LUSSO
. Ha sempre formato argomento di dispute, e fu accusato e difeso da teologi, economisti, moralisti, sociologhi. Il concetto che se ne ha è sempre relativo, soggettivo, non mai assoluto. Nella sfera dei consumi è noto che il tenore di vita si eleva quando ciò che si giudicava un lusso diventa prima una comodità e da ultimo una necessità. Il lusso consistente nei consumi più raffinati, più aderenti all'arte e alle sue perfezioni e nello sfarzo più spinto sarebbe, secondo Antonio Genovesi, una finezza di vivere per ambizione di distinguersi; ma non è questo soltanto, perché corrisponde pure al desiderio acuto di godimenti non comuni, delicati, estetici, e come tale può trascinare ad aberrazioni, a rovine finanziarie irreparabili, private e pubbliche.
Le classi ricche suscitano l'invidia o la riprovazione delle altre classi con le loro spese eccessive per i costumi fastosi e superflui, e hanno talvolta provocato leggi repressive, che sono riuscite però, il più delle volte, inefficaci (leggi e imposte suntuarie).
La storia insegna che il lusso si è diffuso spesso tra coloro che acquistarono la ricchezza non con il lavoro, ma col giuoco, con l'intrigo, con le guerre, o con altri mezzi che la morale sociale condanna. Nel campo dottrinale l'ultima controversia sul lusso è stata suscitata verso la fine del secolo XIX dall'opera di H. Baudrillart, Histoire du luxe privé et publique; a essa hanno preso parte economisti, quali P. Leroy-Beaulieu, É. de Laveleye, e C. Gide, il primo dei quali ha difeso il lusso, mentre gli altri due hanno insistito sui caratteri riprovevoli delle spese dei ricchi. Uno scrittore belga, E. Picard, dopo avere insistito come alcuni dei suoi predecessori sulla funzione educatrice dei grandi patrimonî e del lusso, fa osservare che la natura per adempiere ai suoi fini preferisce spesso le vie indirette e occulte alle linee rette e chiare. Egli vede nel lusso tanto criticato la forza segreta che prepara l'avvenire, e crede che la natura, in mezzo a certi sperperi innegabili, miri a scopi evolutivi per la via contorta e paradossale della spesa e del fasto dei prodighi.
Una distinzione che va fatta è quella del lusso privato e del lusso pubblico. Entrambi hanno ripercussionì molteplici sull'economia, sulla morale, sulla vita sociale, sulla finanza, ma differenti per gli effetti che ne derivano. Il primo, se è smodato, può determinare il trasferimento della ricchezza da una classe sociale che consuma beni economici senza la necessaria prudenza ad altre classi che producono beni di lusso. Ma quando sia contenuto entro certi limiti può avere un'utilità sociale, col favorire lo sviluppo e il perfezionamento di talune arti, il raffinarsi del gusto, e l'impiego di maestranze che diversamente non avrebbero la possibilità di lavorare. E molte ricchezze conservate attraverso i secoli in oggetti artistici, in opere d'arte, in costruzioni edilizie, in ville, parchi, giardini, ecc., si devono al lusso privato. Quanto a quello pubblico, si è trasformato da lusso delle corti reali in lusso nazionale, da lusso destinato ad accrescere il prestigio dei sovrani e dei governi a mezzo di far partecipare le masse a godimenti, prima riservati ai principi e all'aristocrazia. E anche gli avversarî del lusso privato hanno patrocinato quello pubblico; ad esempio, il de Laveleye ha scritto: "non c'è a mio avviso che un solo genere di lusso che sia giustificato, ed è il lusso pubblico, a condizione tuttavia che sia ben compreso". E il Baudrillart ha scritto: "il lusso pubblico è il vero correttivo agli occhi del popolo del lusso dei ricchi, che gli diventa meno intollerabile. Il lusso privato rinchiuso nelle dimore private ha qualche cosa di egoistico ed è tale da eccitare la gelosia. Il lusso pubblico tende a diminuire la distanza tra quelli che sono ben provvisti e quelli che non lo sono. Esso ravvicina in certo modo ad alcuni godimenti di cui il ricco usa per sé solo o che comunica solo a un numero limitato d'amici e di clienti nel segreto della vita privata". Lo stato può, se larghezza di mezzi glielo consenta, dare vita a opere grandiose che abbiano lo scopo di educare, ingentilire, istruire la popolazione, ed esprimano nei tempi anche più lontani il grado di civiltà, di benessere e di cultura cui è pervenuta la nazione. Ma le spese pubbliche per tali opere non devono essere fatte con lo scopo di far mostra di fastosità, di vanità, di raffinatezza estrema, perché sarebbero in tal caso impiegati improduttivamente o consumati in pura perdita capitali che potrebbero essere investiti nella produzione di beni economici veramente necessarî.
Gli enti locali, i ricchi mecenati, con opere che rivestano il carattere d'utilità pubblica possono contribuire efficacemente a elevare una popolazione nella sua spiritualità e nella sua intelligenza, con vantaggio generale e durevole. E anche per queste spese vale la considerazione suesposta che il lusso è da escludere perché causa di sperperi, di distruzione di capitali e di cattivo esempio per i privati. La morale e l'economia politica sono d'accordo nel condannare il lusso che si traduce in consumi irragionevoli, del tutto improduttivi, più adatti a corrompere i costumi che a elevare lo spirito e destinati a distruggere la ricchezza, anziché a conservarla e ad accrescerla.
Bibl.: oltre ai trattati generali di economia cfr.; J.-F. Saint-Lambert, Essai sur le luxe, 1764; J. Pinto, Essai sur le luxe, Amsterdam 1762; J.-F. Butini, Traité philosophique et politique sur le luxe, 1786; K. H. Rau, Über den Luxus, 1817; D. Hume, Essays, parte II, Saggi 1 e 2; J. H. Baudrillart, Histoire du luxe privé et publique, Parigi 1878-80; É. De Laveleye, Le socialisme contemporain, 10ª ed., Parigi 1896; W. Sombart, Luxus und Capitalismus, Monaco 1913; A. Pinard, La consommation, le bien-être et le luxe, 1918.