (q. 115), litigium (q. 116).
Con l'inquadramento e le distinzioni tomistiche, si conferma che D. ha ben colto nell'episodio dei l. la malvagia degradazione della parola umana (v. 91): con l'exemplum di Taide, che non risale direttamente a Terenzio, si acquistano due punti di riferimento culturali, un passo del De Amicitia ciceroniano (XXVI) e uno del Policraticus di Giovanni di Salisbury (III 4, ediz. Webb, I 179), che anche se non costituiscono fonte primaria come hanno proposto diversi esegeti (Cosmo, Pézard), tuttavia c'inseriscono in quell'area classico-medievale da cui il poeta attinge. Benvenuto da Imola dovrebbe essere l'antico commentatore che più ha tratto frutto dalla precedente tradizione esegetica (in primis dalle tre redazioni delle chiose di Pietro Alighieri, diffusamente studiate da M. Barchiesi), additando nel Liber Aesopi il testo di più immediata suggestione per D. (II 29 " Sic recte dicebat Thais ad iuvenem de quo scribit Aesopus "; con la concordanza del Buti [a If XVIII 136]: " e però finge Isopo di quindi la favola del giovane e di lei, lodando il giovane che si seppe guardare dalle lusinghe ") e stabilendo esplicitamente l'equazione fra il diffusissimo " oleum adulationis " scritturale e il " fetor adulantium ", sul quale insiste Giovanni di Salisbury: " Hic autor describit poenam adulatorum in generali. Ad cuius intelligentiam est notandum quod autor dat adulatoribus poenam vituperosam nimis secundum exigentiam materiae foedae. Fingit enim quod isti stant submersi in una valle stercoris bullientis, ex qua emanat maximus foetor et intolerabilis; nam multi doctores appellant adulationem oleum... ideo bene convertit oleum in stercus " (II 23; v. G. Padoan, Il ‛ Liber Aesopi ' e due episodi dell'Inferno, in " Studi d. " XLI [1964] 75-102, sul quale cfr. le precisazioni contenute nella nota di E. Raimondi del 1965, ora in Metafora e storia, Torino 1970, 203-207).
Ma Taide è un'adulatrice a fini sessuali, quindi è anche una seduttrice: diceva s. Giovanni Crisostomo, riportato dal Tommaseo: " adulari est seductorum "; quindi, se da una parte va sottolineata tutta la tradizione che, partendo da Quintiliano giunge a Giovanni di Salisbury e accomuna nello stesso disprezzo ruffiani e seduttori, adulatori e meretrici, dall'altra debbono essere rispettate anche le sottili distinzioni a cui D. si è attenuto nella distribuzione delle pene commisurata ai demeriti. Allo scopo ci può forse essere utile l'autore dell'Ottimo commento, al punto in cui opera alcune autorizzate suddivisioni nel concetto di lusinga (I 327): " È da sapere, che lusinga è chiamata in latino adulatio; e questa ha due parti: l'una si chiama adulatio, cioè lusingherìa, l'altra assentatio, cioè piacenterìa; della quale lusingherìa tratta in questa prima bolgia: della piacenterìa tratta nella seconda bolgia ".
Il ‛ piacentiere ' è quello che assentisce sempre, sia vero o no: è uno ‛ gnatonico ' che, a detta del Terenzio riportato nel De Amicitia da Cicerone (XXV 93) e da qui estratto da molti esegeti di questa situazione dantesca, mantiene una siffatta attitudine: " Negat quis, nego; ait, aio; postremo imperavi egomet mihi / omnia adsentari ". Secondo l'Ottimo è un peccato che discende da avarizia: ma per D. è qualcosa di più, rappresenta la condiscendenza al compromesso vitanda per eccellenza, anche quando non raggiunga forme estremistiche, continuate, smaccate, in una parola la minaccia più subdola portata alla verità dal discorso umano per fini meschini e utilitari, perché, come dice anche il vulgare proverbium, disceso da Terenzio a Cicerone, fino al Petrarca, che lo predilesse: " obsequium amicos, veritas odium parit ".